Come il bombarolo di De Andrè, o meglio ancora come il macchinista ferroviere di Guccini con la sua locomotiva scagliata a bomba. Sogni ed esplosivi, aneliti di giustizia e destini crudeli.
Non ha bisogno di artifici ed effetti speciali un libro come Dei nostri fratelli feriti di Joseph Andras (Fazi), potente romanzo di esordio che ci porta nell'Algeria francese e negli anni della guerra di indipendenza. C'è già una storia che parla da sè, una storia autentica e triste, che ha bisogno solo di una voce misurata, allergica agli artefici.
E' la storia di Fernard Iveton, operaio francese comunista, che sceglie consapevolmente di stare con gli algerini, la parte sbagliata che è anche la parte giusta. Sarà solo, sempre più solo, in ciò che farà discendere da questa scelta. E come un anarchico dell'Ottocento cercherà la strada dell'azione solitaria, del gesto esemplare. Un giorno del 1956 proverà a piazzare un ordigno nella fabbrica dove lavora. Non farà in tempo ad allontanarsi che lo cattureranno e lo porteranno via.
Un attentato sventato, soprattutto un attentato che difficilmente avrebbe potuto mettere a repentaglio la vita di qualcuno. Ma con lui - il traditore, il senzapatria - la giustizia francese sarà implacabile. Contro ogni aspettativa e previsione e malgrado le prese di posizione di gente come Albert Camus, Fernard Iveton sarà condannato a morte e la sentenza sarà eseguita: l'unico europeo ghigliottinato durante la guerra d'Algeria.
Di quest'uomo - che appare nell'immagine di copertina al momento del suo arresto, non si sa se più incredulo per quello che ha fatto o quello che non ha fatto - Andras sa raccontare splendidamente la breve parabola. E' la storia di un cuore puro, di un sognatore e di un colpevole meno colpevole di tanti che lo hanno giudicato. La storia di una follia politica e di un delitto per cui è stato pagato troppo.
Dentro c'è anche una storia d'amore, perché poi è questo che sfugge alle cronache giudiziarie. Soprattutto c'è il silenzio, c'è la mancanza di pietà, che certo è dote che quasi sempre difetta alle istituzioni: in Francia, incredibile, la ghigliottina è stata cancellata solo nel 1981.
Ps: non ha necessariamente un indizio sulla qualità dell'opera, ma sull'autore sì. Con questo libro Joseph Andras ha vinto il Goncourt Opera Prima, premio da lui rifiutato con questa motivazione: la competizione, la concorrenza e la rivalità per me sono nozioni estranee alla scrittura e alla creazione. Applausi.
Non ha bisogno di artifici ed effetti speciali un libro come Dei nostri fratelli feriti di Joseph Andras (Fazi), potente romanzo di esordio che ci porta nell'Algeria francese e negli anni della guerra di indipendenza. C'è già una storia che parla da sè, una storia autentica e triste, che ha bisogno solo di una voce misurata, allergica agli artefici.
E' la storia di Fernard Iveton, operaio francese comunista, che sceglie consapevolmente di stare con gli algerini, la parte sbagliata che è anche la parte giusta. Sarà solo, sempre più solo, in ciò che farà discendere da questa scelta. E come un anarchico dell'Ottocento cercherà la strada dell'azione solitaria, del gesto esemplare. Un giorno del 1956 proverà a piazzare un ordigno nella fabbrica dove lavora. Non farà in tempo ad allontanarsi che lo cattureranno e lo porteranno via.
Un attentato sventato, soprattutto un attentato che difficilmente avrebbe potuto mettere a repentaglio la vita di qualcuno. Ma con lui - il traditore, il senzapatria - la giustizia francese sarà implacabile. Contro ogni aspettativa e previsione e malgrado le prese di posizione di gente come Albert Camus, Fernard Iveton sarà condannato a morte e la sentenza sarà eseguita: l'unico europeo ghigliottinato durante la guerra d'Algeria.
Di quest'uomo - che appare nell'immagine di copertina al momento del suo arresto, non si sa se più incredulo per quello che ha fatto o quello che non ha fatto - Andras sa raccontare splendidamente la breve parabola. E' la storia di un cuore puro, di un sognatore e di un colpevole meno colpevole di tanti che lo hanno giudicato. La storia di una follia politica e di un delitto per cui è stato pagato troppo.
Dentro c'è anche una storia d'amore, perché poi è questo che sfugge alle cronache giudiziarie. Soprattutto c'è il silenzio, c'è la mancanza di pietà, che certo è dote che quasi sempre difetta alle istituzioni: in Francia, incredibile, la ghigliottina è stata cancellata solo nel 1981.
Ps: non ha necessariamente un indizio sulla qualità dell'opera, ma sull'autore sì. Con questo libro Joseph Andras ha vinto il Goncourt Opera Prima, premio da lui rifiutato con questa motivazione: la competizione, la concorrenza e la rivalità per me sono nozioni estranee alla scrittura e alla creazione. Applausi.
Che libro, La bellezza del mondo dello scrittore bretone Michel Le Bris (Fazi editore), un libro per viaggiare lontano e per perdersi, un libro che è un continente di carta e anche più, un libro che davvero riesce a trasmettere quel brivido che forse davvero può donare solo la bellezza del mondo.
Quella bellezza che dà il titolo a questa storia (molto) romanzata di due straordinari personaggi che hanno segnato l'immaginario americano del primo Novecento.
Lui, Martin Johnson, da ragazzo compagno d'avventure di Jack London, l'uomo che apre la strada ai grandi documentari sui viaggi e sulla natura (una storia che, per dire, arriva a National Geographic).
Lei, Osa, la ragazza venuta dalla provincia americana, quella delle torte di mele e delle feste del Ringraziamento, ma anche di un'epopea della Frontiera che non appartiene a un tempo troppo distante, Osa che a New York diventa una delle più acclamate femmes fatales, Osa che è seduzione e avventura e che nel 1933 ispirerà l'eroina del film King Kong.
E la loro è davvero la storia di una "bellezza" scoperta, attraversata, raccontata, la bellezza di un'Africa che in questi anni non è più solo la terra incognita, la terra oscura e selvaggia dei primi esploratori, che piuttosto sta diventando suggestione culturale, progetto buono anche per Hollywood, moda per un Occidente frastornato dalla Grande Guerra.
E allora non c'è solo il Kenia dei leoni e dei rinoceronti, c'è prima di tutto New York, la New York dei ruggenti Anni Venti, proibizionismo e jazz, gangster e donne decise a dare scandalo.
E poi le cose stavano mutando. L'Afica cominciava a essere alla moda. Non si parlava di uno stile jungle? Dieci anni prima nessuno immaginava che i negri di Harlem avrebbero conquistato Broadway. I tempi cambiavano.
Altre giungle, di luce e grattacieli. Altre distanze. Altri pericoli. Un anelito di libertà e bellezza che non cambia.