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mercoledì 17 febbraio 2016

L'algerino senza nome del libro di Camus

Ti riassumo la storia prima di raccontartela: un uomo che sa scrivere uccide un arabo che quel giorno non ha neppure un nome - quasi l'avesse lasciato appeso a un chiodo prima di entrare in scena - e poi comincia a spiegare che è tutta colpa di un Dio che non esiste....

Ecco, si può mettere anche in questo modo, sacrosanto, solo che, almeno a me, non era venuto mai a mente. Anni di letture travagliate e macerazioni esistenzialiste andando dietro al grande Albert Camus - senz'altro più autentico dell'altro, Jean Paul Sartre - e al suo Straniero. Anni andati dietro a fantasticare su quei giorni in Algeria fino quasi a immedesimarsi in quel uomo - Mersault - che ammazza un arabo sulla spiaggia, senza nessun motivo apparente nè emozione: in scena solo l'indifferenza del mondo, la condizione dell'assurdo.

Mai una volta che abbia indugiato sul povero arabo: dettaglio secondario. Semplicemente la trama lo reclamava. Non a caso di lui, nel romanzo di Camus, non c'è nemmeno il nome.

Ed ecco il risarcimento, se possibile, molti e molti anni dopo. Ecco l'altro punto di vista. E' nel libro del giornalista e scrittore algerino Kamel Daoud, che per l'appunto si chiama Il caso Mersault (Bompiani). A prendere la parola è il fratello dell'ammazzato, un uomo che ha imparato a scrivere in francese: per parlare al posto di un morto, per continuare un po' le sue frasi.

La stessa storia, un'altra storia: che si riappropria di un nome, che restituisce il senso di una vita a un povero analfabeta che sembrava nato solo perché si prendesse un proiettile in corpo.

Si capiva tutto già dall'inizio: lui aveva il nome di un uomo, mio fratello quello di un imprevisto.

Fino al miracolo della scrittura. Al riscatto della parola.    

giovedì 13 dicembre 2012

La commedia dei filosofi e il coraggio di Camus


- Ah signore! Esistono ancora costumi parigini che riescono a stupirmi parecchio.
- L'avete detto, signore. E' una città singolare: amano talmente i bei pensieri che non riescono a frenarsi e ne parlano tutto il giorno, cisa che non lascia più il tempo di leggere. Vanno talmente matti per il patriottismo che appena c'è l'occasione diventano patrioti di due o tre paesi. Si sbranano in nome della pace e promettono la galera in nome della libertà.
- Ma da dove arriva tutto questo, vi prego?

E allora, per prima cosa, meno male che esistono ancora le piccole e piccolissime case editrici, quelle che fanno fatica ad arrivare a fine mese e se per questo ad arrivare anche in libreria, meno male che ci sono ancora in tempi in cui sempre di più il pesce grande divora il pesce piccolo e cresce l'onda di quanti ritengono che degli editori si può fare a meno, tanto ci si può pubblicare da soli, tanto c'è la Rete che ci pensa.

Poi ti capita tra le mani un libriccino di poche pagine, La commedia dei filosofi, un inedito per l'Italia nientemeno che di Albert Camus. Un testo per il teatro che l'autore de Lo straniero scrisse, con evidenti intenzioni polemiche, nel immediato dopoguerra. Ripescato, tradotto, riproposto da una piccola casa editrice di Pistoia, Via del Vento.

Poche pagine per rituffarsi nel clima della Parigi dove gli esistenzialisti erano sulla cresta dell'onda e si faceva a gara per entrare nei caffé frequentati da Jean Paul Sartre. Filosofia e impegno politico, come no. Ma Albert Camus aveva già staccato i suoi ormeggi ed era pronto a fustigare quel mondo, dove non mancano pedanteria e astrusità e col pensiero si volava troppo alto, tanto alto che si finiva per perdere di vista la vita autentica delle persone.

Ci voleva coraggio, allora, per scrivere un testo così, più dalle parti di Molière che di maestri del pensiero tanto in voga. Ci vuole coraggio oggi, per riproporlo. 



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