domenica 22 gennaio 2012

Cosa ci insegna lo spezzatino di New York

E' un libro che mi sta conquistando, La bellezza del mondo di Michel Le Bris e, quando lo avrò finito (un po' ci vorrà data la mole), ne avrò modo di parlare parecchio. Ci sono i viaggi, le esplorazioni, le avventure, c'è il business, che non può mai mancare, c'è soprattutto la giungla più giungla di tutte, il cuore pulsante del mondo, New York, qui raccontata nei suoi magnifici, travolgenti, assurdi anni Venti, quelli di Francis Scott Fiztgerald, del proibizionismo, dei gangster e del jazz. E c'è un atto di amore per la Grande Mela, crogiuolo di popoli, città dove si può incontrare di tutto, che fa maledettamente bene leggere oggi, ovunque noi siamo:

Chicago aveva i suoi chicagoani, Boston i suoi bostoniani, Ne York aveva irlandesi, tedeschi, francesi, italiani, siriani, turchi, svedesi, cinesi, indù, russi, texani, georgiani, californiani, messicani, portoricani, canadesi, cajun, eschimesi, cechi, cubani, spagnoli, portoghesi, lituani, greci, arabi, ma ognuno di loro, fosse pure vestito con gli abiti tradizionali, preoccupato dei suoi usi e costumi, si vantava di essere newyorkese, come se i grandi cuochi del pianeta avessero inviato a New York le loro spezie più prelibate per insaporire quel enorme pot-au-feu - ognuno, smanioso di dare spettacolo di sè, pretendeva di essere attore di quell'immenso "show" che era diventata la città. New York, il teatro del mondo! New York, come una sfida lanciata al resto dell'universo, in preda all'ebbrezza della sua insolenza sfoggiata, avida d'infrangere tutti i tabù, di opporsi ai pregiudizi, di affermare la sua smagliante giovinezza....


(Michel Le Bris, La bellezza del mondo, Fazi)

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