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sabato 21 settembre 2019

Un libro per Itaca, le molte isole dentro un'isola

Itaca? E' davvero una sola isola? O piuttosto ce ne sono tante, sospese tra i libri e i dati di fatto, tra i sogni e le possibilità di un vero viaggio? E tra tutte qual è l'Itaca che inseguiamo, quella che ci meritiamo sul serio, grazie alle pagine che abbiamo divorato, ai muscoli che abbiamo affaticato per salite impervie, agli incontri e ai tramonti a cui ci siamo affidati?

Beh, ho finito questo libro e le domande hanno preso a volare, come farfalle che per quanto si faccia non si lasciano catturare dal retino. E meno male, perché domande così sembrano fatte apposta per volare leggeri, verso un'isola di cui tutti hanno sentito parlare, ma pochi conoscono davvero.

 Luca Baldoni, invece, è evidente che Itaca la conosce bene, tanto quanto si può dire di conoscere un luogo. Anni fa ci è arrivato una prima volta, contro ogni pronostico non per inseguire l'ombra di Ulisse ma solo per fame di tranquillità e di bellezza. Se n'è innamorato e ci è tornato più volte. Poi ci sono stati i libri, i cammini, gli studi, le fantasie, i tanti tasselli di un puzzle piacevolmente complicato. E infine tutto questo è diventato un libro - Itaca. L'isola dalla schiena di drago (edizioni Exorma) - che è bello per molti motivi, come Itaca stessa è bella per molti motivi. 

Dentro c'è il mare, c'è la luce, c'è l'incanto dell'incontro. Dentro ci sono le storie, incredibile quante ne ce sono: Itaca è una piccola isola che reclama l'immaginario di un continente. 

Mica solo l'Odissea - anche se è una gran cosa rituffarsi nella questione omerica non con gli studi degli specialisti, ma con i passi dell'uomo che cammina e sente i luoghi. Ci sono i pirati e gli hippie, i veneziani e gli ottomani, i mercanti del Mar Nero e gli esuli di vari disastri della storia, ci sono persino poeti come Byron e Foscolo. E sì, c'è anche una città che non c'è più, o che forse non è mai esistita se non nell'immaginazione, una città dal nome splendidamente pretenzioso, Jerusalem. 

Quanto basta per accendere la fantasia. Per azzardare un ragionamento sui biglietti aerei per viaggi prossimi venturi, in questo ultimo margine di estate che già è autunno. Oppure no, quanto basta per allungare ancora di più le gambe sul divano, tanto con Luca Baldoni siamo già a Itaca, ci siamo arrivati senza averlo messo in conto. 

martedì 25 giugno 2019

Egeo, mare infinito di dèi ed eroi

Coelum non animum mutant qui trans mare currunt, diceva Orazio in una delle sue Epistole: cambiano cielo e non animo quelli che corrono il mare. E non so se sia vero, piuttosto dipenderà da come ci si mette in viaggio per il mondo, ma certo non finisce di sorprendermi la possibilità di viaggiare da fermo, grazie a libri che impastano di parole il cuore e l'intelligenza.

Ai non moltissimi di uno scaffale in cui spiccano, solo per esempio, Danubio di Claudio Magris, Praga d'oro di Angelo Maria Ripellino, Anime baltiche di Jan Brokken, Strade Blu di William Least Heat Moon, ecco, volentieri ora aggiungo Arcipelago di Giorgio Ieranò (Einaudi), un libro che non so dire se mi porta più in viaggio per le isole dell'Egeo attraverso i miti o piuttosto in viaggio per i miti antichi attraverso le isole. Non so e non mi importa, quello che conta è che ognuna delle sue pagine è un tuffo spettacolare nel tempo e nello spazio.

L'Egeo, molto oltre e molto prima il mare ambito e sognato dai vacanzieri del mondo intero. Ovvero l'Egeo degli dèi e degli eroi, dei mercanti e degli avventurieri, ripostiglio infinito di storie che peraltro arrivano all'altro ieri: quando per esempio Mikonos era la Tortuga del Mediterraneo, occupata dagli americani a inizio Ottocento. 

La storia  - afferma Ieranò - nell'Egeo procede per addizione. Alla fine sei quasi ubriaco di parole che non sai nemmeno catalogare: mitologia o resoconto di viaggio, fantasia poetica o cronaca. Ma anche questo non importa, è come su uno di quegli scogli, inondati di luce, battuti dal vento. Lo stesso sentimento di immensità, la stessa gioia che non ha bisogno di particolari ragioni.

giovedì 27 settembre 2018

Le isole sono tutto e il contrario di tutto

Sostiene Silvia che si può essere molto felici su un'isola, anche se è evidente che la cosa vale soprattutto per chi a quell'isola appartiene da sempre. Sostiene Silvia che le isole sono tutto e il contrario di tutto, ma che certo non sono solo grumi di terra circondati dal mare. Sostiene Silvia che vale anche per chi, come lei, è donna di terraferma, tanto quello che conta è sentirle dentro.


Cose così, trovate dentro L'inquietudine delle isole di Silvia Ugolotti, ultima perla che ci regala Ediciclo con la sua Piccola Filosofia di Viaggio, piccoli grandi libri che in poche pagine concentrano sguardi sul mondo e movimenti dell'anima. E lo dico con sincerità: tra tutti i titoli di una collana che dovrebbe abitare gli scaffali di ogni viaggiatore, questo è uno dei più belli.

Vorrei vederle tutte, dice Silvia: e si intende che l'inquietudine è più sua che delle isole. E' fame di mondo che non sarà mai saziata, chiaro, a fronte delle centotrentaduemila isole che qualcuno è riuscito a censire. Ma non importa, perché ci possono essere le Azzorre e le Comores, le Eolie e Far Oer, non importa perché in fondo si insegue sempre l'isola delle isole, un sogno che è molti sogni, un'utopia che si dilegua con l'approdo che segue.

Quante cose, in questo concentrato di viaggi che a volte esigono una nave e a volte solo una buona dose di fantasia. Geografia che si compone, attraverso un rosario di destinazioni, letture, emozioni. E ci sono le isole paradiso, più o meno perduto, e le isole inferno, a volte fin troppo reali. Le isole mito e le isole che i nostri piedi calpestano e comprovano.

Scogli sferzati dai venti del nord e palme su spiagge tropicali, cieli di stelle e fari che sono salvezza nella notte. Isole che ci sono, isole che ora ci sono e ora non più, isole che navigano. Ma soprattutto l'isola che non c'è - soprattutto quella - l'isola che non c'è e che pure continua a esserci, finché non si smetterà di desiderarla.

Quell'isola, mi sa, che era nei racconti di un padre che rincalzava le coperte prima di accompagnare al sonno una bambina. Mi racconti il mare? E lui che cominciava: C'era una volta un'onda.... E con l'onda quell'isola, che è un'altra isola, ma non è poi molto diversa dalla mia Mompracem. 

venerdì 18 marzo 2016

Un mistero che sa di vento, salsedine e vecchia Scozia

Prima di tutto c'è il vento che su queste isole batte incessante. Prima di tutto ci sono le nuvole enormi che ridisegnano senza requie il cielo e ci sono le scogliere che precipitano su un mare profondo, pericoloso, agitato. Prima di tutto c'è un mondo alle estremità del mondo, con la sua gente rude, abbarbicata alle sue tradizioni, alla sua lingua gaelica, a una vita che non è cambiata poi tanto, nonostante i Suv e la tv satellitare. Pesca e pastorizia, pioggia e birra scura al pub: benvenuti nell'isola di Lewis, nell'arcipelago delle Ebridi, lembo di Scozia a ovest di tutta l'Europa.

Prima di tutto c'è questo, ma poi c'è un mistero, che riemerge prepotente dal passato e dalle acque di un laghetto prosciugato, con un piccolo velivolo e dentro la carlinga quello che rimane del corpo di una vecchia conoscenza. E c'è un omicidio che esige ancora verità e ci sono molti conti da regolare. Ci sono ragazzi che non sono più ragazzi, cresciuti con bevute, musica celtica e diverse cose che tra loro non sono state dette. E c'è Fin Macleod, ex poliziotto scozzese, che alla sua isola ha fatto ritorno per ricominciare un'altra vita dopo che la precedente è andata a pezzi.

Che bellezza L'uomo degli scacchi di Peter May (Einaudi), atto conclusivo di una trilogia che comprende anche L'isola dei cacciatori di uccelli e L'uomo di Lewis. Che fosse una trilogia l'ho scoperto solo nel bel mezzo del libro. Quasi quasi vado subito a comprarmi gli altri due. Quasi quasi vado a vedere se c'è un aereo per l'isola di Lewis.

mercoledì 12 febbraio 2014

12 febbraio: ricordando i morti dell'Oria, 70 anni fa

È meraviglioso, questo mare.

I suoi colori, le sue onde come un respiro universale. Come un  sospetto di eternità.

L'Egeo, cioè gli dèi dell'antica Grecia. E i versi di Omero: le acque color del vino – del vino,  non del sangue.

L'Egeo che per uno della mia età sono anche le vacanze da sballo, i viaggi sul ponte del traghetto, chitarre e sacchi a pelo, i bicchieri di troppo e gli amori che svaniscono con l'estate.

L'Egeo che per forza mi rammenta un film di Gabriele Salvatores, la sua storia di soldati italiani tralasciati dalla guerra, su un'isola non distante da Rodi, un'isola che esiste solo nella fantasia di chi in Grecia verrà solo per agosto, parecchi anni più tardi. Perché solo nella fantasia esiste una storia così: la guerra non dimentica, la guerra non lascia in pace i soldati.

L'Egeo che può essere un sogno, un'utopia, una possibilità di fuga. Ma certo può essere anche tremendo.

Mare di tempesta, mare senza pietà.

Mare di morte già nel nome: Egeo e il suo mito.

Il re di Atene che dalle scogliere attende il ritorno del figlio Teseo. Vele bianche se avrà sconfitto il Minotauro, nere se è stato ucciso. E sono nere le vele, vai a sapere perché. Teseo è vivo, ma il vecchio si getta in mare e il mare da quel giorno sarà l'Egeo.

Mare tremendo, mare di morte. Mare che spesso pretende in tributo i figli piuttosto che i padri. 

venerdì 24 gennaio 2014

Viaggiando per isole in cui non andremo mai

Prima di tutto è un libro che è un piacere avere sotto gli occhi e sentirlo sotto le dita. Guardarlo, aprirlo a caso, sfogliarlo, puntare il dito su un nome o inseguire un margine che è anche una distanza. Allo stesso mondo degli atlanti su cui molti di noi sognavano da ragazzini. Erano semplicemente belli. E non c'era niente di meglio - a parte forse tuffare le dita nella Nutella - che trascorrere i pomeriggi ad attraversare continenti e confini. Soppesavo i colori e le loro tonalità, toccavo con i polpastrelli i nomi che evocavano i miei altrove. Non ho mai viaggiato tanto lontano.

Ecco, è bello di quella stessa bellezza l'Atlante delle isole remote di Judith Schalansky, pubblicato in Italia da Bompiani. Bello di una bellezza che sembra appartenere ad altri tempi - i  miei, che non sono quelli di un "nativo digitale" con le sue Google maps - ma anche semplicemente fuori del tempo.

Sono cinqunata isole del mondo, così lontane dal corpo dello Stato a cui appartengono che quasi sempre rimangono fuori dalle cartine, non solo dalle rotte. Sono le Sant'Elena disperse nell'oceano. Le isole di Pasqua che in genere non hanno la fortuna di essere rammentate come l'isola di Pasqua.

L'Atlante accende su di loro un fascio di luce. Le mette al centro delle sue mappe: ed è la madrepatria che scompare alla vista. Queste isole sono altrettanti improbabili centri del mondo. E il plurale suono già male, ma rende l'idea.

Sarà necessario andarci, un giorno? Perlomeno coltivarne il desiderio?

Perfino io che ne parlo e che le ho studiate, queste isole non le vedrò mai: ho deciso che esse sono remote, e remote resteranno.

Così afferma l'autrice, e mi piace. Anche se niente mi toglierà dalla mente che molte volte ci sono stato e molte altre volte ci tornerò. Sfogliando questo atlante sul mio comodino.

venerdì 17 maggio 2013

Sorpresa, le Maldive non sono solo quel mare

Succede con le mete più frequentate dal turismo internazionale, succede soprattutto con un posto come le Maldive, che per tutti o quasi tutti è soltanto il suo mare da favola, la barriera corallina, il sogno di un bungalow sotto le palme o di un resort di lusso per un viaggio di nozze.

E' successo anche per me, che anni fa trascorsi una settimana in un isolotto dell'arcipelago che in 20 minuti si girava per intero a piedi, oziando da mattina a sera. In camera c'era anche la tv con la Rai. L'idea che le Maldive fosse anche un paese con una sua storia e una sua cultura mi sa che non mi sfiorò nemmeno. O forse riuscii ad accantonarla alla svelta.

Succede con tutti o quasi tutti, ma per fortuna non è successo con Marco Carnovale, viaggiatore scrittore, che le Maldive non solo le ha girate in lungo e in largo e a più riprese, ma a provato a cercarle anche sugli scaffali delle librerie. E sorpresa, un posto che può più o meno contare su un milione di presenze turistiche all'anno è pressoché assente dagli scaffali. Davvero, come se le Maldive fossero solo quel sogno, quella cartolina da invidia.

Un vuoto a cui ora Carnovale pone rimedio, con il suo Viaggio alle Maldive. Libro intrigante, libro da autentico scrittore di viaggi, come già esplicita il sottotitolo, Arcipelago in bilico: una non guida per svelare le isole

Una non guida, appunto, cioé un vero libro di viaggi, capace di accompagnarci nelle storie e nei luoghi delle Maldive, tra una suggestione del grande Ibn Battuta e un'esplorazione della vita complessa e trascurata della capitale Malé.

Consigliatissima per tutti coloro che vogliono saperne di più, perché c'è ozio e ozio.

martedì 19 luglio 2011

Emilio, Cesare e i sogni fuori di città

Gli spazi aperti, il mare come la natura tutta, sono gli unici luoghi possibili per la libertà d'azione e la ricerca della felicità

Anni di letture salgariane e non mi era mai venuto in mente. Eppure è così, si parli del Borneo come dei Caraibi. I mari sono libertà, sono possibilità, sono occhi che spaziano lontano e cuore che asseconda i sogni. Volete mettere con le città, che chiudono lo sguardo e celano trappole? Maracaibo o Sarawak,  non importa. Se proprio dev'essere terra, che sia terra donata al mare, protetta dal mare, isole come lo possono essere solo la Tortuga oppure Mompracem.

Ed è sempre stato così, in compagnia di Emilio Salgari. Solo che mi ci è voluta una bella pagina di Felice Pozzo da Il Corsaro Nero. Nel mondo di Emilio Salgari, (Franco Angeli) per capirlo davvero.

E per alimentare altre suggestioni. Il mare per Emilio come la campagna per Cesare Pavese. Il luogo dei sogni, della giovinezza.

Cesare che come Emilio si lascia spezzare quei sogni proprio in città. A Torino. Emilio che scrive: Vi saluto spezzando la penna. Cesare che si congeda più o meno allo stesso modo: Non parole. un gesto. Non scriverò più.

E chissà quant'altro ci avrebbero regalato, con altri mari davanti a loro, di acque o di colline. 

venerdì 3 settembre 2010

Le Eolie del mito e il mare di pietra

A volte mi sorprendo a pensare un pensiero che è più o meno questo: è bello vivere su un'isola, soprattutto su un'isola sufficientemente piccola, perché questo deve regalare particolari abilità: saper scrutare lontano, per esempio. Saper lanciare lo sguardo oltre la linea del promontorio conosciuto e riuscire a cibarsi di orizzonti.

A questo ho pensato ancora una volta, leggendo Il mare di pietra di Francesco Longo, un altro splendido libriccino della collana Contromano di Laterza, che ci porta sulle sette isole Eolie (e pensare che io non ci sono mai stato davvero), intese come altrettanti luogi dello spirito. 

Isole filtrate attraverso una lettura originalissima, frutto della consuetudine, della curiosità, delle infinite suggestioni della letteratura e del cinema. Dentro queste pagine c'è tutto, anche troppo, dall'Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson a Stromboli di Roberto Rossellini. Ma c'è anche il mito, uno sguardo originale che viaggia per la tangente, che illumina e trasfigura, che inventa e che si sente a casa.

A un certo punto capisci che il viaggio è soprattutto un viaggio di carta - i libri sono viaggi, appunto - e c'è questa frase, bellissima:

All’interno di ognuno di questi libri che raccontano di isole, ci sono ulteriori piste, indicazioni per capire le Eolie: le isole come rifugio, come reclusione, come utopia, come fuga, come mistero, come uscita dalla realtà, come viaggio dentro se stessi, come viaggio nel passato, come incontro con l’altro e come incontro con se stessi, isole come lotta per la sopravvivenza e come luogo adatto per la scoperta di Dio, luoghi di amore e di terrore verso la forza della natura, isole come isolamento, riposo, ritorno ad uno stato selvaggio, alternativa alla nostra società, luogo della fantasia, paradiso terrestre, impossibilità a crescere. Fascino, erotismo, pace assoluta. 

E mi sembra che dentro ci sia già dentro tutto. E' detto così bene che a me basta copiarlo.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...