Visualizzazione post con etichetta Bologna. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Bologna. Mostra tutti i post

venerdì 21 agosto 2015

Maurizio Maggiani e le storie che serbano la vita

Vivono nelle parole gli uomini e le donne, vivono nelle storie che di loro si conservano e si tramandano. Ma perché non se ne perda traccia c'è bisogno di persone che se ne facciano carico. E che le scrivano o le accompagnino a un sorso di vino in un'osteria, sono come maghi, che in qualche modo restituiscono ciò che si può restituire della vita.

Uno di loro è Maurizio Maggiani, grande affabulatore, nei cui romanzi non ho mai cercato una trama compiuta, ma semmai una cascata di storie, che sgomitano, si incrociano, si sovrappongono, si tengono insieme. E questo vale più che mai per Meccanica celeste (Feltrinelli), libro a cui sono arrivato dopo una lunga attesa e con qualche diffidenza.

Un libro che è allo stesso tempo facile e impossibile da raccontare. Siamo nelle terre che Maggiani chiama il "distretto", lembo di terra aspra e isolata tra la Toscana e la Liguria, terra di marmo e ribelli, di emigranti e di santi che non sono nemmeno nel calendario. Il narratore mette in cinta la sua compagna la notte dell'elezione di Barack Obama. Nei nove mesi di attesa ci saranno le storie a preparare la vita che arriva. Storie che affiorano dalla memoria e dalla terra. Storie del narratore e del mondo intorno, con i suoi legami di sangue e di affetto. Avanti e indietro nel tempo, dall'antica Roma alle battaglie sulla Linea Gotica fino alla bomba della stazione di Bologna. E quante storie, quanti volti che emergono dalla folla e si fanno sostanza, cuore pulsante, racconto.

La Duse e la Santarellina, l'Otello e l'Omo Nudo, Don Gigliante  e la Marta, fino al soldato venuto dal Brasile, lui che doveva liberare la Grecia e invece si trovò sotto le Apuane. Staffette partigiane e maestre elementari, suonatrici di fisarmoniche e pastori d'anime....

C'è un filo? Forse no, ma che importa. Il filo è la voce che narra. Il filo è noi che ascoltiamo. Il filo sono i racconti che ci salvano.



giovedì 20 giugno 2013

Quando a Bologna le bici erano come i cani

E c'è uno scrittore che si capisce lontano un miglio che è un artista a complicarsi la vita - e magari gli piace pure. C'è un vicino di casa che custodisce una storia che è il segreto di una vita - e che vale la vita intera. Per dire, un ex meccanico di biciclette che quel segreto può raccontarlo solo al microfono di un registratore e un figlio che non è un figlio, ma che lo sappia o no è stato amato come un figlio.

E soprattuttutto c'è Bologna, la sua aria, le sue strade, la Bologna di oggi che è un po' ancora la Bologna di ieri, la Bologna dove la gente si portava dietro la bicicletta anche quando andava a passeggio, come il cane al guinzaglio, la Bologna dove, per dirla con Cesare Zavattini, uno non veniva considerato vecchio finché riusciva ad alzare il piede sopra il sellino.

Affetti, rimpianti, sprazzi di gioia, pensieri che rotolano via. Ritrovo il solito Paolo Nori, in questo A Bologna le bici erano come i cani (Ediciclo), e mi piace. Magari è solo una gigantesca divagazione appesa a un'esile gruccia, però sì,  mi piace.

venerdì 18 gennaio 2013

Un uomo di libri grazie ai ragazzi della Via Pal

E' il più grande libraio italiano, ha passato la vita tra libri, librerie, editori e naturalmente anche lettori. Un uomo che ha fatto una professione della sua più grande passione, pensate che bellezza.

Di Romano Montroni ho letto in passato altri libri, mi manca il suo ultimo I libri ti cambiano la vita (Longanesi). Rimedierò: a giudicare dall'intervista pubblicata sul sito www.gliamantideilibri.it merita davvero.

Anche l'intervista merita e mi piace riportare questo brano, che racconta come tutto cominciò.

Da ragazzino sono stato un’estate a fare il fattorino in una libreria a Bologna, il datore di lavoro era Amadori, un libraio di vecchio stampo, il quale mi disse “tu non hai mai letto un libro? Te ne voglio dare uno” e mi diede “I ragazzi della Via Pal” di Molnar. Quando sono arrivato a casa con il libro i miei genitori erano molto stupiti, non era mai successo. La mia curiosità nel leggere è nata proprio attraverso la storia di quei personaggi, mi riconoscevo, mi ritrovavo, mi immedesimavo perfino. In particolare mi aveva colpito Nemecseck, un ragazzino fantastico, costruito in maniera tale da rimanerti dentro. Penso che se durante le feste dei libri gli autori andassero nelle scuole a leggere le loro storie molti ragazzi si entusiasmerebbero. Sentire leggere è come ascoltare la musica, ti appassiona, ti entra dentro.

E non riesco a togliermi dalla testa quel bambino che non aveva mai letto un libro, quel libraio all'antica che gliene offre uno e l'incantesimo che si sprigiona dalle pagine e che non lo ga più mollato.

Pensate, tutto questo grazie ai Ragazzi della Via Pal.


martedì 17 aprile 2012

L'anarchico che andò a cercarsi la sconfitta

Falliti al principio d'estate i moti anarchici di  Spagna a San Lucar de Barramonda e a Cordoba, bandito da tutti gli stati d'Europa, che cominciava ad assestarsi, nemico ormai di quasi tutti i suoi antichi e nuovi compagni, ridotto senza risorse, nell'anno 1873 l'agitatore Michele Bakùnin si trovava rifugiato nella libera Elvezia, a Locarno, alla mercè della grazia di Dio, in cui non credeva.

Comincia così, con queste quattro righe impregnate di utopia e fallimento, un libro da tempo dimenticato ma che meriterebbe recuperare, e con esso la storia che racconta. Il diavolo di Pontelungo, questo il titolo, è opera di Riccardo Bacchelli, lo stesso che ha legato il suo nome al fluviale (proprio il caso di dirlo) Mulino del Po. E' la storia dell'ultima sconclusionata rivolta tentata nei dintorni di Bologna da Bakunin, il grande anarchico, il rivoluzionario ormai segnato da una vita errabonda di disastri e delusioni.

Più ancora che sulla storia il libro vive sull'emozione suscitata da un'idea al tramonto, generosa e sciagurata. Vive delle parabole di quanti a quell'idea si consacrarono, grandezza e miseria, dedizione e scempio. Vive soprattutto del carattere a tutto tondo di Bakunin, il russo che fece tremare i governi del mondo.

Nel libro entra come un pensionato della rivoluzione - uno sconfitto, non diverso in questo dall'Aureliano Buendia di Cent'anni di solitudine.

Materialista come un professore tedesco di quei tempi, fatalista come un russo d'ogni tempo, guardava l'uva trascolorata, il riflesso trascorrente, il cielo cordiale delle affabili alpi ticinesi....

E com'è bella la figura di questo sconfitto che va a cercarsi un'altra sconfitta, come il fiume che cerca il mare. Ci sono personaggi che sono il loro destino e quel destino è croce e delizia, condanna accettata con passo leggero, sogno che non molla.

venerdì 15 ottobre 2010

Una rotonda per raccontare i nostri anni

E dunque, questo lo posso dire: I giorni della rotonda di Silvia Ballestra è uno di quei libri che pagina dopo pagina sciolgono la diffidenza iniziale, con la forza di una scrittura genuina, che sa raccontare cose, non vendere fumo. E non era mica facile: perché la quarta di copertina frega.

Come, la solita storia italiana che parte dagli anni Settanta e si sbraccia per arrivare più o meno ai nostri giorni?

Magari è la solita solfa: come erano belli quei tempi, quando si pensava di cambiare il mondo e tutti scendevano in piazza e sentivano di appartenere a qualcosa di più grande, tranne poi precipitare a rotta di collo nei terribili anni Ottanta.

Oppure, variante: belli, sì, quei tempi,ma quanta ideologia, quanta violenza, quanta incapacità di farsi i fatti propri, sarà stato quel che è stato, ma in fondo volete mettere, riscoprire gli affetti e la famiglia, un lavoro pulito e una vita senza grilli per la testa?

Ecco, mi aspettavo qualcosa del genere. La solita solfa in una delle due varianti.

E invece, invece ho scoperto qualcosa di diverso. Uno sguardo pulito e originale, che i fatti li racconta non dai luoghi dove (non) si è fatta la storia, ma dalla provincia profonda, San Benedetto del Tronto. Una narrazione che non sente il bisogno di raccontare tutto per filo e per segno, ma che sa andare al fondo di ciò che è stato.

Tre storie in una storia, tre atti, una piazza (la rotonda, appunto) come un fiume che si porta via tutto. Agorà e supermercato della droga. Politica e spaccio. Il tempo del futuro e quello della devastazione.

Gli anni che si fanno raccontare anche da una piazza che non è nemmeno Piazza Maggiore a Bologna o Piazza San Giovanni a Roma.

Una piazza come le mille e mille piazze del nostro paese. Una piazza ora grande come il mondo ora angusta come una galera.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...