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giovedì 29 dicembre 2016

Un po' di compassione: le parole di Rosa L. sotto l'albero di Natale


E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità. E cerco allora il motivo di tanta gioia, ma non trovo alcuno e non posso che sorridere di me. Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa. 

Ogni anno in questi giorno sotto Natale riprendo in mano questa lettera, la rileggo, trascrivo alcune sue frasi, le propongo a tutti voi. Si fa in poco tempo, alla fine si possono anche lasciare da parte i testi con cui Adelphi ha deciso di accompagnare le parole di Rosa Luxemburg, benché si tratti di mostri sacri quali Karl Kraus, Franz Kafka, Elias Canetti, Joseph Roth.

Non importa, basta concentrarsi sulle poche pagine di Rosa e farne tesoro per la nostra vita. Un po' di compassione è una lettera che andrebbe fotocopiata, distribuita, appesa davanti al proprio computer, portata nel portafoglio, tirata fuori e letta riletta ogniqualvolta la realtà ci sembra troppo buia e deprimente, ogni qualvolta ci assale il virus dell'indifferenza. Come forse anche in questi giorni, sospesi tra la strage di Berlino e i brindisi delle feste.

Rosa L. è in carcere. Fuori impazza il mattatoio della guerra mondiale e non c'è nessuna luce in fondo al tunnel, nessuna forza che riesca a levarsi in piedi e urlare le ragioni della pietà. Però anche nello spazio tetro di quella cella riesce a percepire la gioia della vita, che è anche la forza della vita...

Di più: oltre i milioni di morti ammazzati coglie la sofferenza di un povero bufalo maltratto e ne avverte compassione fino a condividerne la sofferenza. Fratello chiama quel povero animale... e siamo ben oltre ogni lettura esclusivamente animalista ante litteram, siamo alla grande lezione di vita...

In Germania questa lettera è nei libri di testo, viene studiata a scuola. Farebbe bene anche a noi far circolare queste pagine. E magari, in questi giorni, farla trovare sotto l'Albero di Natale.

lunedì 31 agosto 2015

La Lisbona di Tabucchi e di tutti noi

Ci sono città che sembrano vivere nella carta prima ancora che nelle pietre di cui sono fatte. Città immaginarie, ma a differenza di quelle di Italo Calvino reali, così reali da poter essere rintracciate in una carta, spiegate in una guida, percorse con i nostri piedi e affrontate con tutti i nostri sensi. Immaginarie e reali, ma soprattutto raccontate, plasmate, reinventate dalla letteratura. 

Come Buenos Aires, per cui non riesco a prescindere da Jorge Luis Borges. E che grazie a Borges sento di aver visitato, anche se in realtà non ci ho messo mai piede.

A Lisbona invece ci sono stato e volentieri ci ritornerei. Intanto è come se ci fossi stato un'altra volta, grazie a un libro che consiglio caldamente: A Lisbona con Antonio Tabucchi di Lorenzo Pini (Giulio Perrone editore). Sottotitolo secco e non casuale: Una guida. Attenzione, non una guida letteraria. Perché Lisbona, che è un'altra delle grandi città della letteratura, qui è raccontata nella sua verità. 

Ed è davvero Lisbona, anche se la inseguiamo attraverso il filo delle vicende di Sostiene Pereira. Oppure nell'allucinazione di Requiem, che allucinazione è, ma anche vagabondaggio per una città che non è da meno della Dublino di Joyce o della Praga di Kafka. 

E' davvero Lisbona, perfino quando seguiamo l'ombra del grande Fernando Pessoa e di tutti in suoi eteronomi - in un gioco di specchi e rimandi tra l'uno e i molti che siamo - Quel Fernando Pessoa che Antonio Tabucchi non ha solo amato e tradotto, perché siamo molto oltre sulla via della complicità e della immedesimazione....

Lisbona attraverso Tabucchi, in un libro che è tutt'altro che un gioco letterario o uno sfoggio di erudizione. Ci sono nomi, luoghi, circostanze.... Ma c'è soprattutto Lisbona, bellissima, e ancora più bella attraverso la forza della parola scritta. 

lunedì 13 maggio 2013

A proposito del processo del signor K.

Un giorno K. è invitato (da una voce anonima, per telefono) a presentarsi la domenica successiva in una casa di periferia per partecipare a una breve inchiesta che lo riguarda.

Per non complicare e tanto meno prolungare il processo, decide di ottemperare all'invito. Dunque ci va.

Sebbene non sia stato convocato a un'ora precisa si affretta. All'inizio vuole prendere un tramvai. Poi si rifiuta per non umiliarsi, grazie a una puntualità troppo docile, davanti ai suoi giudici.

Tuttavia non desidera prolungare lo svolgimento del processo e perciò si mette a correre; sì, corre (nell'originale tedesco la parola "correre", "laufen", si ripete tre volte nello stesso paragrafo); corre perché vuole salvare la sua dignità e, allo stesso tempo, per non arrivare in ritardo a un appuntamento la cui ora resta sconosciuta.

Tale combinazione di gravità e leggerezza, di comicità e tristezza, di senso e non senso, accompagna tutto il romando fino all'esecuzione di K. e fa nascere una bellezza strana e incomparabile; mi piacerebbe definire questa bellezza, ma so che non ci riuscirò mai.

(da Milan Kundera, Il mio Processo. L'insostenibile bellezza del romanzo di Kafka, da Repubblica del 13 aprile)


domenica 16 dicembre 2012

La bellezza e il burocrate dei mari

La bellezza ci fa uscire da un mondo di fantasmi tutti uguali, ci apre a un'abbondanza incommensurabile e imprevedibile che ci stupisce e ci rinnova.

Se dimentichiamo la bellezza, invece, il rischio è di perdere il contatto con la concretezza della vita. 

In una storia di Kafka, il dio Poseidone (Nettuno) è sempre il dio dei mari, ma è un burocrate. L'amministrazione dei mari gli dà un gran da fare, e lui rimane incollato al suo tavolo.

Essendo coscienzioso, non vuole delegare il lavoro ai suoi assistenti. E quindi non riesce mai a fare quello che gli piacerebbe più di ogni altra cosa: un bel giro di tutti i mari per vedere come sono, e poi una bella nuotata. 

Anche noi corriamo quel rischio: di vivere nella burocrazia della realtà, anziché nella realtà.

(Piero Ferrucci, La bellezza e l'anima, Mondadori)

giovedì 27 settembre 2012

Se sono gli scarafaggi a scrivere il best seller

Era secco e allampanato. Indossava gilet coi bottoni di legno a pomello, sciarpe pasionarie di lana rossa e completi di velluto marrone, color foglia autunnale che rotola sul selciato. Non so perché non scrivesse poesia. Aveva tutti i difetti necessari per diventare un grandissimo poeta.

Grandissimo poeta non è, il nostro Briac, e anche come romanziere lascia a desiderare. In realtà, nonostante tutte le pose e umori da scrittore maledetto e da esistenzialista da rive gauche, non c'è niente da fare, di libri nel cassetto non ce ne sono e il foglio resta desolatamente bianco. Ma che succede se la crisi creativa lascia solo le ragnatele in tasca, con prospettiva di sfratto imminente?

Cosa succede ce lo racconta, a modo suo, Luca Ricci, in un libriccino spiazzante, esilarante, grottesco. Gli scarafaggi della casa - squinternata banda che ha scelto di chiamarsi Beatles (come gli "altri" scarafaggi) - sanno di non potersi permettere un nuovo inquilino, magari più attento all'ordine e alla pulizia della casa, ahi loro. Così saranno loro a inventarsi il libro - anzi il potenziale best-seller - che permetterà a Bric di rimanere a casa.

Tra Kafka e Kraus, solo per dire i primi nomi con la kappa che mi sono venuti in mente, certamente surreale e sulfureo, Come scrivere un best seller in 57 giorni (Contromano di Laterza) è proprio un bel modo di mettere il dito nella piaga, liberandosi di tante sterili discussioni, di tante manie e mode che magari fanno tanto intellettuale, ma non ci lasciano niente di più di un pugno di mosche.

Non si vive di solo pane, è vero. Ma anche la cultura non è cultura, non è lavoro, se è solo rimirarsi l'ombelico.

giovedì 24 maggio 2012

Ogni scrittore arriva dopo

Si può pubblicare a pagamento, perchè lo ha già fatto Moravia; si può pubblicare ormai vecchi perchè è già successo a Bufalino; si possono avere molti rifiuti da case editrici perchè ne ha già avuti altrettanti Tomasi di Lampedusa; si può essere stroncati dalla critica perchè la ista di stroncature illustri è lunghissima; si può smettere di scrivere romanzi ed essere considerati grandi scrittori del secolo perchè è già successo a Flaiano.

 Si può non vendere una copia perchè i grandi scrittori che non hanno venduto una copia sono migliaia; si può sperare di essere riconosciuti grandi scrittori dopo la morte perchè è successo a Kafka, a Morselli e a tanti altri. 

Si può spettegolare sul proprio tempo perchè lo ha già fatto Dante; si possono avere idee spaventose perchè le ha già avute Céline. La cosa bella e rassicurante, in letteratura, è il fatto che qualsiasi destino ti capiti, c’è già stato un precedente. 

E’ già accaduto persino che si siano pubblicati libri brutti ma di grandi successo.

(Francesco Piccolo, Ogni scrittore arriva dopo, dalla Lettura del Corriere della Sera)

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...