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venerdì 19 giugno 2015

Inseguendo l'ombra dell'ultimo pirata

Di questo sono sempre più convinto: i libri più belli sono quelli che sfuggono alle classificazioni, che non si fanno catturare troppo facilmente dalla nostra smania di ordine.

Ne sono ancora più convinto ora che ho avuto modo di leggere - e di godermi - l'ultimo libro di Tito Barbini, che è un amico, ma soprattutto è un grande scrittore viaggiatore, o piuttosto un viaggiatore scrittore, parole che non è indifferente mettere in una sequenza piuttosto che in un'altra... ma questo è un altro discorso.

E dunque l'ho letto, mi sono emozionato, ho covato il desiderio di saperne di più. Con le parole sono volato via, fino alle terre più lontane e addirittura fino a un altro tempo. Poi sono tornato a casa, mi sono rigirato tra le mani questo piccolo grande libro che arricchisce la collana delle Non Guide di Mauro Pagliai e mi sono domandato quale fosse lo scaffale giusto: romanzo, biografia, letteratura di viaggio? Solo per dire le prime cose...

Di questo libro mi piace già il titolo - L'ultimo pirata della Patagonia - capace di evocarmi avventure, distanze, traiettorie di vita che si fanno largo tra armi e burrasche - e mi piace ancora di più il sottotitolo: Viaggi veri e immaginari nei mari e nella terra ai confini del mondo.

Se tutti hanno un loro altrove immaginato, desiderato, a volte raggiunto, l'altrove di Tito non può essere che la Patagonia: quel paese alla fine del mondo sul quale ci ha regalato già molte pagine importanti.

Nemmeno la Patagonia, però, con la sua capacità di evocare ciò che davvero ci è essenziale, potrebbe bastarci, se fosse soltanto la cronaca di un viaggio. Tito sa bene che l'altrove si coltiva con la storia, con le storie. Non muovendoci semplicemente da un posto all'altro, ma andando in profondità, respirando il passato, raccontando le vite.

Ed ecco, dunque, che dopo Don Patagonia, lo straordinario missionario del Cacciatore di ombre, Tito incrocia i suoi passi con un'altra ombra: quella di Pasqualino Rispoli, l'ultimo pirata dei mari a sud dello Stretto di Magellano, pirata ma anche molto altro, direi piuttosto un Corto Maltese: avventuriero la cui storia si mescola a molte altre storie, di anarchici e generali, prostitute ed esploratori, indios e latifondisti.

Di più non vi dico, ma sono convinto che è proprio questo che deve fare lo scrittore viaggiatore (o il viaggiatore scrittore?). Scorgere le ombre, sceglierle, farsi accompagnare. E poi raccontarle. Tito, da grande affabulatore, ci riesce benissimo.

giovedì 13 ottobre 2011

Tutto ciò che serve a un libro di viaggi

Leggetelo tutto, perché merita, ma leggete con particolare attenzione le prime pagine de Il cacciatore di ombre (Vallecchi, collana Off the road), il libro che Tito Barbini dedica a quello straordinario personaggio che fu Don Patagonia, cioé Alberto Maria De Agostini, missionario ed esploratore di altri tempi riscoperto attraverso un viaggio in Argentina.

Leggete quelle pagine perché c'è tutto o quasi tutto quello che si deve pretendere dalla letteratura di viaggi.

Dice Tito:

Mi viene da  chiedermi se una storia può essere raccontata da uno scrittore senza che ci metta dentro la sua immaginazione

E ha ragione, Tito, perché la letteratura di viaggio non può essere solo resoconto, diario, cronaca, ha bisogno di quella immaginazione che Giacomo Leopardi definiva la prima fonte della felicità umana.

Dice Tito:

Ho sempre pensato che le storie di viaggio non siano mai storie personali

E ha ragione, Tito, perché il racconto di viaggio è in primo luogo viaggio condiviso.

Dice ancora Tito di non preoccuparsi troppo del tempo e dello spazio che prova a separarci, tanto anche le storie più distanti possono camminare insieme.

E se ci pensate, i nostri viaggi non sono mai solo spazio, sono sempre anche nel tempo.

mercoledì 5 ottobre 2011

Viaggiando in compagnia delle ombre

Racconta Luis Sepùlveda in Patagonia Express:


Iniziai a camminare nel parco, poi per le strade deserte, e all'improvviso mi accorsi che l'eco dei miei passi si moltiplicava. Non ero solo. Non sarei stato solo mai più. Coloane mi aveva passato i suoi fantasmi, i suoi personaggi, gli indio e gli emigranti di tutte le latitudini che abitano la Patagonia e la Terra del Fuoco, i suoi marinai e i suoi vagabondi di mare

L'avevo già incontrata, questa frase, la ritrovo ora che Tito Barbini l'ha scelta come epigrafe de Il cacciatore di ombre, libro che, in effetti, non ci sarebbe mai stato senza la scoperta dell'autore di non essere più solo. Aveva per compagno di viaggio un uomo che solo per l'anagrafe non c'era più, Don Patagonia, straordinaria figura di missionario ed esploratore.

Da scoperte così, ne sono convinto, devono essere segnati i nostri viaggi. Per dire, come fate a percorrere ciò che rimane del Vallo di Adriano, nel nord dell'Inghilterra, senza avvertire alle vostre spalle i passi dell'imperatore e dei suoi centurioni? Come fate a incamminarvi per la Via Francigena senza lasciarvi accompagnare dalle ombre dei suoi pellegrini?

Non siamo mai soli, nei nostri viaggi. Non lo dobbiamo essere. Coltiviamo la compagnia che ci arriva da altri tempi. Altre profondità regalano ai nostri viaggi.

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