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domenica 28 aprile 2013

E' così che vanno le cose nel mondo

È così che vanno le cose nel mondo che non è quello dei polizieschi. 

A volte ti danni per scovare non dico un indizio, ma uno straccio di pista che valga la pena, sputi sangue e non arraffi nemmeno l’aria. 

Altre volte sonnecchi pigro come il più pigro dei gatti, le braccia dietro la nuca e gli occhi socchiusi giusto per le nuvole lontano, ed ecco che piomba a terra il frutto maturo, ciaf!, come la pera di Newton, o era una mela?, ed ecco qua…

(da Paolo Ciampi, Di diverso parere, Romano editore)

lunedì 20 agosto 2012

Murakami e la maratona che è come scrivere

Comunque l'attività che consiste nello spostare concretamente il mio corpo nello spazio, attraverso una sofferenza diciamo opzionale, mi ha fornito un'occasione estramemamente valida di apprendimento. Forse non funziona così per tutti, ma per me sì.

Lo diceva Somerset Maugham: anche nell'atto di farsi la barba c'è una filosofia. Figurarsi se si tratta di correre, in allenamento o in gara non importa, correre perché correre significa misurarsi con se stessi prima con gli altri.

Se non ci credete è il caso di leggere L'arte di correre di Murakami Haruki, sì, l'autore di libri quali L'uccello che girava le viti del mondo, Norvegian Wood, L'elefante scomparso, che è uno che non macina solo parole, ma anche chilometri, uomo che ogni giorno si infila le scarpette di corsa e parte.

Quando corro, dice Murakami, semplicemente corro. I pensieri lo assalgano, lo attraversano, lo lasciano. Come nuvole che vagano nel cielo. Ospiti di passaggio, qualcosa che esiste e al tempo stesso non esiste.

Correre, scrivere. Anche scrivere implica pensieri che arrivano e se ne vanno. Parole come passi. Ritmo da mantenere.

E' un libro sulla corsa, questo. Ma con premesse così diventa lo straordinario autoritratto di un uomo e di uno scrittore. Murakami racconta anche il momento preciso in cui decise di mettersi a scrivere. Fu a una partita di baseball, non a una maratona. Però poi quanta strada. 

venerdì 15 giugno 2012

Tre buoni propositi per questo viaggio


Rügen, finalmente: la nostra isola al termine di questo ponte che non finiva più, chissà come sarà con il vento contro. Ernesto, tanto per fare il buffone, si distende e bacia la terra. Io mi sento meglio.
Ora che siamo dall'altra parte, ora che il mare è distanza che separa e rassicura, è già più semplice rispondere a certe domande. Per esempio quella dell'altro giorno, vigilia di partenza: ma chi me l'ha fatto fare? Che, tra l'altro, è quanto si domandava pure Bruce Chatwin, con la sua domandina usata e abusata: che ci faccio qui?
Potrei rispondere che ritrovarmi qui con Ernesto già basta e avanza.

Però visto che ci sono aggiungo altri tre alibi. O se volete, altri tre propositi.
Proposito numero uno: dimostrare che non è vero che per i grandi viaggi sia sempre necessario il trampolino della solitudine. C'è un mio amico, Tito Barbini, che dopo una vita di impegno politico e di incarichi pubblici a un certo punto ha deciso di mollare tutto. Zaino in spalla si è messo a girare per il mondo raccontando le sue esperienze in libri bellissimi, come Le nuvole non chiedono permesso, Antartide, I giorni del riso e dell'oblio.
Tito sostiene che viaggiare da soli è una condizione necessaria per incontrare gli altri sulla strada. Capisco cosa vuol dire, ma io non sono lui. Mi piacerebbe partire per rimanermene solo, potendo contare, tra l'altro, su un decente livello di convivenza con me stesso. Però mi vedo ancora meglio a tuffarmi nell'altro che è al mio fianco semplicemente perché è venuto via con me. Anche se è un bambino: è un intero universo, un bambino.
Proposito numero due: dimostrare che ci sono grandi viaggi che non hanno bisogno di voli transoceanici, di drastici mutamenti di civiltà, di giornate a dorso di cammello. Che insomma posso rimanere nel mio continente senza passare per il forzato del villaggio turistico, escursione con guida, grazie. Viaggiatore vero anche a un'ora di volo da casa, se non a un'ora di cammino.
Proposito numero tre, peraltro strettamente collegato al proposito numero due: provare che se non è necessario finire in Birmania o in Namibia, non lo è nemmeno macinare chilometri e chilometri ogni giorno. Ci sono viaggi importanti che non si nutrono di grandi spazi, ma di movimenti lenti. Ci sono terre che per accogliervi esigono solo la capacità di scavare nelle loro profondità.
Rügen è una di queste terre, lo so. Sono qui per questo. Anche per questo. E crepi la pigrizia.

(da Paolo Ciampi, Le nuvole del Baltico, Mauro Pagliai editore)

martedì 3 maggio 2011

Se il cervello degli uomini ha la forma delle nuvole

Talvolta pensa anche, ma senza dirlo a nessuno, che il cervello degli uomini abbia la forma delle nuvole, e che dunque le nuvole sono come la sede del pensiero e del cielo; oppure che il cervello è nell'uomo la nuvola che lo unisce al cielo.

Forse potrebbe valere la pena di leggere La teoria delle nuvole di Stéphane Audeguy anche solo per frasi come queste; ma questo libro è anche molto altro: un libro singolare, sbilenco, complesso nonostante la narrazione piana, compassata, sempre molto raccolta, di questa scrittrice francese.

Magari non è il capolavoro a cui qualcuno ha gridato. Però sarà difficile non portarsi con sè almeno uno di questi personaggi: lo stlista giapponese scampato a Hiroshima, la bibliotecaria solitaria di Parigi, il quacchero che per la prima volta studia le nuvole per quello che in effetti sono, il pittore che quadro dopo quadro finisce per svuotare le sue opere di qualsiasi oggetto che non siano le nuvole...

E' una storia che ci fa rimbalzare di secolo in secolo, di latitudine in latitudine, giocando tra finzione e ricostruzione storica, tra romanzo-romanzo e romanzo quasi saggio... fino a che, in dirittura di arrivo, quando tutto pare incanalato verso una conclusione prevedibile, le carte si scompaginano e le nuvole lasciano il posto a un'unica nuvola, la sola creata dall'uomo, la nuvola fungo dell'atomica...

Buono anche per saperne qualcosa di più sulle nuvole, che sono belle, sono anche utili, ma in genere consideriamo poco: poco più di una decorazione o un segno di qualcos'altro che ha a che vedere con la meteorologia, talvolta magari anche un presagio.

Mai che però si guardi alla nuvola per quello che è. Questo libro restituisce dignità alle nuvole.

E a proposito, sapevate che le nuvole hanno un peso? Un peso che fa impressione... Io non ci avevo mai pensato.

giovedì 23 dicembre 2010

Nuvole e città, il libro di viaggi del poeta maledetto

E dunque, ancora i Piccoli poemi in prosa di Charles Baudelaire.

In queste pagine troverete davvero tutto il poeta maledetto, e non importa che questa non sia poesia, sia prosa, prosa poetica. E potrete misurare l'abisso della sua esistenza, la sua incapacità di vivere, di accettare, di legarsi. L'uomo è ciò che gli manca, dirà di lui Georges Bataille: e qui ne capirete la ragione.

Mi era sfuggito che questo, a suo modo, è anche un libro di viaggi. Un libro con una sua geografia, perfino dichiarata da Baudelaire, quando parla del suo sogno di creare una prosa poetica:

Quest'ideale ossessivo nasce anzitutto dalla frequentazione delle città enormi, dall'incrociarsi dei loro innumerevoli rapporti

Un libro sull'impossibilità di cambiare la vita, forse sulla fatica del cambiamento. Un libro che scruta orizzonti necessari, desiderati, auspicati per cui quasi certamente non si partirà mai, anche se quello che conta è andare fuor del mondo, non importa dove.

A me sembra che starei sempre bene là dove non sono

Libro che respira l'aria della grande città. Libro, allo stesso tempo, che salva solo le nuvole.

- Eh via, che ami dunque, straordinario straniero?
- Amo le nuvole.... le nuvole che passano... laggiù... laggiù... le nuvole meravigliose!

Le città e le nuvole. Ciò che è più solido e ciò che è più impalbabile. Ciò che rimane e ciò che se ne va.

domenica 21 novembre 2010

Lo straniero di Baudelaire, uomo delle nuvole

Domenica mattina, mi risveglio e l'occhio corre verso i Piccoli poemi in prosa di Charles Baudelaire, regalo che mi faccio, per cominciare bene questo giorno di festa. E che bellezza, cominciare con le parole de Lo straniero, l'uomo enigmatico che non si sa da dove arriva e a chi appartenga, se a qualcosa appartiene. L'uomo che in ogni caso sembra stare al di là di un confine invisibile, però ama ciò che più di tutto può permettersi di ignorare i confini: le nuvole.

- Uomo misterioso, dì': chi ami di più? Tuo padre, tua madre, tua sorella, o tuo fratello?
- Non ho né padre né madrené sorella né fratello.
- I tuoi amici?
- Usate un termine il cui senso m'è rimasto fin ad oggi sconosciuto.
- La tua patria?
- Ignoro sotto qual latitudine sia.
- La bellezza?
- Dea e immortale, l'amerei volentieri.
- L'oro?
- Lo odio come voi odiate Dio.
- Eh via, che ami dunque, straordinario straniero?
- Amo le nuvole.... le nuvole che passano... laggiù... laggiù... le nuvole meravigliose!

martedì 15 settembre 2009

Anche le nuvole hanno il loro peso

More about La teoria delle nuvole

Talvolta pensa anche, ma senza dirlo a nessuno, che il cervello degli uomini abbia la forma delle nuvole, e che dunque le nuvole sono come la sede del pensiero e del cielo; oppure che il cervello è nell'uomo la nuvola che lo unisce al cielo.

Forse potrebbe valere la pena di leggere La teoria delle nuvole anche solo per frasi come queste; ma questo libro è anche molto altro: un libro singolare, sbilenco, complesso nonostante la narrazione piana, compassata, sempre molto raccolta, di questa scrittrice francese.

Magari non è il capolavoro a cui qualcuno ha gridato. Però sarà difficile non portarsi con sè almeno uno di questi personaggi: lo stlista giapponese scampato a Hiroshima, la bibliotecaria solitaria di Parigi, il quacchero che per la prima volta studia le nuvole per quello che in effetti sono, il pittore che quadro dopo quadro finisce per svuotare le sue opere di qualsiasi oggetto che non siano le nuvole...

E' una storia che ci fa rimbalzare di secolo in secolo, di latitudine in latitudine, giocando tra finzione e ricostruzione storica, tra romanzo-romanzo e romanzo quasi saggio... fino a che, in dirittura di arrivo, quando tutto pare incanalato verso una conclusione prevedibile, le carte si scompaginano e le nuvole lasciano il posto a un'unica nuvola, la sola creata dall'uomo, la nuvola fungo dell'atomica...

Buono anche per saperne qualcosa di più sulle nuvole, che sono belle, sono anche utili, ma in genere consideriamo poco: poco più di una decorazione o un segno di qualcos'altro che ha a che vedere con la meteorologia, talvolta magari anche un presagio.

Mai che però si guardi alla nuvola per quello che è. Questo libro restituisce dignità alle nuvole.

E a proposito, sapevate che le nuvole hanno un peso? Un peso che fa impressione... Io non ci avevo mai pensato.

lunedì 3 agosto 2009

Le nuvole non chiedono permesso

More about Le nuvole non chiedono permessoCi sono dei titoli così azzeccati da dirci già tutto, o quasi tutto. Prendete le nuvole, per esempio, così leggere, così libere, che non devono chiedere permesso, che semplicemente non possono essere fermate. Le nuvole, come le idee, si muovono senza carte di credito e senza visti di ingresso. A volte, quando gli alisei soffiano potenti, possono varcare oceani interi.
Ed è questa la storia di questo libro: la storia di un uomo con un passato importante nelle istituzioni e nella politica, la storia di un uomo che per perdersi e poi ritrovarsi ha abbandonato tutto portandosi dietro solo un bagaglio leggero di pochi indumenti, qualche libro indispensabile e alcune domande da cui non è possibile prescindere.
Tito Barbini lo conosco, so che questo libro è autentico. "Le nuvole non chiedono permesso" è uscito due anni fa e io ho avuto la fortuna di leggerlo subito e di parlarne a lungo con lui. Ora che la città si è svuotata, che molti amici sono partiti per tanti posti diversi di questo nostro mondo, mi è venuto naturale riprenderlo dallo scaffale e leggerne qualche pagina: sarà che serve a rimarcare la differenza tra un viaggio e una vacanza in qualche altro posto che non sempre è un vero altrove.
E così ho ripercorso questo viaggio di Tito: dall'estrema punta dell'America del Sud, dove il sogno si può spingere solo fino ai ghiacci antartici, su su, senza mai prendere un aereo, a volta a piedi attraverso le frontiere, sempre assecondando solo uno spiritaccio vagabondo e curioso, su su fino all'Alaska.
Da solo, ma con una consapevolezza: che dopo le nuvole ritorna sempre il sole: come un cammino che riprende, come un pezzetto di utopia realizzato su questa nostra terra.

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