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lunedì 30 settembre 2019

Gilgamesh e il viaggio per trovare una risposta

Fece un lungo viaggio, fu esausto, consunto dalla fatica: e quando ritornò si riposò, su una pietra l'intera storia incise.

Ecco, questa è la storia di Gilgamesh, che ci arriva da un passato tanto lontano che i poemi di Omero sembrano dell'altro ieri. Abisso di tempo da vertigine, parole che però riescono ancora incredibilmente ad arrivare al nostro cuore.

Gilgamesh, l'uomo a cui erano note tutte le cose, il re che conobbe i paesi del mondo. La sua epopea è stata custodita da tavolette d'argilla, i segni cuneiformi dei sumeri incisi su di essi. Mesopotamia, culla di civiltà e anche della storia che precede tutte le altre storie. 

Dentro c'è il Diluvio Universale, prima del racconto della Genesi. Dentro c'è la storia di un grande viaggio, prima dell'Odissea. Dentro c'è il bisogno di raccontare che fa sì che un ritorno sia davvero un ritorno. Dentro soprattutto c'è l'eterna questione che è dell'uomo, la domanda che getta ombra su tutte le altre. 

Perchè questa è la storia di Gilgamesh, creatura divina per due terzi e umana per un terzo, che dell'uomo ha preso la condizione di mortalità. La storia di un viaggio che non è l'inquietudine o la fame di conquista a spingere. Gilgamesh si spinge attraverso lande selvagge per raggiungere la Fonte dell'Eterna Giovinezza, là dove cercherà di sottrarsi al destino che è di tutti: e che sarà anche il suo destino, perchè persino lui, Gilgamesh, perderà la sfida delle sfide.

O Gilgamesh, era questo il significato del tuo sogno. Ti venne data la sovranità, questo era il tuo destino; una vita che duri in eterno non era il tuo destino. Non essere triste in cuor tuo per questo, non essere afflitto né oppresso.

Mortale tra i mortali anche lui. Ma capace di strappare quel tanto di immortalità che ci è concessa tramite le parole delle tavolette d'argilla. 

Perchè, appunto, quando ritornò su una pietra l'intera storia incise.





 

lunedì 11 luglio 2016

Le parole che gonfiano le vele del mito

Non fatevi ingannare dal titolo - Noleggio arche, caravelle e scialuppe di salvataggio - o meglio, sintonizzatevi con questo titolo, che prova a mettere insieme ironia e avventura, leggerezza e voglia di andare a vedere cosa c'è di là, perché, come recita la saggezza popolare, se non si va non si vede.

Titolo curioso per un libro curioso, che Riccardo Ferrazzi pubblica in una collana curiosa, Bassastagione, dell'editore Fusta di Saluzzo. Opere - a cura di Marino Magliani e Stefano Costa - capaci di mettere insieme geografie umane e paesaggi letterari, scommettendo su una singolare qualità.

Se volete capirne di più, ecco anche il sottotitolo, certo più esplicativo: Breve discorso sul mito. Ma anche in questo caso non fatevi ingannare. Questo non è un saggio denso e faticoso, su un tema che peraltro è tra i più importanti e intriganti che hanno accompagnato la storia dell'umanità.

Perché i miti - ci spiega Ferrazzi - contengono la prima manifestazione della nostra civiltà, sono il repertorio dei nostri vizi e dei nostri valori, la cartina tornasole del coraggio e della sofferenza. Per comprenderli bisogna in un certo modo mettersi in viaggio e rendersi disponibili all'avventura.

E dunque, questo è il viaggio che Ferrazzi ci propone. Dai miti della Genesi, della Cacciata dal Giardino, del Diluvio Universale - con quel senso di colpa che è il più primordiale dei sentimenti. Fino al mito dell'Isola Felice, dell'isola che non c'è ma che l'uomo ha costantemente cercato, da Dante a Cristoforo Colombo.

E quante storie che ci sono in mezzo. Mesopotamia ed Europa medievale, Inferno e Paradiso, Don Giovanni e Don Chisciotte.

E' una caccia al tesoro questo libro, un'indagine per fare luce sui luoghi remoti da cui un giorno siamo salpati e a cui forse un giorno ritorneremo.

Basta salpare, basta alzare le vele e lasciarle gonfiare ai venti delle parole.


venerdì 23 novembre 2012

Il pane siamo noi, la nostra vita

E' nato nella cenere, sulla pietra. Il pane è più antico della scrittura e del libro. I suoi primi nomi sono stati incisi su tavolette d'argilla in lingue ormai estinte. Parte del suo passato è rimasta fra le rovine. La sua storia è divisa fra terre e popoli.

Eccole, le prime righe di Pane nostro di Predrag Matvejevic, viaggio appassionante nella storia del pane, che poi nient'altro è che la storia dell'umanità. Fin dall'antico Egitto o dalle fertili pianure della Mesopotamia,

Storia di viaggiatori, pellegrini, marinai. Storia di traffici, di scambi, di guerre. La nostra storia.

La storia del pane conservato nelle madie e diviso tra i commensali, ma anche del pane che diventa leggenda, rito, poesia. Alimento del corpo e dello spirito. Sudore e ricompensa del lavoro. Pane guadagnato, elemosinato, rubato, sottratto a chi spetta, condiviso con chi non ne ha.

Per 20 anni Predrag Matvejevic ha lavorato su questo libro, ovvero ha lavorato sul pane per darci un altro pane - fatto di parole e lievitato con la passione.

Pagine, non meno affascinanti di quelle che diversi anni fa ci offrì con Breviario mediterraneo. Pagine per ricordarci ciò che troppo spesso ci dimentichiamo: che il pane è la vita, il pane siamo noi.

giovedì 21 ottobre 2010

L'operaio inglese e la scoperta di Gilgamesh


Ci sono pagine nascoste in un libro che equivalgono a interi romanzi. Storie di vita che non si capisce perché ti arrivano solo così – per caso, mentre ti stai occupando di altro. La storia di George Smith – un nome che sembra falso da quanto è banale – è una di queste. Una storia eccezionale in cui mi sono imbattuto leggendo Ararat dell’olandese Frank Westerman (e/o edizioni).
E dunque se il nome era banale, anonimo era e doveva essere il destino di George Smith, figlio di operai inglesi nella Londra dell’Ottocento. Operaio lui stesso dopo aver abbandonato la scuola a 14 anni. Apprendista incisore di banconote, per la precisione.

Doveva vivere e morire così, solo che George Smith coltivava il suo tempo libero in una sala del British Museum, quello che custodiva le tavolette di argilla di Ninive. Come un appassionato di enigmistica scrutava quei testi scritti in un antico alfabeto cuneiforme che nessuno era riuscito ancora a decifrare. La Mesopotamia culla della civiltà e tanti misteri da svelare.
Ci riuscì lui, George Smith, grazie ai suoi studi sui codici che venivano impiegati per i biglietti di banca. E già questo sarebbe bastato: l’operaio era arrivato dove non erano arrivati i più grandi studiosi.

Ma a me piace soprattutto quello che viene dopo. Perché un giorno, lavorando su quelle tavolette, da quei segni emersero parole che componevano un verso. E poi un altro verso e un altro verso ancora. Parole che parlavano di un antico diluvio che aveva spazzato via il mondo e di una nave piena di animali che si era incagliata sulla cima di un mondo.

Era la storia del diluvio universale, secoli e secoli prima che questa storia trovasse posto nelle pagine della Genesi. Era il poema di Gilgamesh, il più antico capolavoro conosciuto, la storia del re di Uruk che cerca il segreto dell’eterna giovinezza.

Giusto che proprio questo fosse il tema delle prime parole letterarie strappate al buio dei tempi.

Racconta Westerman che scoprendo i primi versi George Smith si sia messo a gridare:
Sono il primo a leggere queste righe dopo oltre duemila anni di oblio

Pare anche che tra lo stupore di tutti i compassati studiosi del British Museum abbia cominciato a spogliarsi, pazzo di gioia.
Voi ve la riuscite a immaginare, quella voce?

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