Visualizzazione post con etichetta Ottocento. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ottocento. Mostra tutti i post

martedì 19 settembre 2017

Camminando con i romantici di Inghilterra

Poi dicono che è una moda e come tale passeggera. Beh, nel caso lo fosse sarebbe finalmente una moda che mi piace e mi preoccuperei solo se fosse davvero passeggera.

Parlo dei cammini: e in effetti è qualche tempo che giornali, libri, blog e quant'altro si sono gettati con soddisfazione sull'argomento. In tanti ci provano, anche persone che non direste mai. E più in genere sono diminuiti sorrisetti, occhiate di compatimento, manifestazioni di stupore nei confronti di chi si mette in cammino: diciamo che tutto sommato siamo sulla cresta dell'onda.

Moda passeggera? Beh, meglio rassicurarsi con un libro come La via del sentiero, uscito qualche tempo fa per le Edizioni dei Cammini, a cura di Wu Ming 2. Un'antologia per camminatori, ma anche un'antologia di camminatori, anzi, di scrittori camminatori.

E' la riproposta di un'opera uscita molto tempo fa in Inghilterra e che mette insieme diversi autori inglesi: non dei nostri tempi, ma dell'Ottocento. Ovvero del secolo in cui, almeno da quelle parti, camminare divenne attività che non era solo del mendicante, del pastore o tutt'al più del pellegrino. Quando anche i poeti e i pittori cominciarono a mettersi per strada.

Vi troverete scritti illuiminanti e grandi autori alle prese con le scoperte che il cammino ti concede. Forse con qualche atteggiamento snob, allo stesso modo degli aristocratici che per primi scoprirono il rugby e non si tirarono indietro di fronte al fango.

Tante scoperte sono anche per il lettore, tra queste pagine. Per esempio Robert Louis Stevenson, che prima di incantarci con l'Isola del tesoro e gli altri grandissimi romanzi compie un viaggio a  piedi in compagnia di un asino, attraverso le Cévennes, in Francia: ed è il primo a descriverci un sacco a pelo. Oppure Thomas de Quincey, che tutti conoscono per le sue Confessioni da oppiomame, attività che non pare molto compatibile con quella del camminatore: e che pure lo fu, grandissimo. Fu lui, tra l'altro, a lasciarci la pirma descrizione di una tenda da escursionista.

Quante cose in queste pagine: l'ottimismo di uomini che si mettono in cammino, il romanticismo che si alimenterà dei monti e dei laghi di Inghilterra, una sorprendente sensazione di libertà che è già premessa dell'on the road dei poeti beat.... e certo anche un discreto individualismo, l'idea della fuga che - come nota Wu Ming 2 nella sua introduzione - per ora ha la meglio sull'idea di responsabilità per il territorio che si attraversa.... ma appunto questto è solo l'inizio e se non è moda ci sarà tempo per aggiustare tutto...

mercoledì 6 agosto 2014

Chi riscopre Tarchetti, poeta della Scapigliatura

Meno male che c'è chi non si arrende e, anzi, proprio ora ci prova. Malgrado la crisi, malgrado i conti che non tornano mai, malgrado i tempi bui non solo per le vendite ma anche per la fatica che fa a farsi largo la qualità. Meno male che esistono ancora case editrici senza grandi spalle, ma che vanno avanti con le  loro proposte che niente hanno a che vedere con calcoli miopi che alla lunga fanno solo male. In natura c'è la biodiversità, ma anche nella cultura c'è qualcosa di simile, da tenere come cosa preziosa.

Prendete per esempio DeComporre edizioni, casa editrice di Gaeta, piccola, coraggiosa, intraprendente. Ricca soprattutto di passione, e lo posso dire, visto che ho avuto modo di conoscere le persone che la animano.

Ecco una loro proposta: Disjecta di Iginio Ugo Tarchetti.

Chi era, Iginio Ugo Tarchetti? Nemmeno io lo conoscevo, eppure un posto nella letteratura italiana ce l'ha avuto. Siamo verso la metà dell'Ottocento. Tarchetti è un ragazzo che ha appena voltato le spalle a una promettente carriera nell'amministrazione militare. Si è trasferito a Milano, che non è più la Milano degli Asburgo e delle Cinque Giornate. E' sempre più la Milano della buona borghesia, ma allo stesso tempo è la città dove soffia una brezza di inquietudine, che chissà, forse un giorno si farà tempesta.

All'ombra della Madonnina il nostro entra in contatto con i salotti della Scapigliatura e ne diventa una delle penne più rappresentative. Scrive, scrive molto, prima di morire troppo presto, a nemmeno 30 anni, consumato dalle difficoltà economiche e dalla tisi: epilogo quasi scritto sui muri per un poeta dell'Ottocento, per uno scapigliato che come tale non immaginiamo a mettere su famiglia e a invecchiare.

Disjecta è la sua raccolta poetica, pubblicata postuma nel 1879. Io la trovo bella, intensa, commovente. Può piacere o non piacere. Fatto sta che a riproporla, nella sua versione originale e integrale, è oggi DeComporre. Non uno dei nostri grandi editori. E allora: facciamo tesoro dei nostri piccoli.

venerdì 31 maggio 2013

L'India alla Tiziano Terzani di Guido Gozzano

Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo, scriveva Guido Gozzano.

E sarà anche, io so solo che con i suoi versi teneri e malinconici questo ragazzo piemontese ci ha fatto un dono straordinario, che è bene tenersi stretto.

E' dai tempi del liceo, quando l'antologia di italiano mi ha fatto planare verso questo poeta crepuscolare, che mi tengo stretto il suo mondo di care piccole cose, tanto decenti quanto di gusto discutibile, come i soprammobili nel salotto buono di una vecchia zia. Invece non avevo ancora letto le lettere che scrisse non da uno borghesissimo studio del Piemonte fin di secolo (intendendo l'Ottocento) ma niente di meno che dall'India. Sarà che da uno come lui nemmeno mi immaginavo che un giorno potesse partire e andare così lontano.
 
Eppure è proprio così, Gozzano in India arriva nel 1911, non come uno scrittore in cerca di materiali per un suo libro, ma come un giovane avvocato torinese malato di tubercolosi, in cerca chissà di che cosa, forse di un'aria migliore, forse di un'altra vita. Di una guarigione comunque, che chissà, forse ha meno a che vedere con i suoi polmoni che con le inquietudini della vita.

Qualcosa che alla lontana sa di Tiziano Terzani, insomma.

C'è chi ha scritto che Guido Gozzano è il viaggiatore che vede e racconta quasi soltanto se stesso, ma in ogni caso sono belle le sue lettere dall'India, prima pubblicate sul quotidiano La Stampa e poi raccolte nel volume Verso la cuna del mondo (oggi riedite da Edt).

Belle anche se ho fatto fatica a riconoscere nel poeta dei salotti borghesi l'uomo che parla di Bombay metropoli ospitale oppure di Goa, peraltro, all'Emilio Salgari, già visitata con la fantasia, cento volte con la matita, durante le interminaboli lezioni di matematica. 

Poi però ho scovato queste righe: e ho ritrovato davvero Guido Gozzano.


venerdì 1 marzo 2013

Che bella, l'Olanda di Edmondo De Amicis

Chi guarda per la prima volta una grande carta dell'Olanda, si meraviglia che un paese così fatto possa esistere. A primo aspetto non si saprebbe dire se ci sia più terra o più acqua, se l'Olanda appartenga più al continente che al mare.

E allora, scordatevi le storie edificanti di Cuore, i buoni sentimenti e gli insegnamenti di un libro buono per i ragazzi e le ragazze di un'Italia che, sui banchi di scuola, cercava ancora di costruirsi, dopo che gli eventi della storia l'avevano già tenuta a battesimo.

L'Edmondo De Amicis di Olanda non sembra nemmeno lo stesso di Cuore: piuttosto è un uomo che guarda lontano, che si lascia sospingere dalla curiosità per le cose del mondo, più giornalista che narratore. Capace di accompagnarci nella vita e nella storia di un paese con la simpatia e l'empatia di un amico più esperto.

E' un gran libro di viaggio, Olanda di Edmondo De Amicis, uno dei più intriganti e meno datati tra quanti ho letto dell'Ottocento. Sarà che qualcosa - o molto - dell'Olanda di oggi si ritrova anche in quest'opera del 1876. Sarà che lo si deve non solo al viaggiatore, ma anche al viaggio: ovvero a questo paese singolare che meriterebbe più attenzione di quanto gliene abbiamo mai data.

Così ben venga Edmondo de Amicis, a raccontarci di questo paese a geografia mutevole, dove prima che la politica è stato il lavoro dell'uomo a cambiare le mappe; di questo popolo che ha domato l'acqua rendendosela amica; di questa gente  che ha saputo rendersi libera resistendo ai più grandi Imperi, senza celebrare più di tanto le sue vittorie.

E dei suoi mulini a vento, dei suoi cieli, dei suoi pittori più bravi a rappresentare donne che versano il latte, giovani che scrivono lettere, ubriachi davanti al camino che santi, guerrieri ed eroi.

Bello questo libro. Da raccomandare a chi si prepara a un viaggio in Olanda. E anche a chi non ci andrà mai: sono comunque parole che ci portano lontano.

martedì 29 gennaio 2013

La Groenlandia, prima che si arrivasse noi

Siamo in Groenlandia, più o meno verso la metà dell’Ottocento, prima che gli europei abbiamo fatto la loro irruzione nel millenario mondo delle tribù inuit. Prima del domani, appunto: il titolo di questo bel libro del danese Jorn Riel, pubblicato da Iperborea.

Uomini e donne che da sempre vivono in condizioni che a noi piace classificare proibitive. Esistenze dure sostenute dalla forza di piccole comunità che sanno trarre il meglio da una natura avara e dal succedersi delle stagioni e concedersi persino la tregua della bellezza.

Poi arrivano loro, i bianchi sterminatori. E di un’intera comunità non sopravvivono che una donna anziana e un suo nipotino, flebile possibilità di futuro.

Sullo sfondo di una vicenda poco conosciuta, quella dell’orribile massacro degli inuit, ecco una storia intensa, dolorosa e poetica.

Una storia “possibile”, raccontata da uno scrittore che per tanti anni ha vissuto in Groenlandia (prima di finire, per chissà quale singolare contrappasso, in Malesia), a partire da due crani che tanti anni fa ha ritrovato in queste terre dell’estremo nord: di una donna e di un bambino appunto,

Riel è magistrale nel raccontarci il mondo degli inuit prima del devastante impatto con gli europei. Una rara penna capace di usare al meglio tutti i colori del crepuscolo.

sabato 24 marzo 2012

E' sempre la poesia dei pastori erranti

A volerla percorrere fino in fondo, questa è una storia che sembra fatta apposta per incantare e sedurre.


Una storia meravigliosamente generosa, che ci regala suggestioni a non finire: la poesia e la pastorizia, un sottile filo che si snoda attraverso i millenni. Non mi riferisco alle tante pagine che nel tempo si sono offerte a chi ama cibarsi di letteratura, dai lirici dell’antica Grecia ai cantori di tante finte Arcadie del nostro Seicento, fino al pastore errante dei versi di Leopardi, con il suo dolce canto notturno.


No, questa poesia è parola viva, parola che scappa via, parola di pastori veri. Poco importa che si trovi tra le rocce degli Abruzzi oppure tra i deserti solcati dalle carovane dei Tuareg. La domanda del poeta di Recanati – Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna? – appartiene a tutti loro. È fatta delle loro vite, segnate da albe rarefatte e da irrimediabili distanze, dalle fatiche della transumanza e dall’immobilità di meriggi infuocati.


Il pastore ha tempo per immergersi nel tempo universale, vive nel silenzio che a volte è maestro nello scolpire la parola.

giovedì 16 febbraio 2012

La dolce vendetta di Elizabeth

Elizabeth von Arnim scrisse 21 romanzi, ebbe due mariti, un conte tedesco oppressivo e un conte inglese vendicativo, cinque figli che non le diedero grandi soddisfazioni, un certo numero di amanti e di amatissimi cani....

Che bella, la pagina che Natalia Aspesi, su Repubblica, dedica a Elizabeth von Arnim, donna che nacque in Australia, morì negli Stati Uniti, ma visse in Germania, Inghilterra e altri paesi; donna libera e irrequieta, grande scrittrice, a cavallo tra Ottocento e Novecento.

La sua storia è anche la storia di quanto sia stato difficile per le donne strappare non solo il diritto al voto, ma anche il loro posto nella letteratura. Scrive Natalia Aspesi:

Scrivere allora era l'unica forma di creatività femminile appena tollerata, e le scrittrici venivano spesso considerate creature sospette, poco raccomandabili, anche ridicole, almeno secondo la stampa satirica. Molte autrici sceglievano di tutelarsi, nascondendosi dietro un nome maschile...  Dopo furibondi litigi domestici, quella che poi avrebbe scelto di firmare i suoi ventun libri come Elizabetg von Arnim, ottenne dal marito il permesso di pubblicare la sua prima opera, a patto che risultasse di anonimo autore, in modo da rendere impossibile identificarla per non macchiare il glorioso stemma di famiglia.

Quel libro era Il Giardino di Elizabeth e ha rappresentato la più deliziosa delle vendette. Perché ancora oggi viene pubblicato e letto - in Italia lo ha fatto Bollati Boringhieri - e sulle sue pagine è possibile scoprire questa scrittrice ironica, spregiudicata, perfino spietata nel mettere in croce una società boriosa, superficiale, vecchia, ingiusta.

Del marito e del suo glorioso stemma di famiglia oggi non si ricorda più nessuno.... la vendetta più deliziosa è anche quella che si serve fredda e si consuma nel tempo.

lunedì 6 febbraio 2012

Il nobile inglese che incontrò il mistico persiano

Quanti  straordinari personaggi si incontrano, sulle pagine de Gli anelli di Saturno, il libro con cui W.G.Sebald racconta un suo viaggio a piedi attraverso la contea del Suffolk. Viaggio nello spazio, ma anche viaggio nel tempo, grazie a pagine di libri e tracce che il tempo ha consegnato al presente, come onde che vanno a morire sulla battigia dei nostri giorni.

Un personaggio è senz'altro Edward FitzGerald, poeta inglese dell'Ottocento, discendente di una nobile famiglia anglo-normanna che non cercò onori e privilegi, ma che per gran parte della vita si accontentò di abitare in un modesto cottage, vivendo di poco o niente, leggendo sregolatamente nelle più diverse lingue

Viene ricordato, da chi lo ricorda, come un poeta, però l'unica cosa che riuscì a dare alle stampa in vita fu la sua straordinaria traduzione delle quartine di Omar Khayyam, il grandissimo poeta di Persia. Dice Sebald:

FitzGerald definì le interminabili ore che aveva dedicato alla versione dei duecentoventiquattro versi del poema come un colloquio con il poeta morto.

Non era stato solo un faticoso lavoro di traduzione. Con quelle interminabili ore si era costruito un ponte di parole tra due continenti, due civiltà, tra l'Oriente medievale e l'Occidente che ancora non sapeva intravedere il suo tramonto.

Ma prima ancora un colloquio tra due poeti capaci di infondere vita alle loro parole. Il mistico persiano e il nobile che non credeva più ai suoi quarti di nobiltà. Bello.




martedì 1 febbraio 2011

Jessie, la garibaldina innamorata di Shakespeare


Ho scritto un libro intero su Jessie White, la ragazza inglese che attraversò tutte le vicende del Risorgimento italiano, la donna che divenne la più stretta collaboratrice di Mazzini e Garibaldi, la persona che assicurò la cura dei feriti in battaglia, la prima corrispondente di guerra, la più brava giornalista del nostro Ottocento.... eppure la storia che di lei più mi piace e mi commuove si nasconde negli ultimi anni della sua vita.... 

Jessie ormai vive da sola a Firenze, vedova, povera, guadagnando quel poco che si può guadagnare con qualche collaborazione giornalistica e con le lezioni di inglese. L'Italia fatta l'ha delusa. Spesso si volta indietro, e come sono lontane le speranze di un tempo. 

Molti compagni di una volta sono scomparsi, molti sono cambiati, ora magari siedono sulla poltrona di un ministero. Un giorno bussano alla porta due funzionari spediti da Francesco Crispi, amico di una volta, diventato presidente del consiglio. Le propongono un vitalizio. Lei quasi li prende a calci. Gli ideali non devono procurare la pensione.

Legge ancora molto. I libri li prende a prestito. Al Gabinetto Vieusseux. Non può permettersi di acquistarli. E tra tutte le pagine le più care sono quelle dei sonetti di Shakespare. E tra tutti i sonetti c'è questo. Il senso di una vita che in ogni caso non ha rimpianti.


Quando all’appello del silente pensiero
io cito il ricordo dei giorni passati,
sospiro l’assenza di molte cose bramate
e a vecchie pene lamento lo spreco della mia vita:
allora, pur non avvezzi, sento inondarsi gli occhi
per gli amici sepolti nella notte eterna della morte,
e piango di nuovo pene d’amor perdute,
e soffro lo stacco di tante immagini scomparse:
allora mi affliggo per sventure ormai trascorse,
e, di dolore in dolore, tristemente ripasso
l’infelice conto delle sofferenze già sofferte
che ancora pago come non avessi mai pagato.
Ma se in quel momento io penso a te, amico caro,
ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...