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giovedì 27 settembre 2018

Le isole sono tutto e il contrario di tutto

Sostiene Silvia che si può essere molto felici su un'isola, anche se è evidente che la cosa vale soprattutto per chi a quell'isola appartiene da sempre. Sostiene Silvia che le isole sono tutto e il contrario di tutto, ma che certo non sono solo grumi di terra circondati dal mare. Sostiene Silvia che vale anche per chi, come lei, è donna di terraferma, tanto quello che conta è sentirle dentro.


Cose così, trovate dentro L'inquietudine delle isole di Silvia Ugolotti, ultima perla che ci regala Ediciclo con la sua Piccola Filosofia di Viaggio, piccoli grandi libri che in poche pagine concentrano sguardi sul mondo e movimenti dell'anima. E lo dico con sincerità: tra tutti i titoli di una collana che dovrebbe abitare gli scaffali di ogni viaggiatore, questo è uno dei più belli.

Vorrei vederle tutte, dice Silvia: e si intende che l'inquietudine è più sua che delle isole. E' fame di mondo che non sarà mai saziata, chiaro, a fronte delle centotrentaduemila isole che qualcuno è riuscito a censire. Ma non importa, perché ci possono essere le Azzorre e le Comores, le Eolie e Far Oer, non importa perché in fondo si insegue sempre l'isola delle isole, un sogno che è molti sogni, un'utopia che si dilegua con l'approdo che segue.

Quante cose, in questo concentrato di viaggi che a volte esigono una nave e a volte solo una buona dose di fantasia. Geografia che si compone, attraverso un rosario di destinazioni, letture, emozioni. E ci sono le isole paradiso, più o meno perduto, e le isole inferno, a volte fin troppo reali. Le isole mito e le isole che i nostri piedi calpestano e comprovano.

Scogli sferzati dai venti del nord e palme su spiagge tropicali, cieli di stelle e fari che sono salvezza nella notte. Isole che ci sono, isole che ora ci sono e ora non più, isole che navigano. Ma soprattutto l'isola che non c'è - soprattutto quella - l'isola che non c'è e che pure continua a esserci, finché non si smetterà di desiderarla.

Quell'isola, mi sa, che era nei racconti di un padre che rincalzava le coperte prima di accompagnare al sonno una bambina. Mi racconti il mare? E lui che cominciava: C'era una volta un'onda.... E con l'onda quell'isola, che è un'altra isola, ma non è poi molto diversa dalla mia Mompracem. 

martedì 8 maggio 2012

Il pescatore di aragoste scrittore a 98 anni

Il pescatore di aragoste che imparò a leggere a 92 anni e che a 98 riuscì a diventare anche uno scrittore.... che bella storia, quella pescata, è proprio il caso di dire, da Paolo Maestrelli, inviato a New York per La Stampa. Una storia che davvero avrebbe fatto contento Alberto Manzi, ricordate?, il maestro degli italiani, quello che negli anni Sessanta con le sue lezioni televisive strappò migliaia di italiani all'analfabetismo.

Non è mai troppo tardi, si chiamava il programma del maestro Manzi. E che non è davvero mai troppo tardi ce lo insegna la storia di James Arruda Henry - un nome che se non è uno pseudonimo può essere solo o di un grande scrittore o di un grande poveraccio.

Figlio di disgraziati immigrati dalle Azzorre, solita storia di alcolismo e miseria in famiglia, James fu costretto a lasciare la scuola ad appena 8 anni. Il suo futuro poteva essere solo la fatica per mare, che non esige confidenza con quegli strani sgorbi di inchiostro. Per una vita intera si vergognò della sua ignoranza e la nascose anche ai famigliari. Riuscì a mantenere il segreto, in un modo o nell'altro. Per esempio al ristorante, quando aspettava che gli altri leggessero il menù per poi ordinare la stessa cosa.

Solo quando la moglie si ammalò, passati i 90 anni, James dovette chiedere aiuto alle figlie, rivelando il suo segreto. E da lì è cominciata un'altra storia.

Pare che si sia deciso a studiare dopo aver ricevuto da un nipote il libro che raccontava la storia di uno schiavo nero che aveva imparato a leggere e scrivere a quasi 100 anni. E se è così questa è anche la storia di un libro che raccontando una storia "impossibile" ne rende "possibile" un'altra.

E questa è la storia di James Arruda Henry, autore del libro A Fisherman's Language, da non confondere con Henry James, lo scrittore. O forse sì.

James Arruda Henry, di Mystic, costa del Connecticut. Mystic, altro nome che forse non è solo una combinazione. 


lunedì 5 luglio 2010

Quel luogo a cui a un giorno arriviamo

Ha detto una volta Antonio Tabucchi: 

Un luogo non è mai solo “quel” luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati

Sono d'accordo: quel luogo non è mai solo quel luogo. Quel luogo è quello che ci portiamo dentro. E' l'altrove che sta dentro il nostro immaginario, l'approdo di ciascuno di noi, la terra che ci appartiene o a cui apparteniamo.

Per Antonio Tabucchi è facile che quel luogo siano le Azzorre. Per altri sarà la Patagonia - mi viene in mente Tito Barbini - oppure la Mongolia - ricordo ciò che di questa terra ha scritto Giovanni Lindo Ferretti. Altri ancora coltiveranno il loro altrove in una baitina di montagna o nella pineta al mare di sempre. E ci sarà pure anche chi - forse il sottoscritto? - guarderà a Mompracem o piuttosto a qualche altra isola che non c'è.

L'importante è tenerne di conto, di quel luogo. Di non smarrirlo. Di non consentire che il tempo lo spazzi via con la sua terrificante capacità di amnesia.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...