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mercoledì 22 aprile 2015

Marino Sinibaldi: la cultura come il vento che ci muove

Definire la cultura è come ingabbiare il vento. Però è proprio questo vento che può gonfiare le vele della vita e permetterle di scegliere una rotta e una meta, liberandola dalle costrizioni, dai limiti, dai destini segnati.

E' questo lo spirito che, fin dal primo rigo, anima Un millimetro in là, l'intervista sulla cultura, pubblicata da Laterza, che Giorgio Zanchini realizza con Marino Sinibaldi, ideatore di Fahrenheit, la trasmissione radiofonica che più di tutte in Italia ha "fatto" cultura e reso la cultura protagonista.

E' una bellissima intervista, densa di riflessioni che accompagnano a lungo, pensate solo al tema della differenza - che genera movimento e pensiero - ma anche della diseguaglianza che invece indebolisce le motivazioni. Un'intervista che racconta molto anche di Sinibaldi, uomo che con i libri ha uno straordinario debito di gratitudine ("Nella mia vita quasi tutto è passato attraverso i libri, a loro devo in buona parte l'uscita da una situazione di marginalità sociale e culturale").

Ma soprattutto un'intervista che fa bene, perché scuote da ogni rassegnazione, aiuta a confidare ancora in un paese che sulla cultura può ancora scommettere. Un'intervista declinata sulla possibilità e sul futuro. Perché è giusto scommettere ancora su un pensiero che sia il più "lungo" e il più "largo" possibile: lungo nel tempo, verso i giorni che verranno, e largo nello spazio, capace di abbracciare tutte le differenze. 

sabato 14 dicembre 2013

Non ci credo, con i libri tasse più leggere

Magari finirà per sparire tra un passaggio parlamentare e l'altro - e così sarà anche peggio. E' che sono tempi così deprimenti che alle buone notizie non ci viene da credere. O le registriamo con la reazione del riccio di fronte al pericolo: dove sarà la fregatura?

Ci sto rimuginando, ma indubbiamente questa è una buona notizia: dal prossimo anno, dunque, gli acquisti di libro - fino a 2 mila euro - saranno detraibili dalle tasse, allo stesso modo delle spese mediche o delle attività sportive dei figli.

Voglio crederci. E non so se la proposta del governo arriverà in fondo. Non so se sarà colta in tutta la sua importanza da un paese che ormai sembra essersi rassegnato al divorzio dal libro, così come all'idea che la lettura sia qualcosa di sostanzialmente superfluo: al massimo un fastidio scolastico o il passatempo di chi non sa far di meglio.

Intanto è una bella inversione di rotta, per un paese che in questi anni ha fatto di tutto per liquidare la cultura, senza preoccuparsi che senza cultura non si perdono solo le radici, ma anche le prospettive di futuro. Perché si può precipitare anche nella crisi più nera - prendete per esempio l'Islanda, con la sua bancarotta - ma dalla crisi è più facile uscire con la cultura - prendete ancora l'Islanda, con il suo popolo di lettori voraci.

Verrebbe da dire che uguali detrazioni potrebbero essere pensate anche per chi, con le sue scelte e la sua intelligenza, decide di sostenere l'informazione. Ma lo so che è un altro discorso, decisamente più spinoso. Per il momento mi accontento così.

martedì 7 maggio 2013

Ragionando sui poveri scrittori distrutti dall'e-book

Credo che debba fare riflettere, e non poco, l'intervento che Scott Thurow ha pubblicato qualche giorno fa su Repubblica, col titolo Poveri scrittori distrutti dall'e-book.

Premesso che è sempre il punto di vista di un fortunatissimo autore di best-seller e che, negli Stati Uniti non so, ma in Italia certamente, il povero scrittore lo è comunque anche sulla carta, è importante che si cominci a sottolineare che non è tutto oro quello che luccica; che non c'è solo un problema di nostalgia per il caro vecchio libro; che l'ebook non minaccia solo il lavoro dei librai, ma anche degli stessi autori.

Non fosse altro che per la pirateria:

Se io mi mettessi all'angolo della strada e dicessi a a chi me lo chiede dove può andare per acquistare merce rubata, e in cambio di questa informazione percepissi un piccolo compenso, finirei in galera. Eppure, i motori di ricerca fanno la stessa cosa.

In realtà quella che è entrata in crisi è l'idea che una cultura letteraria variegata, creata da autori di cui devono essere difese le fonti di sostentamento, e di conseguenza l'indipendenza, rappresenta un elemento fondamentale per la democrazia.

E lo so che questo è un libro dei sogni, lo so che il discorso porterebbe lontano, però la domanda con cui conclude Scott Thurow bisognerebbe farcela un po' tutti:

Molte persone direbbero che questi cambiamenti sono semplicemente una naturale evoluzione del mercato e non vedrebbero problemi se gli autori fossero ridotti a scrivere solo per il piacere di farlo. Ma che razza di società sarebbe?


martedì 5 marzo 2013

Curzio Maltese: più cultura per un paese più giusto

Anche i guai dell'economia, in buona sostanza, dipendono dall'abbassamento della cultura generale.

Non sappiamo pensare in maniera complessa, quindi non sappiamo più produrre in maniera moderna.

Più della metà degli italiani, sostiene un grande studioso come Tullio De Mauro, sono da considerare analfabeti. Per trovare nelle classifiche Ocse un Paese che legge di meno e capisce di meno il poco che legge, occorre scendere al livello di alcune aree dell'America Latina, le più povere.

E' una tragedia antica, sulla quale è calato come una mannaia il ventennio berlusconiano: oggi chi invoca investimenti nella cultura è considerato un parassita o uno snob.

Invece la cultura è l'unica possibile leva per creare un Paese più giusto, per rimettere in moto una società di caste dove la nascita decide al novanta per cento il futuro di un ragazzo.

(Curzio Maltese, dal suo Contromano sull'ultimo Venerdì di Repubblica)

sabato 26 febbraio 2011

Se la scuola diventa inutile

Perché oggi tutti pensano che studiare sia inutile. E' questo il sottotitolo di uno degli articoli più belli che negli ultimi tempi ho letto di Piero Citati, pubblicato qualche giorno fa sul paginone centrale di Repubblica. Ed è scritto proprio così, senza nemmeno l'attenuante di un punto interrogativo.

Ed è così: oggi è sempre più diffusa l'idea che la scuola sia inutile. E che tra le materie più inutili di una scuola inutile ci siano magari la letteratura, o la storia, o la geografia.

Non si tratta del solito legittimo j'accuse contro la riforma Gelmini. Si tratta di qualcosa che sta succedendo anche altrove, e che da noi magari si fa in modo più ipocrita e cialtronesco. Ma che riguarda la Russia - dove forse non si studierà più nemmeno Tolstoi - come l'Inghilterra, dove il governo ha reso facoltativo lo studio delle lingue straniere, come se studiare il francese o il tedesco o l'arabo fosse solo questione di curriculum per un lavoro, e non un grande investimento in cultura, fantasia, intelligenza.

E dunque conclude Citati:


Non sappiamo più leggere, né scrivere, né conoscere le lingue straniere, né comporre un lavoro qualsiasi. Un tempo, l'Occidente era il luogo dell'esperienza e dell'avventura. Oggi siamo diventati quello del niente e del vuoto

Possibile? Anche nel cuore della cara vecchia Europa, con tutta la sua storia, la sua civiltà? Possibile? Attendo smentite. Ho bisogno di smentite.

venerdì 25 febbraio 2011

La bellezza necessaria di Albert Camus

La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei

Sono da scolpire nella vita di ognuno di noi, queste parole da L'uomo in rivolta di Albert Camus, scrittore di precipizi esistenziali e di farfalle di poesia. Sono da incidere a lettere di fuoco soprattutto nella vita di tutti gli uomini che nel nostro paese hanno una qualsiasi responsabilità pubblica.

Perché scriveva in altri tempi, Albert Camus, tempi di rivoluzioni imminenti e di politica onnivora, tempi in cui le analisi dell'economia e le strategie delle avanguardie sembravano dover prevalere su tutto. Però provate a sostituire la parola rivoluzione, pensate a degne alternative:

La bellezza, senza dubbio, non fa le repubbliche. Ma viene il giorno in cui le repubbliche hanno bisogno di lei.

La bellezza, senza dubbio, non fa le città. Ma viene il giorno in cui le città hanno bisogno di lei.

Solo per dire, naturalmente. Solo per dire e poi per tornare alle parole di Albert Camus:

Sembra che oggi scrivere una poesia sulla primavera equivalga a servire il capitalismo. Io non sono un poeta, ma se fosse bella saprei godere di un'opera simile senza riserve. Si serve l'uomo nella sua totalità o non lo si serve per nulla. E se l'uomo ha bisogno di pane e di giustizia e se si deve fare quanto occorre per soddisfare questo bisogno, egli ha anche bisogno della bellezza pura, che è il pane del suo cuore

Cambiate i termini che volete, aggiornateli.Ma poi tenetevi stretto Albert Camus, in questi tempi di tagli, di cultura che è un optional, di bellezza che è solo cosa da veline.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...