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lunedì 9 gennaio 2017

La parola che vince il silenzio, in quei giorni all'ospedale

Però voglio ascoltare ancora, dissi. Volevo sentiero di nuovo la sua voce, insolita e precipitosa, che raccontava. 

Lei è da tre settimane ricoverata in un ospedale, di New York non sa bene come ne uscirà, quando potrà ritornare a casa e abbracciare i suoi figli. Com'è la vita vissuta e osservata da un letto di ospedale? Quanto si è soli anche se sai di avere una famiglia?

 Poi inattesa si apre la porta della camera. Al suo capezzale si avvicina la madre. Che è cosa che ci si potrebbe anche aspettare, non fosse che loro è da anni che non si incontrano e che, peggio, non si cercano. Ora lei ha fatto un lungo viaggio da una sperduta cittadina dell'Illinois, col il primo aereo mai preso in vita.

"Ciao, Bestiolina", così la saluta, come quando era piccina. E ogni distanza svanisce di colpo, non c'è più nemmeno il tempo che si è messo in mezzo. Solo la voglia di ascoltare quella voce, di tenersi aggrappata a quella voce. Dopo tutto il silenzio che c'è stato.

E lei si siede e non va più via. Per cinque giorni, senza mai allontanarsi, forse solo appisolandosi di tanto in tanto, racconta e racconta. Le vecchie storie di tanto tempo prima. Le storie di famiglia, le storie di paese.

Ecco, è questo Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout (Einaudi), scrittrice che già mi aveva conquistato con altri libri - su tutti Olive Kitteridge - tra le più capaci di entrare nella vita ordinaria delle persone e spremerne il succo.

Libro sulla parola, sulla sua forza, sulla sua capacità di redimere e restituire. Ma anche libro sulla parola che si misura con il non detto, con le storie che più di tutte si stenta a tirare fuori. E sulla parola che poi segna un destino, apre una strada, sa contrastare ciò che sembra irrevocabile e farsi ragione di vita.

La donna che parla in prima persona dei suoi giorni in ospedale anni più tardi diventerà scrittrice di fama: in grado di scrivere anche di sua madre e delle sue storie.

Solo perché ha finito per scegliere la parola al silenzio. Solo perché un giorno quella porta si è aperta.

 

lunedì 7 marzo 2016

Sulle strade del silenzio, di monastero in monastero

Perché girare l'Italia di monastero in monastero, se non sei alle prese con un naufragio esistenziale o non ti trovi nel bel mezzo di una crisi mistica? Perché bussare a quelle porte, in cerca di ospitalità e raccoglimento, se non stai maneggiando l'ipotesi di diventare anche tu monaco?

Eppure è proprio questo che ha fatto per un anno intero Giorgio Boatti, scrittore e giornalista che in altri libri si è occupato della strage di Piazza Fontana, del terremoto di Messina oppure dei professori che ebbero il coraggio e la dignità di sottrarsi al giuramento di fedeltà a Mussolini. Ha girato da un capo all'altro di Italia, mangiando nei refettori, ascoltando le varie liturgie delle ore, smarrendosi con i propri pensieri nei chiostri e negli orti dei monaci.

Poi ha raccontato tutto questo in Sulle strade del silenzio (Laterza), un libro avvincente, che mi ha regalato uno dei più singolari e affascinanti viaggi di cui abbia mai letto. Un viaggio non in altre latitudini, ma in un altro tempo, verrebbe da dire, non fosse che molte di queste esperienze sono ben piantate anche nella nostra epoca. Non fosse che attraverso queste isole di pace e bellezza si snoda, per contrasto, anche il racconto di questa nostra Italia.

Perché la risposta alla domanda iniziale forse sta proprio qui: in quel senso di spaesamento rispetto a un'Italia cambiata in fretta e male; in quel bisogno di ritrovare altri ritmi, altri gesti, altre profondità.

E' questo che ha fatto Boatti, scommettendo sul silenzio, sull'ascolto, sull'interiorità. Al termine del libro non ho nemmeno capito se è credente e di quale tipo. Però ha ragione lui: si può vivere l'esperienza dei monaci anche senza esserlo. Puntando semplicemente alla sottrazione di ciò che non è essenziale per la nostra vita.


mercoledì 17 giugno 2015

Il silenzio che fa bene


Da sempre se ne occupa, fino addirittura a promuovere una vera e propria Accademia del Silenzio, intrigante già nel nome. Ma del silenzio Duccio Demetrio se ne è occupato in molti libri, nei quali ha provato a educarci a una dimensione che può davvero cambiare la qualità della nostra vita.

Per tutto questo credo che un buon punto di partenza sia questo libro, dal titolo lapidario, semplicemente Silenzio (Edizioni Messaggero Padova): pagine non solo da leggere, ma anche da provare ad ascoltare con attenzione. Tanto più che è proprio l'ascolto, meglio, la capacità di ascolto, uno dei grandi doni che ci porta il silenzio.

Cosa può offrici il silenzio e cosa può toglierci il silenzio. Quali diverse forme di silenzio ci sono, nella consapevolezza che il silenzio è tutt'altro che vuoto, negazione, impedimento. E com'è che il silenzio ci riporta a noi stessi, ma anche agli altri.

Un libro non semplice ma a cui fa bene dedicarci, dedicando tutto il tempo che gli è necessario: lettura senza fretta a cui proprio il silenzio regala qualcosa di più.

mercoledì 10 giugno 2015

Il silenzio senza il quale non c'è musica

Il silenzio non ci appartiene, il silenzio è della musica, della natura, delle cose. L'uomo pretenderebbe di possedere tutto, ma il silenzio si può solo cercare oppure, per paradosso, ascoltare.

Da Mario Brunello, uno dei più grandi violoncellisti al mondo, ci saremmo aspettati un saggio sulla musica o un diario delle sue esperienze per sale da concerto e festival internazionali. Invece no, è del silenzio che ciò ha voluto parlare. Quel silenzio che non ci appartiene e che in un certo senso è anche fuori del tempo, per lo meno del nostro tempo, ma che anche per questo è imprescindibile.

Ci sono molti tipi di silenzio, in questo saggio pubblicato per Il Mulino. Alcuni mi hanno preso alla sprovvista e stordito, pensate solo all'idea del grande silenzio che abita l'interno di un atomo, un grande silenzio quale possiamo più facilmente immaginare negli spazi tra la Terra e la Luna.

Ma soprattutto il silenzio da cui nasce la creazione artistica. Il silenzio che ha a che vedere anche con la musica - ma certo che si parla di musica, in questo saggio.... Silenzio senza il quale la musica non avrebbe forma, note e pause. Silenzio che nella storia della musica ha conquistato un rilievo sempre maggiore, da Bach a John Cage. Silenzio che è, non può che essere, non solo quello della creazione, ma anche quello dell'ascolto: premessa perché davvero ci sia la possibilità di un'emozione.



giovedì 11 settembre 2014

In viaggio con il rumore e il silenzio


Il mondo dei viaggiatori potrebbe essere diviso in queste due categorie: silenzio e rumore.

Ci sono luoghi del pianeta dove il rumore imperversa e luoghi che abbndano di slienzio.

E mi piace pensare che organizziamo i nostri viaggi sulla base di una miscela di questi due elementi, ogni volta che abbiamo bisogno più dell'uno o dell'altro.

(Alessandro Agostinelli, da Parole in viaggio di Alessandro Agostinelli, Tito Barbini, Paolo Ciampi, Romano editore)

venerdì 13 giugno 2014

Il musicista che con le parole cerca il silenzio

Quando pronuncio la parola silenzio, lo distruggo.

Così diceva la grande Wislawa Szymborska ed è un verso che deve aver scavato e risuonato a lungo dentro Mario Brunello, il grande violencellista.  Che al silenzio - cosa non scontata per un musicista - ha dedicato persino un libro. Silenzio, appunto, uscito recentemente per Il Mulino.

Non l'ho ancora letto, ma lo leggerò certamente, perché mi piace il silenzio, mi piacciono, paradossalmente, le parole che parlano di silenzio. E so che vale lo stesso anche per la musica, che non è fatta solo di note, ma anche delle pause tra una nota e l'altra.

Spiega Mario Brunello a Brunella Schisa, in un'intervista al Venerdì di Repubblica:

L'ho cercato a lungo e credo che non smetterò mai di rincorrerlo. Io l'ho incontrato, l'ho conosciuto anche se ancora non ho capito da che parte sta. 

Dice anche:

Prendevo appunti da diversi anni, all'inizio sotto forma di note, e quando mi sono messo a scrivere ho creduto di suonare. Più penso al silenzio più mi sembra di sentire la musica.

Bello, un grande musicista che scrive un libro come fosse uno spartito. Che scambia le note con le parole, la musica con il silenzio.

venerdì 12 luglio 2013

Comincia a riguardarmi, questo silenzio


Un altro pensiero batte le ali come una farfalla. 

Provo a inseguirlo con il retino dell'attenzione. Il silenzio. Non è mio e di Bruna, il silenzio. Non è di questa città. C'è un altro silenzio, che ora si è fatto largo tra noi.

Il silenzio di una persona che non c'è più. Di un padre che si è portato via persino i ricordi della figlia.

Questo silenzio. Il silenzio di un uomo che era anche altro. Qualunque cosa abbia combinato.

E qualunque cosa abbia combinato, comincia a riguardarmi, questo silenzio.

(Paolo Ciampi, Il babbo era un ladro, Romano editore)

mercoledì 27 marzo 2013

John Fante: mio padre era uno di loro

Era una ghenga di strambi, irascibili, duri individui da previdenza sociale: gente ringhiosa, frontale, vecchi bastardi maligni e aspri, che però se la spassavano col loro spirito crudele e i modi profani del loro cameratismo. Non filosofi, non vecchi oracoli che si pronunciavano dalle profondità della loro esperienza della vita; ma soltanto vecchi che ammazzavno il tempo, in attesa che l'orologio si scaricasse. Mio padre era uno di loro.

Tenero dissacrante irresistibile John Fante...

E che grande libro che è La confraternita dell'uva, canto del cigno di uno scrittore che forse non ho coltivato come avrei dovuto, convinto, chissà perchè, di trovarmi di fronte a una delle innumerevoli voci della letteratura americana, una delle tante, confusa tra le tante.

E invece come si stacca da tutto quanto ho letto negli ultimi tempi, questa elegia del padre, impastata di malinconia di affetto di risentimento di rabbia di umorismo... e quante cose che ci sono in questo libro che scolpiscono un ritratto indimenticabile di un uomo irascibile violento alcolizzato ignorante dissipatore quasi sempre insopportabile, un uomo che è un padre padrone. Che porta su di sè tutte le ferite e le miserie di un italiano emigrato nell'America che non era il grande sogno per tutti.

E tuttavia un uomo che con le sue mani di lavoratore ha fatto meraviglie, lui che ha costruito una mezza città a forza di sudore e sputi e bestemmie. E in fondo un artista.

Un amico unico per la sua confraternita di beoni e giocatori. E sì, un uomo unico, anche lui come tutti indispensabile. 

Da leggere, assolutamente.

venerdì 22 marzo 2013

E fuori un grande silenzio, come un dio che dorme


Rientro e chiudo la finestra.
Mi portano il lume e mi danno la buona notte.
E la mia voce allegra dà la buona notte.
Magari la mia vita fosse sempre questo:
il giorno pieno di sole, o addolcito dalla pioggia,
o tempestoso come se finisse il Mondo,
la sera mite e la gente che passa
guardata con interesse dalla finestra,
l'ultimo sguardo amico alla quiete delle piante,
e poi, chiusa la finestra, il lume acceso,
senza leggere niente, senza pensare a niente, senza neanche dormire,
sentire la vita scorrere in me come un fiume nel suo letto.
E fuori un grande silenzio, come un dio che dorme.

(da Fernando Pessoa, L'enigma e le maschere, Mondadori)

mercoledì 26 dicembre 2012

Tolstoi e il cielo infinito del principe russo

"Che cos'è? Sto cadendo? Le gambe mi vacillano", pensò, e cadde supino. Aprì gli occhi, sperando di vedere come fosse finita la lotta dei francesi con gli artiglieri e col desiderio di sapere se l'artigliere dai capelli rossi fosse stato ucciso o no, se i cannoni fossero stati presi o salvati.

Ma non vedeva nulla. Sopra di lui non c'era più nulla, se non il cielo: un cielo alto, non sereno, ma pure infinitamente alto, con nuvole grigie che vi strisciavano sopra dolcemente.

"Che silenzio! Che quiete! Che solennità!", pensò il principe Andrej, "non è più come quando correvamo gridando e battendoci; non è più come quando l'artigliere e il francese si strappavano l'un l'altro lo scovolo con visi rabbiosi e spaventati; non è così che le nuvole scorrevano su questo cielo alto, infinito".

"Come non lo vedevo prima questo cielo così alto? E come sono felice di averlo finalmente conosciuto, Sì! Tutto è vuoto, tutto è inganno, fuori che questo cielo infinito".

"Non c'è niente, niente all'infuori di esso. Ma anch'esso non esiste, non c'è nulla all'infuori del silenzio e della tranquillità. E Dio ne sia lodato!"

(Da Lev Tolstoi, Guerra e Pace, Einaudi 1942)

domenica 24 giugno 2012

Una giornata di silenzio, come gli alberi

La luna illumina una rosa. E non si vedono parole.

Così ci ha lasciato scritto il poeta Janichiro Kawasaki, per la verità usando a sua volta parole. Ed è a quest'ultime che si è ispirato Daniele Papi, lanciando l'idea di una Giornata mondiale senza parole, capace di regalarci una sorprendente libertà:

Bisognerebbe istituire una giornata mondiale senza parole. E stare zitti, tutti, per 24 ore. Smettere di leggere e scrivere, usare telefonini e computer. Non per meditare, tutt'altro. Per vivere. Per esistere accanto agli altri senza proteggersi, chiedere, rispondere. Al modo degli animali e degli alberi. Guardare il mondo sotto la crosta del linguaggio insegnerebbe a ogni uomo, donna e bambino che prima di tutto si esiste in mezzo ad altre cose, e che tra le cose che esistono c'è anche ciò che si prova. Il silenzio ci insegnerebbe che cose come lo stupore, la paura e l'amore sono concrete quanto uno struzzo, una banana o un'aringa. Tacere ci illuminerebbe per un giorno la vita, senza spiegarla.

Bello, come no. Una giornata così, come gli alberi. Chissà se ce la faremmo. 


giovedì 17 maggio 2012

Anche il silenzio ha la sua storia

C'è il silenzio che si rassegna all'inesprimibile e il silenzio delle emozioni che hanno la meglio sulla ragione; il silenzio della devozione e il silenzio del piacere; il silenzio che comunica più di ogni altra parola e il silenzio che è solo assenza di parola.

Quanti silenzi che ci sono da quando l'uomo è uomo.... ma anche quanta storia che c'è nei silenzi dell'uomo. E se volete saperne di più, se la storia del silenzio vi intriga, magari perchè nemmeno sospettavate che il silenzio avesse una storia, ecco un buon consiglio di lettura: La lingua degli dei. Il silenzio dall'Antichità al Rinascimento di Roberto Mancini (Angelo Colla editore) è davvero un bel libro, che merita strappare all'attenzione esclusiva degli specialisti.

E che storia singolare, inattesa, che scorre sotto i nostri occhi. Le Sacre Scritture in cui la divinità parla e ascolta mediante il silenzio e le assemblee della democrazia ateniese che tramite il silenzio disciplinano l'abuso della parola. Gli affari della politica e la cura delle anime. Ma anche le regole e i luoghi del silenzio. I monasteri dove il silenzio apre la strada a Dio e la corte di Bisanzio dove il silenzio è attributo di potere.

Una lettura sorprendente, una lettura salutare, in tempi in cui il silenzio è diventato bene raro sia per le vie dello spirito che per le istituzioni della politica.

E in questo tempo di parole che avvolgono tutto, di parole abbondanti, inflazionate, superflue, non è male tornare ai molti significati del silenzio, a ciò che il silenzio è stato nella nostra storia. 
 


 

martedì 28 febbraio 2012

Saramago e il silenzio da cui nascono le parole

Quanto è importante usare con parsimonia le parole. E usarle con la giusta sobrietà, che per la pagina scritta vuol dire, per esempio, anche contenere quell'epidemia di maiuscole che alle parole fa tanto male.

Su tutto questo ci ha ben consigliato il grande scrittore Josè Saramago, suggerendoci, a mali estremi, la cura definitiva del silenzio.

Il silenzio, per sua definizione, è ciò che non si ode. Il silenzio ascolta, analizza, osserva, pondera e valuta. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è la terra scura e fertile, l'humus dell'essere, la muta melodia sotto la luce solare. Su di esso cadono le parole. Tutte le parole. Parole buone e parole cattive. Il grano e la zizzania. Però solo il grano dà il pane.

Così dice Saramago e sono assolutamente d'accordo. In genere le cose si dicono meglio per sottrazione, non per accumulo.

Le parole sono seme che cade nel solco arato del silenzio. Ed è vero: se sono buone parole da esse cresce il grano che dà il pane.

Aggiungo: anche dopo, il silenzio serve, perchè è il lievito delle parole.

Non ci sarebbe discorso, senza il silenzio. Così come non ci sarebbe musica senza le pause.

lunedì 13 febbraio 2012

Eduardo Galeano e le parole che meritano

Non pensare di essere la voce di altri, perché tutti hanno la loro voce, il problema è saperla ascoltare. E ancora, parlare solo quando la parola ha più significato del silenzio.

Sono queste le due grandi lezioni che ci regala Eduardo Galeano, il grande scrittore sudamericano, in un'intervista di Sebastiano Triulzi su Repubblica.

Spiega Eduardo Galeano:

La convinzione di essere la voce di quelli che non l'hanno è però un grave errore poiché tutti abbiamo una voce. Il problema è che non sempre viene ascoltata.

Spiega ancora, Eduardo Galeano, richiamando una lezione che a sua volta gli dette un altro grande, Carlos Onetti:

Una volta mi disse: le uniche parole che meritano di esistere sono quelle migliori del silenzio. Non solo gli scrittori ma anche i politici dovrebbero imprimerselo nella mente. Il silenzio è un linguaggio perfetto ed è dura per la parola competere. Per questo riscrivo più volte un testo finché non sento che è migliore del silenzio.

Grandi parole, più grandi del silenzio, almeno questa volta.

martedì 17 gennaio 2012

Hopper, Carver e l'incontro che è bello immaginare

Se potessi tornare indietro non so se rifarei tutte quelle cose. Ma probabilmente sì. E' dalla vita reale che si raccolgono le storie. E le storie più incredibili sono quelle quotidiane.

Sono d'accordo con te. E' quasi scandaloso, per chi è in grado di accorgersene: quanta fantasia c'è nel reale, nella vita di tutti i giorni. Si tratta di ritrarla nel modo giusto, di darle forma o parola, ombra o silenzio, luce che immobilizza o buio che sospende.


Ecco qui, in poche parole si schiude il senso del lavoro di due dei grandi artisti del Novecento americano, il pittore Edward Hopper e lo scrittore Raymond Carver. Parole di un dialogo che non c'è mai stato, perchè non è mai esistito un loro incontro. Però poi è arrivato un altro scrittore, Aldo Nove, di un'altra età e di un altro paese, e questo incontro se lo è immaginato ed è arrivato a raccontarlo in Si parla troppo di silenzio (Skira edizioni): come consegnare un passaporto per la realtà.

Hopper e Carver: due artisti che hanno un posto particolare nel mio cuore, nel mio immaginario americano.

Non saprei vedere l'America senza la luce di Hopper, senza le sue strade e le sue case, senza i suoi sguardi che invadono le stanze spogliate dal sogno americano e catturano istanti in bilico, su qualcosa che non si saprà mai. Senza questi quadri che da tempo si sono impastati con le parole di Carver, con le sue storie che quasi sempre non portano lontano, e non lo devono, con questi altri istanti sospesi quasi sempre tra un disastro e una nuova possibilità. E vi confesso, mi dice poco e mi serve ancora meno la polemica sul Carver "autentico", al netto dei tagli del suo editor.

venerdì 25 novembre 2011

Il silenzio agognato anche solo per mezz'ora

Difficile vivere con gli uomini perché è assai difficile farli stare in silenzio

Così affermava Friedrich Nietzsche ed è a questa frase che Gianfranco Ravasi ha dedicato il suo Breviario sul Domenicale del Sole 24 Ore


Afferma Ravasi:


Dopo un viaggio in treno di qualche ora è difficile dare torto al pessimismo che vena questa considerazione

Evidentemente provato da una dura esperienza di chiacchiericci, grida, cellulari mai spenti gli viene quasi da accarezzare l'annuncio dell'Apocalisse:


Si fece silenzio nel cielo per circa mezz'ora


Che non è poco. Ma forse basta evocare, come fa Ravasi, il Dio della Bibbia ebraica: una voce di silenzio sottile. O richiamare la perentoria asserzione di Shakespeare: Tutto il resto è silenzio.


Già, ma il resto di cosa?

giovedì 2 dicembre 2010

Se la parola è un cucchiaino per svuotare il mare

La parola in sè è stata lodata troppo. Gli scrittori che più ci convincono sono quelli che sanno, con Beckett, che ogni scrivere è rubato al silenzio

Fa riflettere, e non poco, il bell'articolo che Tim Parks (scrittore e quindi uomo che vive di parole) ha pubblicato sul supplemento domemicale del Sole 24 ore. Fa riflettere perchè scuote diversi luoghi comuni, sfida certezze. E a tutti gli adoratori del verbo (questo anche il titolo dell'articolo) pone una grossa domanda. Che più o meno suona così.

Siamo fin troppo abituati a sentire gli scrittori lodare la parola... E se invece parola, lingua e letteratura stessero più dalla parte del problema che della soluzione? 

Perché le parole sembrano così vere, così immediate, così connaturate che sembrano siano lì solo per usarle, per usarle al meglio.

Riflettiamo. Inventate, inesistenti nel mondo naturale, le parole ci riempiono le orecchie non appena usciamo dal grembo materno. La testa piena, cominciamo a ripeterle. I suoni giusti nelle sequenze giuste fanno sì che otteniamo quello che vogliamo. Ben presto queste formule ci sembrano naturali quanto il respiro. Il famoso flusso di coscienza non è altro che un flusso di parole

Ma che succede se qualche guastafeste non si accontenta più della parola?

Cosa succede se le parole non bastano più a dire quello che davvero si vuole dire?

Se sono un cucchiaino per svuotare il mare dei significati? Se si capisce che tramite loro è dura arrivare alla profondità delle cose?

sabato 28 agosto 2010

Il silenzio è il lievito delle parole

L'altro giorno erano le maiuscole, l'epidemia di maiuscole che tanto fa male alle parole. Ma José Saramago dice anche cose molte belle sull'eccesso di parole. E sulla grande cura per liberarsene, il silenzio.

Il silenzio, per sua definizione, è ciò che non si ode. Il silenzio ascolta, analizza, osserva, pondera e valuta. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è la terra scura e fertile, l'humus dell'essere, la muta melodia sotto la luce solare. Su di esso cadono le parole. Tutte le parole. Parole buone e parole cattive. Il grano e la zizzania. Però solo il grano dà il pane.

Sono assolutamente d'accordo. In genere le cose si dicono meglio per sottrazione, non per accumulo.

Le parole, dunque, sono seme che cade nel solco arato del silenzio. Ed è vero, se sono buone parole da esse cresce il grano che dà il pane. Aggiungo: anche dopo, il silenzio serve, perchè è il lievito delle parole.

Non ci sarebbe discorso, senza il silenzio. Così come non ci sarebbe musica senza le pause.

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