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lunedì 6 maggio 2019

Con Mancuso gli straordinari viaggi delle piante

Non è vero che siano insensibili, non è vero che non sappiamo comunicare, non è vero che non abbiano una vita sociale. Più vado avanti a leggere libri sulle piante, più mi vengono meno certezze che si rivelano essere solo luoghi comuni. E capisco che quel poco che ne sapevo era in gran parte sbagliato. Allo stesso modo dei più di noi, del resto.

Devo essere in buona compagnia anche per quanto riguarda l'ultima delle certezze, quella su cui avrei scommesso a occhi chiusi. Almeno questo, ne ero convinto, sarà vero:  a fare la differenza tra gli animali e le piante è che i primi possono muoversi, le seconde no, sono radicate in un posto, condannate a quel posto.

Ed ecco che arriva un libro a sgretolare, fin dal titolo, l'ultima certezza: L'incredibile viaggio delle mappe (Laterza). Lo ha scritto Stefano Mancuso, uomo di scienza e, nella circostanza, anche splendido narratore, vorre dire affabulatore.

E' un libro anche bello da sfogliare, da guardare, da tenere in vista, grazie agli acquerelli di Grisha Fisher. Però è soprattutto un libro che spiazza. Le piante non sono affatto immobili - ci spiega Mancuso - Si muovono molto, ma con tempi più lunghi. Quello che le piante non possono fare non è muoversi, ma spostarsi, almeno nel corso della loro vita.

E allora, eccole, le storie di piante, che generazione dopo generazione, hanno attraversato i mari, conquistato le terre più lontane, occupato le aree più impervie, invaso interi continenti, senza lasciarsi piegare dalle peggiori catastrofi o dai crimini dell'umanità, per esempio le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Storie di piante, appunto: ma che potrebbero essere storie di pionieri, di fuggitivi, di reduci, di eremiti. Di resistenti, anche: e si capisce che Mancuso è persona a cui tutto questo piace e molto. 

martedì 7 marzo 2017

La saggezza degli alberi, simili a noi, migliori di noi

Ci sono libri che forse non avresti nemmeno mai messo in conto di leggere e che pure ti colgono di sorpresa fin dal primo rigo. Prendete un incipit come questo:

Gli alberi sono esseri enigmatici.

Che non è quello che ti aspetteresti da uno come Peter Wohlleben che gli alberi li ha sempre studiati e che per decenni ha prestato servizio come guardia forestale. In che senso, enigmatici? Sono sempre lì gli alberi, immobili e silenziosi. Li incontriamo sui viali delle nostre città, sui cammini che ci portano in collina: siamo così abituati a loro che non solo non ci aspettiamo che custodiscano segreti, ma non ci destano nemmeno troppe curiosità. Sono lì, semplicemente, come dati di fatto.

Ed ecco che appunto arriva uno come Peter Wohlleben, con il suo La saggezza degli alberi (Garzanti), un libro che a sorpresa diventa un best-seller. Sarà perché prima ancora che raccontarci qualcosa degli alberi ci invita a guardarli in modo diverso.

E prima di tutto: siamo sicuri che abbia ancora un senso la distinzione tra piante e animali, come ce l'hanno insegnata?

Ma guarda, anche gli alberi comunicano tra loro, magari grazie a un ricco vocabolario di odori. Anche gli alberi hanno sensazioni e provano dolore. E per aggiungere sorpresa a sorpresa: anche gli alberi hanno storie da raccontare e una storia può essere di come riescano a difendersi l'un l'altro e sostenere chi si è ammalato. Di come possano stringere addirittura amicizia tra di loro, magari sfiorandosi a vicenda con i ramoscelli più teneri e lasciando che i rami più grossi crescano dalla parte opposta. 

Hanno persino un carattere, gli alberi, tanto che il momento in cui in autunno lasciano cadere le proprie foglie dipende più dal loro carattere che dalle circostanze climatiche: il pauroso se ne sbarazza prima, il temerario le trattiene finché gli è possibile.

Quante cose ho imparato su questo libro: senz'altro che gli alberi sono più simili a me e agli altri animali di quanto avessi mai sospettato, vista la loro sedentarietà. Così simili e spesso migliori di noi.

Senz'altro che un albero in un bosco non è mai solo un albero, è parte di una comunità, come lo siamo noi nelle nostre città.

Solitamente - spiega Wohlleben - gli alberi sono esseri prudenti, ai quali ogni forma di fretta è estranea.

Vorrei che imparassimo dagli alberi - che peraltro ci saranno prima di noi e dopo di noi - a prendersi il tempo che ci è necessario: magari per leggere libri così, capaci di farci guardare in modo diverso ciò che ci circonda.

lunedì 30 novembre 2015

Gli animali di Durrell, famiglia compresa

Questa è la storia dei cinque anni che ho trascorso con la mia famiglia nell'isola greca di Corfù. In origine doveva essere un resoconto blandamente nostalgico della storia naturale dell'isola ma ho commesso il grave errore di infilare la mia famiglia nel primo capitolo del libro. Non appena si sono trovati sulla pagina, non ne hanno più voluto sapere di levarsi di torno...

Ecco comincia così La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrell, ormai un classico dell'Adelphi, tra i libri più amati tra i tanti che nell'ultimo mezzo secolo ci sono arrivati dall'Inghilterra. Non un capolavoro, però un libro che è un piacere garbato e un inno alla vita. Con dentro i colori del Mediterraneo e una casa che nelle scoperte e nelle birbonate di un ragazzino diventa uno zoo, bipedi umani compresi. Con una madre così inglese da rimanere sempre splendidamente imperturbabile - "Meno male che sei venuto, caro, questo pellicano è un po' difficile da trattare" - e  una incredibile galleria di abitanti di Corfù che scatenano le più singolari alchimie emotive nel rapporto con la famiglia Durrell.

E meno male che lo scrittore in famiglia - quello vero - era il serio, anzi, altezzoso Lawrence. Meno male che Gerald per tutta la vita non ha preteso altro che di essere uno zoologo, magari di tanto in tanto prestato alla scrittura.

Ci si diverte e ci si commuove, inseguendo questo ragazzino che scopre il mondo e che in questo mondo costruisce la passione e il lavoro di una vita. E non si può sorridere pensando all'uomo che si guarda indietro, ritrova quel ragazzino e così lo racconta, anzi si racconta. Con quell'umorismo che non è superficialità, è solo una particolare leggerezza di cui abbiamo bisogno come l'aria.


lunedì 25 ottobre 2010

Il cane e la poetessa, biografia di un amico

L'una parlava. L'altro era muto. L'una era donna; l'altra era cane. Così strettamente uniti, così immensamente divisi, si guardavano. Poi, con un salto Flush fu sull'ottomana e si accucciò là dove per sempre sarebbe stato il posto suo, da quel dì in poi - sulla coperta, ai piedi di Madamigella Barrett

 Non sono un grande lettore di Virginia Woolf e questo libro, devo confessarlo, l'avevo comprato più che per il soggetto - la biografia di un cane adottato da una grande poetessa - per la poetessa stessa e per la speranza di raccogliere qualche particolare intrigante sulla vita di quest'ultima. Elizabeth Barrett Browning e la sua storia squisitamente romantica, Elizabeth e la battaglia per l'unità italiana, Elizabeth e quella casa fiorentina frequentata anche da un altro personaggio a me caro, Jessie White.

E invece dalle pagine mi è subito balzato incontro  Flush, questo simpatico cagnolino che per una vita intera ha
accompagnato la vita di Elizabeth, entrando anche nei suoi versi. Che meraviglia, questo rapporto senza la forza delle parole, in una casa dove si viveva di parole. Non era un cane ordinario, ci dice Virginia Woolf, non lo poteva essere un amico a quattro zampe che viveva in un posto così.

A forza di starsene disteso con un lessico greco per cuscino, è naturale che finisse col prendere in uggia l'abbaiare e il mordere

E allora non cercate la poetessa, in queste pagine. Cercate proprio Flush e con lui il mistero dell'amicizia tra l'uomo e l'animale.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...