Visualizzazione post con etichetta Cutigliano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Cutigliano. Mostra tutti i post

venerdì 2 luglio 2010

Quando c'erano i poeti sulla montagna

Si chiamava Gigetto del Bicchiere, aveva poca voglia di lavorare e molta invece di fare festa, è stato l'ultimo grande poeta improvvisatore della mia montagna. Domani, sabato 4 luglio, l'Appennino pistoiese gli dedicherà una giornata intera per l'anniversario della sua morte (e il quindicesimo anniversario della compagnia di canti e balli che prende il suo nome): sarà l'occasione anche per le prime due presentazioni, all'Abetone e a Cutigliano, del mio libro L'ultimo dei poeti (Sarnus), dedicato appunto a Gigetto.

Qui sotto un piccolo brano dal libro:


E i letterati arrivavano nei borghi, mandavano a chiamare questo o quello, se ne stavano assorti ad ascoltare. Annotavano, commentavano. Ma proprio non capivano. Pareva che questa gente non avesse fatto niente per meritarsi il dono della parola elegante. Come facevano senza aver studiato?
Si sbagliavano, naturalmente, perché c’è scuola e scuola. Glielo ricordava Beatrice, che di tutte era la più brava: "la montagna l’è stata a me maestra". Lo spiegavano anche altri. E in realtà non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno.
I letterati riempivano i quaderni e poi scendevano a valle, alle loro lezioni, alle loro accademie. I montanini rimanevano e c’era sempre un’altra sera da passare a riscaldarsi insieme, con il fuoco e con i racconti. C’era sempre una donna con la sua ninna nanna e un uomo in piazza con le sue ottave.
Insomma, c’era addirittura poesia sulla montagna. Anzi, si sprecavano i poeti, sulla montagna, buoni per ogni occasione. Non importava scrivere o saper scrivere, importava levarsi in piedi al momento giusto, chiedere ascolto, attaccare il verso.
Quanti ce n’erano, ai tempi. E sarà perché le parole non costavano niente ed erano sollievo, a volte addirittura salvezza. Sarà perché non c’era altro modo per passare il tempo. Però le cose erano andate sempre così. Perché non avrebbero dovuto andare così anche in futuro?

martedì 15 giugno 2010

L'ultimo dei poeti e la sua montagna


Ma poi chi dice che tutto è finito? Niente finirà, almeno finché ci sarà un ricordo, finché ci saranno giorni in cui si proverà a ripetere una vecchia ottava o si tenterà il passo della quadriglia. Sapete, a volte basta davvero poco, un suono lontano, un ritornello nel giorno del patrono, gli odori che si alzano dalla cucina di una sagra, lo sguardo di una donna che sa di antico. Allora se conoscete la storia di Gigetto può anche sembrarvi che il tempo non sia mai scivolato via o che un qualche sortilegio sia capace di spingerlo indietro. Le possibilità dell’immaginazione fanno il resto. E allora è suo quel volto che spunta tra i tanti che si sono dati appuntamento, sua quella voce più alta, quell’ombra che si allunga.

Beh, questo è il mio ultimo libro, L'ultimo dei poeti, che esce per Sarnus nei prossimi giorni. E' la storia di Luigi Ferrari, detto Gigetto del Bicchiere, ultimo grande poeta improvvisatore della montagna toscana. E con lui la storia di una civiltà secolare cancellata dai grandi cambiamenti dei tempi moderni. Cancellata, ma non del tutto, perché ancora oggi resiste la voglia di poesia e di bellezza.

Insomma, con queste pagine ritorno alla montagna e alla poesia che racconto con Beatrice. Anche se sono già anni diversi che stanno cambiando un mondo rimasto immobile per secoli. Un mondo in cui irrompe il turismo, dove le carrozze sono progressivamente sostituite dal treno e dalla corriera, dove si inizia addirittura a sciare...

Ne potremo parlare insieme sabato 3 luglio, in un'intera giornata che la Montagna pistoiese dedicherà a Gigetto del Bicchiere e ai suoi canti, con appuntamenti all'Abetone, al Bicchiere, a Cutigliano e a Ponte Sestaione.

lunedì 28 dicembre 2009

Buone parole dall'Appennino


Beh, questo è un consiglio per un libro che credo in pochissimi oggi conoscono. Un libro quasi introvabile, ma che ci attanaglia con il fascino ruvido, e anche inatteso, del nostro Appennino qual era prima della televisione e delle settimane bianche. Un libro che fa bene perché ci riporta a certe nostre radici e ci aiuta a liquidare ogni pretesa di superiorità intellettuale, solo perché abbiamo studiato, perché viviamo la contemporaneità, o viviamo in città dove non mancano le occasioni.

Si chiama I racconti di Cutigliano, lo ha scritto Giuseppe Lipparini, un letterato bolognese che fin da giovane, per motivi di salute, ha frequentato e amato l'Appennino toscano. Qui ha preso moglie, qui ha scoperto la poesia degli umili e ha trovato motivi di ispirazione per la sua scrittura.

Mondadori pubblicò questa raccolta di racconti nel lontano 1930,una piccola coraggiosa casa editrice pistoiese ce l'ha riproposta qualche anno fa. Insomma, un libro che non lambirà mai alcuna classifica, destinato a pochi estimatori.

Eppure sono pagine preziose perché capaci di riportarci a un mondo antico nel momento del suo trapasso verso un'altra epoca. Capaci anche di offrire una sorta di risarcimento a una cultura mai riconosciuta come tale, nella convinzione che essa sia appannaggio dei letterati, che non possa esserci poesia dove c'è solo miseria.

Su questa montagna di poesia ce n'era tanta e bella.

Tutto questo non a caso è raccontato con gli occhi dell'intellettuale cittadino. Un mondo che anch'io ho provato a raccontare in Beatrice, la storia della poetessa illetterata di Pian degli Ontani. Per questo mi sento particolarmente vicino a questo libro. E a Lipparini, naturalmente. L'ho riletto in questi giorni, ma senza di esso forse non avrei mai scoperto nemmeno Beatrice.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...