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mercoledì 15 dicembre 2010
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Così Charles Baudelaire scriveva a Arsène Houssaye, direttore editoriale de La Presse, il giornale che avrebbe pubblicato i suoi Piccoli poemi in prosa.
Un giorno, si sa, sarebbe diventato il grande poeta de I fiori del male, i cui versi non mancano nemmeno nelle antologie scolatische. Però furono proprio questi "poemi in prosa" la sua sfida più grande, la rivoluzione della parola che avvertiva come l'opera della vita.
La ragione è già in questa stessa lettera, in una domanda che poi ci accompagna pagina dopo pagina:
Chi di noi non ha sognato, nei suoi giorni d'ambizione, il miracolo di una prosa poetica, musicale senza ritmo e senza rima, duttile e irregolare, abbastanza da adattarsi ai moti lirici dell'anima, alle fluttuazioni della fantasia, ai sussulti della coscienza?
Baudelaire a questo sogno dà sostanza con la forza delle parole. E leggendolo si intuisce davvero qualcosa del miracolo della poesia. Come se certi misteri potessero svelarsi, almeno in parte, solo grazie all'assenza.
La poesia senza la poesia. La poesia dove non c'è poesia. Bellissima.