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lunedì 4 maggio 2015

A Chesil Beach, quel matrimonio naufragato la prima notte

Che dire, se non che va letto, un libro come questo, poche pagine e tutto un mondo che si squaderna davanti, ogni parola che è quella che deve esserci e non una di troppo, ogni parola una pennellata, un'emozione, un tassello per raccontare una storia e un paese....

Chesil Beach di Ian McEwan (Einaudi): pensare che per almeno due anni è rimasto lì, nella mia solita pila delle "letture in attesa", impermeabile anche al caloroso suggerimento di qualche amico.

Sarà che non mi tentava, la trama. La prima notte in un luna di miele, il naufragio di una coppia.

Eppure, eppure, non è quello che succede che conta davvero. Piuttosto quello che non succede.

Inghilterra, anno del signore 1962, prima della rivoluzione sessuale, dei Beatles, delle minigonne di Mary Quant, prima di tutto, quando anche tenersi per mano in pubblico è un oltraggio alla morale e in camera di letto vincono inibizioni e imbarazzi.

C'è ciò che rimane dell'Inghilterra vittoriana, con le sue convenienze e ipocrisie, in questo libro. C'è un mondo che indugia sul ciglio della storia prima di trapassare del tutto, come il sole al tramonto.

E c'è ancora di più, molto di più, in queste pagine virate sul sentimento del rimpianto, con un'intensità che poche altre volte ho incontrato.

sabato 21 febbraio 2015

Cosa rimane tra l'accusato e l'accusatore

L'avevo cominciato prendendolo un po' sottogamba, Espiazione di Ian McEwan (Einaudi) - come capita con un libro che ti trovi in casa senza sapere bene perchè. E non senza qualche diffidenza, sarà che l'ambientazione in una residenza dell'aristocrazia rurale britannica non è certo nuova.

Ma poi che pagine che sono queste. Anche se non pretendono di essere facili e scorrevoli come un torrentello di parole.

Espiazione è un grande romanzo sulla colpa, anzi, sul senso della colpa. Sui grandi interrogativi della morale fuori da ogni grande visione morale, perché in gioco qui c'è semplicemente il modo di stare al mondo, di relazionarci agli altri.

Semplicemente: si fa per dire. Perché la colpa è anche questo: segno, cicatrice. Ciò che rimane quando gli eventi sono alle spalle.

E forse la cosa che fa più impressione è proprio questo. Quanto rimane nel passare del tempo. La forza delle conseguenze che discendono anche da un singolo gesto, da una debolezza o da uno smarrimento.

La colpa di una ragazzina di 13 anni scaricata su una persona innocente. Un accusato che per tutta la vita ne sarà segnato. Però anche l'accusatore che non se ne libererà più. Tanto che la narrazione scandisce un percorso di espiazione di un'anziana: un tempo era proprio lei quella ragazzina.

Alla fine chiudi questo libro e mettendolo via già sei alla prese con la malinconia del lettore, che sa fin troppo bene che anche questa volta i fili di questa storia, i suoi personaggi, svaniranno dalla sua memoria.

Però ecco, sono sicuro che l'emozione di questa lettura rimarrà anche quando di questo libro mi rammenterò poco o niente.

Succede, succede proprio con i grandi libri.

sabato 23 novembre 2013

John Williams, strana cosa la gloria letteraria

Di lui, anzi della sua scrittura, Ian McEwan ha scritto parole così:

Sembra aver toccato la verità umana come succede nella grande letteratura. È quel tipo di prosa che non vuole mostrarsi. È quel tipo di scrittura simile a una superficie di vetro, riesci a vedere immediatamente le cose di cui parla. E credo che questo sia entusiasmante di per sé. 

 Parla di John Williams,  autore credo assai poco conosciuto in Italia, benché il suo Stoner venga considerato uno dei capolavori del Novecento e benché a proposito di un altro titolo, Butcher's crossing, qualcuno abbia scomodato persino Moby Dick.

Alla frase di McEwan sono arrivato leggendo una riflessione di Matteo Nucci sul Venerdì di Repubblica, in relazione a un altro libro di Williams, il suo Augustus, la storia dell'ascesa al potere di Ottaviano raccontata col piglio del grande narratore. Allora ho cercato su Internet e questo è quanto ho trovato.

Williams non ha scritto molto di più. Un altro titolo - Nothing but the night - può essere classificato come il suo primo insuccesso. A cui gli altri fecero seguito. Prima di morire stava lavorando a un altro manoscritto - The sleep of reason - titolo che ci sta più che bene visto l'argomento, la guerra.

Non ebbe fortuna in vita, questo figlio di contadini che arrivò a insegnare scrittura creativa nelle università americane. Per quanto mi riguarda mi sono ricordato solo ora di avere a casa un suo libro - mi ricordavo il titolo, Stoner, non l'autore. Augustus intendo comprarlo a breve. Dieci anni dopo la sua morte si comincia a parlare molto di John Williams. Strana cosa la gloria letteraria.

mercoledì 7 novembre 2012

Un po' di nostalgia per il romanzo lungo

Sta tramontando l'epoca del romanzo lungo, travolto prima che dal gusto del lettore dalle nuove tecnologie?

In diversi se lo stanno domandando e recentemente anche Gail Rebuck, presidente della Random House, una delle più grandi casi editrici del mondo, ha risposto così a chi gli domandava se in futuro si leggeranno ancora romanzi: "Sì, ma quanto lunghi?"

E certo, la nuova epoca dell'editoria digitale e dei lettori multitasking infligge un deprimente senso di obsolescenza ai cultori del Dottor Zivago o della Recherche. Scrive Enrico Franceschini su Repubblica:

I lettori non hanno più tempo da dedicare a libri di 400 o 500 pagine, sottoposti come sono a troppe distrazioni dal web, fra social network, email, tablet e telefonini intelligenti.

E può non dispiacere l'età dell'oro che si annuncia per il romanzo breve, di cui bene parla Ian McEwan:

Spesso i critici reagiscono a un romanzo breve come se un autore avesse sbagliato qualcosa o non avesse osato abbastanza, ma un libro più lungo non significa necessariamente un libro migliore, anzi.

D'accordissimo, tanto più che si possono catalogare come romanzi brevi anche Morte a Venezia di Thomas Mann o The Dead di James Joyce. Però in tutto questo mi sento un po' dinosauro. Che bello, sprofondare di tanto in tanto in quegli oceani di carta e perdersi nelle trame, ripartendo ogni giorno da dove ci si era lasciati il giorno prima, magari rallentando verso la fine, perchè è un dispiacere che quella storia non prosegua, che quel personaggio ci dica addio...

sabato 22 settembre 2012

Se i nostri gesti sono seguiti da puntini di sospensione

Sono convinto che se viviamo un decimale è già tanto: il resto è un infinito evanescente che solo gli pscicanalisti e certi scrittori inglesi reputano loro compito ricondurre a una certa, definitiva chiarezza.

Per come la vedio io, a chi scrive libri spetterebbe piuttosto ritrarre l'imprendibilità di quell'infinito, una cosa simile al rendere permanente in un quadro il riflesso in una pozzanghera o eterno, in una pagina, il momentaneo passaggio di un velo di nebbia su un lago.

Ho in mente quelle frasi di Céline, che muoiono a metà e se la cavano con tre puntini di sospensione: nella loro indigenza, sono la figura di tutto quello per cui mi verrebbe da utilizzare il termine "letteratura". 
Proprio perché il vuoto in cui si perdono è il vuoto pieno di fantasmi in cui effettivamente accadono i nostri gesti, che non sono mai finiti, ma sempre seguiti da puntini di sospensione (di solito ci pensano gli altri a cercare di completarli e questo è quel che definiamo "avere delle relazioni"). 

(Alessandro Baricco, parlando di Chesil Beach di Ian MacEwan su Repubblica)

martedì 18 settembre 2012

I libri che Ian McEwan non getterà mai via

Editoria e romanzi sono davvero sulla via del tramonto? Ian McEwan, in un'intervista pubblicata sull'ultimo numero di Di di Repubblica, mette le mani avanti e frena ogni facile profezia, tanto più facile perchè virata sul pessimismo.

Abbiamo fame di parole e pensieri che ci raccontino gli altri, e non credo esistano forme espressive altrettanti capaci

Parole che fanno bene, quelle dello scrittore inglese, che si appresta a uscire in Italia con il suo nuovo romanzo, Miele, ambientato nella Londra degli anni Settanta, tra venti di rivolta e Guerra Fredda.

Parole di amore per il libri, che fanno davvero sempre bene. Anche (soprattutto?) se si parla dei libri di cara vecchia carta, che occupano scaffali interi e quindi scatoloni, alla vigilia di un trasloco:

Li allinei sulle mensole e hai davanti il racconto integrale della tua esistenza... Tutti quei pessimi tascabili ingialliti che ho comprato a 17 anni. Non li rileggerò ma, ma mai potrei buttarli. Voglio averli intorno.

sabato 1 settembre 2012

A Chesil Beach, prima che tutto succedesse

Che dire, se non che va letto, un libro come questo, poche pagine e tutto un mondo che si squaderna davanti, ogni parola che è quella che deve esserci e non una di troppo, ogni parola una pennellata, un'emozione, un tassello per raccontare una storia e un paese....

Chesil Beach di Ian McEwan: pensare che per almeno due anni è rimasto lì, nella mia solita pila delle "letture in attesa", impermeabile anche al caloroso suggerimento di qualche amico.

Sarà che non mi tentava, la trama. La prima notte in un luna di miele, il naufragio di una coppia.

Eppure, eppure, non è quello che succede che conta davvero. Piuttosto quello che non succede.

Inghilterra, anno del signore 1962, prima della rivoluzione sessuale, dei Beatles, delle minigonne di Mary Quant, prima di tutto, quando anche tenersi per mano in pubblico è un oltraggio alla morale e in camera di letto vincono inibizioni e imbarazzi.

C'è ciò che rimane dell'Inghilterra vittoriana, con le sue convenienze e ipocrisie, in questo libro. C'è un mondo che indugia sul ciglio della storia prima di trapassare del tutto, come il sole al tramonto.

E c'è ancora di più, molto di più, in queste pagine virate sul sentimento del rimpianto, con un'intensità che poche altre volte ho incontrato.

sabato 25 febbraio 2012

Un grande romanzo sul senso della colpa

L'avevo cominciato prendendolo un po' sottogamba, Espiazione di Ian McEwan - come capita con un libro che ti trovi in casa senza sapere bene perchè. E non senza qualche diffidenza, sarà che l'ambientazione in una residenza dell'aristocrazia rurale britannica non è certo nuova.

Ma poi che pagine che sono queste. Anche se non pretendono di essere facili e scorrevoli come un torrentello di parole.

Espiazione è un grande romanzo sulla colpa, anzi, sul senso della colpa. Sui grandi interrogativi della morale fuori da ogni grande visione morale, perché in gioco qui c'è semplicemente il modo di stare al mondo, di relazionarci agli altri.

Semplicemente: si fa per dire. Perché la colpa è anche questo: segno, cicatrice. Ciò che rimane quando gli eventi sono alle spalle.

E forse la cosa che fa più impressione è proprio questo. Quanto rimane nel passare del tempo. La forza delle conseguenze che discendono anche da un singolo gesto, da una debolezza o da uno smarrimento.

La colpa di una ragazzina di 13 anni che scarica la colpa su una persona innocente. E'accusato che per tutta la vita ne sarà segnato. Però anche l'accusatore che non se ne libererà più. Tanto che la narrazione scandisce un percorso di espiazione di un'anziana: un tempo era proprio lei quella ragazzina.

Alla fine chiudi questo libro e mettendolo via già sei alla prese con la malinconia del lettore, che sa fin troppo bene che anche questa volta i fili di questa storia, i suoi personaggi, svaniranno dalla sua memoria.

Però ecco, sono sicuro che l'emozione di questa lettura rimarrà anche quando di questo libro mi rammenterò poco o niente.

Succede, succede proprio con i grandi libri.

domenica 13 novembre 2011

Espiare è dura, con Ian McEwan


Beh, che dire, quando un libro è così bello, così importante, fai fatica anche a dire qualcosa.

Di Ian McEwan ho letto altre cose, non tutte m'erano piaciute.

Espiazione l'avevo cominciato prendendolo un po' sottogamba - come capita con un libro che ti trovi in casa senza sapere bene perchè - e anche all'inizio qualche diffidenza è venuta fuori, sarà che l'ambientazione in una residenza dell'aristocrazia rurale britannica non è certo nuova.

Ma poi come è bello immergersi in queste pagine, che pure non pretendono di essere facili e scorrevoli come un torrentello di parole.

Un grande romanzo sulla colpa, anzi, sul senso della colpa. Sui grandi interrogativi della morale fuori da ogni grande visione morale, perché in gioco qui c'è semplicemente il modo di stare al mondo, di relazionarci agli altri. Semplicemente si fa per dire. Perché la colpa è anche questo, segno, cicatrice, ciò che rimane quando gli eventi sono alle spalle.

E forse la cosa che fa più impressione è proprio questo. Ciò che rimane nel passare del tempo. La forza delle conseguenze che discendono anche da un singolo gesto, da una debolezza o da uno smarrimento.

La colpa di una ragazzina di 13 anni che scarica la colpa su una persona innocente. L'accusato che per tutta la vita ne sarà segnato. Ma anche l'accusatore che non se ne libererà più. Tanto che la narrazione scandisce un percorso di espiazione di un'anziana: un tempo era proprio quella ragazzina.

Alla fine chiudi questo libro e mettendolo via già sei alla prese con la malinconia del lettore, che sa fin troppo bene che anche questa volta i fili di questa storia, i suoi personaggi, svaniranno dalla sua memoria. Però ecco, sono sicuro che l'emozione di questa lettura rimarrà anche quando di questo libro mi rammenterò poco o niente.

Succede, succede proprio con i grandi libri.

domenica 27 giugno 2010

Tradurre una lingua che non fa rumore


Forse l'ho già detto, di tutti i mestieri che ruotano intorno al mondo del libro e della scrittura è quello del traduttore che mi intriga di più, sarà che sono uno che non riesce a leggere in lingua originale, che peccato, sarà che nella fatica del tradurre scorgo comunque la capacità della creazione. Sull'ultimo Tuttolibri a questo proposito c'è un bellissimo articolo di Elena Lowenthal, in realtà una recensione a Sul tradurre di Susanna Basso, una delle grandissime traduttrici italiane, per intendersi la traduttrice "di" gente come Alice Munro, Ian McEwan, Martin Amis. E proprio su quel "di" c'è subito una riflesione interessante.

Quel "di" genitivo non va inteso come un passivo possesso, anzi. Tanto è vero che, quando parla del suo bellissimo mestiere, un traduttore ti spiega quali sono i "suoi" autori

Insomma, sono più gli autori a essere posseduti dal traduttore che viceversa: e questo cambia la prospettiva, come no.

Perché tradurre è anche e soprattutto "possedere" un testo, in termini se non erotici certo amorevoli. E' qualcosa, per intenderci, di molto diverso, quasi opposto al leggere: per come si entra, si affonda, si percorre, si esplora la pagina.

E quante domande poi. Come risuona la lingua che sta solo sulla pagina e non fa rumore? Che invidia desta quel testo nel traduttore? Capita mai di volersi sostituire all'autore fino a reinventare consapevomente quello che sta traducendo?

E noi lettori? Noi lettori siamo spesso così ingrati, che nemmeno ci accorgiamo el tremendo lavoro che c'è dietro.

Perché quando si traghetta un libro da una lingua all'altra, ogni parola, ogni virgola significa una decisione presa e migliaia di altre scartate.

Almeno saperlo.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...