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lunedì 25 marzo 2013

Philip Roth, che il suo Nobel lo vinse in New Jersey

Mica facile intervistare il più grande scrittore vivente, o quello che comunque ha tutti i titoli per passare per tale, alla vigilia dei suoi 80 anni suonati.  

Il dolore di essere Philip Roth, pubblicato su uno degli ultimi numeri della Lettura del Corriere della Sera, è un cocktail perfetto di stupore o complicità. Ma prima ancora dell'intervista mi piace ciò che dice Livia Manera. Per esempio sull'intenzione dichiarata da Roth di non scrivere più.

Roth non ha smesso di scrivere. Si è liberato dell'obbligo di scrivere. Ha archiviato un impegno ossessivo con se stesso da cui sono nati 31 libri in 60 anni. Ma di qui a diventare un ex scrittore ce ne corre.

In realtà pare che, nonostante abbia raggiunto un'età che sembra un numero civico, non sia mai stato così di buon umore: liberarsi di questo fardello gli deve essere servito.

Tanto che chiedere di più?

Ha anche vinto ogni premio desiderabile su questa terra, incluso il Nobel che non gli hanno ancora dato. E' successo nell'ottobre 2005, una settimana dopo l'assegnazione del premio a Harold Pinter.

A esaltarlo era stata la cerimonia in cui gli avevano intitolato la strada in cui era nato. "Newark oggi è la mia Stoccolma - aveva detto Roth - e questa targa è il mio premio".

Forse alcuni dei vecchietti della cerimonia di Newark, in New Jersey, questa cosa di Stoccolma non l'avevano afferrata. Ma che dire di Philip Roth?

lunedì 4 giugno 2012

Quanto si beve nella letteratura americana

Bisognerebbe scriverla la storia di come l'alcol ha preso in ostaggio la letteratura americana, quando due Martini prima di pranzo erano un segno di distinzione virile.

Così scrive Livia Manera sulla Lettura del Corriere della Sera, a proposito del grande John Cheever, lo scrittore americano di cui quest'anno ricorrono i 100 anni dalla nascita e i 30 dalla morte, con inarrestabili fiumi di alcol in mezzo.

Afferma Livia Manera che in Cheever - un uomo che anche nel nome rammenta un'etichetta di whiskie - l'alcolismo rappresentava un paradosso:

Un virus che distrugge nel corpo e nello spirito quest'uomo minuto, con l'aria del signore di campagna e una certa pretesa di aristocrazia, ma non sembra mai sfiorare la lucidità della sua mente. 

Paradosso, senz'altro. Paradosso che comunque ha lasciato a John Cheever la possibilità di scrivere romanzi e short stories tra i più belli dei suoi tempi, pagine che gettano una singolare luce nel lato oscuro della vita americana, sobborghi e caffé del West Side, ville con piscina e bottiglie svuotate.

Però fa riflettere questa storia della letteratura americana ostaggio dell'alcol. Mica solo John Cheever e Raymond Chandler. Pensate agli investigatori o alle attrici condannate a bere spuma. 

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...