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lunedì 21 aprile 2014

Le ultime parole dell'imperatore morente

Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti....

Si conclude così Memorie di Adriano della grande Yourcenar, opera non facile, ma che è da catalogare a tutti gli effetti tra i grandi capolavori di sempre. Opera a cui ritorno sempre e che, vedrete, è fondamentale anche per il mio prossimo libro, in uscita tra qualche giorno.

Giunto al termine dei suoi giorni il grande imperatore scrive una lunga lettera al suo amico Marco Aurelio, guardando con occhio straordinariamente lucido alla sua vita toccata da un singolare destino. L'uomo che è stato il più potente del mondo si avvia da solo alla morte. Non ha troppi rimpianti, perché sa di aver vissuto nel giusto. Sa che la sua opera politica non è mai stata estranea a un senso di umanità.

Che questo porti alla felicità, è un altro discorso, ma di alcune cose è sicuro. Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo, afferma l'imperatore morente.

E noi con lui comprendiamo che la grandezza è questa responsabilità.

Un libro che accoglie nelle sue pagine i problemi degli uomini di ogni tempo. Un libro prezioso per chi si è consegnato all'impegno della politica e a quanti si interrogano sulle effettive priorità della vita.

venerdì 7 settembre 2012

L'imperatore felice di veder crescere i cavoli

Se sapessi che splendidi panorami contemplo dalla mia finestra e che piacere provo a veder crescere i cavoli che ho piantato, non mi rifaresti simili richieste.

In questa risposta mi sono imbattuto l'altro giorno solo per caso, leggendo la splendida rivista Storica. Un po' me ne vergogno, ma non credo sia solo colpa mia, se oggi sono trascurate parole così. Parole che non sono di un contadino tra i tanti, ma di Diocleziano. Cioé di colui che è passato alla storia come uno dei più grandi imperatori dell'antica Roma, benché le persecuzioni contro i cristiani abbiano finito per metterne in ombra le straordinarie doti.

Parla di panorami dalla finestra, non di terre conquistate, Diocleziano. Di cavoli, non di legioni.

Per dirla tutta, Diocleziano, il grande imperatore, a un certo punto aveva deciso di abdicare, dopo 20 anni di potere assoluto in cui era riuscito a riorganizzare l'Impero, ponendo fine alla "grande anarchia" del III secolo.

Aveva finito il suo compito. Aveva deciso di abbandonare, senza esserne costretto. Così, semplicemente, depose le insegne imperiali e si ritirò in un palazzo a Spalato, in Dalmazia, sua terra natale.

Quando gli chiesero di ritornare sui suoi passi, perché c'era bisogno di lui, perché c'era aria di nuove turbolenze poltiche, lui rispose così: con il piacere di vedere crescere i cavoli piantati.

Più grande ancora nell'abbandonare il potere che nell'esercitarlo, Diocleziano. E come mi dispiace aver incontrato solo ora le sue parole.

Così inverosimili, così sane, in questa nostra Italia dove si resta aggrappati a tutto, dove le dimissioni sono ammissione di colpa e dove la colpa, semmai, prelude alla promozione.

giovedì 7 giugno 2012

Nemmeno l'imperatore fa battere il ciglio a una stella

Nemmeno l'imperatore del Giappone, divinità in terra, nemmeno lui.

Leggo in Indro Montanelli, soltanto un giornalista, testimonianza di una vita resa a Tiziana Abate, la descrizione dell'ultimo Supremo Consiglio di Guerra con cui il Giappone fu chiamato a decidere sulla resa senza condizioni. Era il 9 agosto 1945, l'atomica era già deflagrata nel cielo di Hiroshima.

Per la prima volta nella storia del Supremo Consiglio un uomo - l'anziamo ammiraglio Suzuki - si rivolse all'imperatore Hirohito, sollecitandone il parere. Non si faceva, con un Dio in sembianze di uomo.

Pare che alla domanda abbia fatto seguito qualche minuto - minuto, non secondo - di incerto silenzio, misto a stupore. Poi Hirohito si alzò, prese da uno scaffale un libriccino di poesie appartenuto al nonno, cercò una pagina, lesse questi versi:


Guardate dunque il cielo
voi credete che la sorte di un uomo
anche il più potente
possa far battere il ciglio a una stella?

Non aveva parlato il Dio in terra, aveva parlato un uomo con la sua poesia. Solo quattro versi: e fu in quel momento che finì la guerra.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...