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venerdì 28 ottobre 2016

Il romanzo della collina e dell'Italia che cambia

Comincia che sembra di stare dentro a una scena di Novecento di Bertolucci: la storia di una famiglia contadina ai tempi in cui dire casa e terra era uno dei modi di dire tutto. L'Italia rurale prima della guerra, prima di Pasolini e la scomparsa delle lucciole, prima del boom economico, dell'abbandono delle campagne, di Mike Bongiorno e i varietà in tv. 

Cascina della Sbercia, zona dell'Oltrepo, territorio di collina, che non è piana e non è montagna e per questo forse sta meno nel nostro immaginario, sempre che la collina non sia di per se stesso un marchio internazionale, come per il Chianti e le Langhe.

Anni Trenta, ecco la vita sempre uguale a se stessa della famiglia Mezzadra. Da qui parte la storia de L'erba che fa il grano di Paolo Repossi (Instar libri), bel libro di un autore che nell'Oltrepo vive e che dell'Oltrepo sta cogliere gli umori e  i sapori.

 Romanzo di collina, leggo in copertina: e mi piace. Come mi piace questa storia di una terra dove si piantano alberi per un matrimonio o una nascita e dove i figli sono braccia. Ogni pagina, almeno all'inizio, sa di erba tagliata.

Solo che il tempo non si ferma, neanche nello spazio di un romanzo. Il tempo va avanti, butta all'aria le carte, sovverte ciò che finora è sempre stato. Pochi anni e tutto cambia. La guerra, l'economia, la società. 

Come chiudere gli occhi e riaprirlo sull'altro mondo: i figli che erano contadini oggi lavorano in un autosalone. C'è la musica dei Beatles ed è già ora di andare a vivere in città.

Romanzo di collina, ma soprattutto romanzo di come è cambiato il nostro paese, con il suo cuore un tempo contadino. Il tutto raccontato con leggerezza, direi addirittura con la parola che sa farsi poesia. Romanzo in agrodolce. Romanzo che è passato e presente, per il futuro si vedrà. 

sabato 18 giugno 2016

Metti una domenica mattina, bici e cantine in Toscana

Allora prendo la bici ed esco.

Ecco, fa proprio così e lo fa molte volte Emiliano Gucci, scrittore e libraio che è nato a Firenze, lavora a Prato e che tra Firenze e Prato abita. Ci sono viaggi che portano lontano per chilometri e chilometri, ci sono viaggi che non ti allontanano troppo da casa - anche se pedalando si fanno sentire, come no, sulle gambe - e che pure consentono di scoprire mondi.

E' quanto Emiliano ci dimostra con le pagine di Sui pedali tra i filari. Da Prato al Chianti e ritorno, pubblicato nella collana Contromano di Laterza. Quante cose ci ha infilato dentro, a partire dalle due passioni che lo accompagnano e che tra loro si accompagnano anche piuttosto bene, soprattutto se sei nato in Toscana: le scorribande su due ruote e le visite alle cantine del buon vino.

Ma, soprattutto se vivi in Toscana, appunto, bici e vino sono la chiave per entrare dentro i territori, per incontrare le persone e le loro storie, per fare i conti con miti e leggende varie.

E allora ecco le colline del Montalbano e del Chianti, le strade e i vigneti di Carmignano o di Radda, ma anche i capolavori di Leonardo da Vinci e  del Pontormo, le memorie dei grandi toscani del ciclismo come Bartali, Nencini o Bitossi. Ecco una bicchierata ma ecco anche la polvere e il sapore di impresa nella giornata dell'Eroica. Ecco le parole che affiorano dalle letture dei grandi toscani della penna, da Curzio Malaparte a Indro Montanelli.

Passato e presente, muscoli e parole, fiaschi e pedali. Quante cose, davvero, anche solo saltando sulla bici la domenica mattina perché ci si vuole bene davvero e allora si parte e si tiene gli occhi bene aperti e vai a sapere cosa si riporta a casa.

sabato 30 marzo 2013

Lui che sapeva bene come ammazzare il tempo

Gli anni che gli restano da vivere sono ancora molti, ma Filippo il tempo sa bene come ammazzarlo, sa come esorcizzare il male di vivere, come scampare alle ambizioni, agli impegni che ti impigliano e ti stritolano, allo stesso modo di Charlie Chaplin catturato dalle ruote dentate di Tempi Moderni. La sua è una lunga, dolce eutanasia.

Così lascia sfilare i giorni come i libri che divora uno dietro l’altro, esempio concreto di quello che Montesquieu diceva della lettura quale pigrizia travestita. Quando non legge inganna le ore riempiendo fogli e fogli di piccole prose.

Sono pagine in cui prende le difese del riso che, per dirla con Buffon, è la qualità distintiva dell’uomo, e per dirla con Yorick, allunga d’un dito la misura della nostra esistenza; dello sbadiglio, che annunzia il placido sonno, il dolce risvegliamento, il salutare appetito, la felice sazietà; della notte, benefattrice di tutto ciò che respira, che per gl’infelici è il fine delle fatiche, per i felici il cominciare dei piaceri; del vivere in campagna e del perdono.

Alcune cronache, però, ce lo ricordano impegnato soprattutto a ravvivare brigate di amici per intere serate, una battuta dietro l’altra, un verso improvvisato che scappa e uno che gli va dietro, e così a trascorrere le ore, magari davanti al fuoco di un caminetto, magari con qualche castagna a cuocere e parecchio vino da spartirsi. E' quello che ha sempre voluto, con i cari amici al caro loco viver temprando il verno al proprio fuoco.

Sono le veglie di uno zio un po’ stravagante, accattivante già nell’aspetto, con il suo naso acquilino, gli occhi vivacissimi, i capelli crespi che prendono sempre la piega sbagliata, gli abiti che più semplici non si può, con l’unico vezzo di un fazzoletto bianco sempre avvolto intorno al collo. Scapolone tanto sciolto di lingua, quanto impacciato nei doveri del tran-tran quotidiano, con la sua memorabile distrazione, lui che non riesce mai a segnarsi o a ricordarsi una data, e che talvolta si dimentica persino di firmare le proprie lettere.
 
Il tempo, da parte sua, gli concede di riflettere lungamente sulla vita, sul bene e sul male che questa gli ha portato e che lui ha colto. Può predisporsi alla morte con tutta calma, privilegio raro, dispiaciuto solo di non saperne in anticipo l'ora.

"La morte sarebbe allora come una cosa lungamente meditata... arriverebbe allora come un viaggiatore, a cui si è preparato il letto".

Non ne ha mai saputo nulla, ma sono sicuro che gli sarebbe piaciuto da matti il passo leggero con cui monaci e poeti giapponesi attraversano il mondo fluttuante. Sostituite il sakè con un buon Chianti, gli aceri con i castagni: allora le parole di Ryoi, letterato all'altro capo del mondo, sono le sue parole, la vita che ha chiesto e che alla fine ha avuto.

"Volgersi alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere saké, consolarsi dimenticando la realtà".


(Da Paolo Ciampi, Il poeta e i pirati, Polistampa)

mercoledì 10 ottobre 2012

Rossovermiglio invecchiato, come un buon vino

Ora sanno tutti e due che quelle pungenti crudeltà erano involontarie come quelle dei bambini.
E adesso che saprebbero rimediare, sanno di non avere più il tempo, né il desiderio. Si sono guastati la vita a vicenda, con ammirevole perfezione. E questa consapevolezza non basta certo a riavvicinarli, né a consolarli. 


E' uno di quei libri che mi impongo sempre di leggere con qualche anno di ritardo, Rossovermiglio di Benedetta Cibrario (Feltrinelli). Per partito preso: dopo che non se ne parla più, dopo che altri libri hanno fatto seguito, dopo che l'effetto di un premio vinto e del successo editoriale non si avvertono più.

E quindi ho atteso e mi sono predisposto al meglio per sintonizzarmi con queste pagine. E se non ci sono riuscito al cento per cento non è colpa dell'autrice, ma solo mia: magari dipende solo da qualche dettaglio, sarà che sono un toscano che non ne può più di libri e film ambientati tra le colline e i vigneti del Chianti.

Però quante cose che ci sono in questo libro: Torino la sabauda e la Toscana che ancora non ha piazzato i suoi vini nei ristoranti a cinque stelle di New York; un bel pezzo di storia, tra l'Italia umbertina e l'Italia che esce dalla seconda guerra mondiale tra macerie e speranze; un matrimonio combinato e un sentimento che invecchia come una buona bottiglia in cantina, solo che il tempo migliorerà il vino, chissà se sarà lo stesso per la persona su cui si ripongono (o malripongono) tante speranze. E poi una donna intimamente sola, una donna forte, capace di ribellarsi alle convenzioni, capaci di fare scelte contro corrente.

Tante cose e tante belle pagine. Così ho risistemato questo libro sullo scaffale, come un vino in cantina. Chissà, forse per stapparlo di nuovo tra qualche anno, sperando che sia ben invecchiato, e migliore al gusto.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...