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lunedì 17 settembre 2018

La liberia di Algeri per chio amava la letteratura e il Mediterrraneo

Un uomo che legge ne vale due.

E' questa la frase che compare sulla quarta di copertina de La libreria della rue Charras di Kaouther Adimi (L'Orma editore), un gran bel libro che parla di altri libri, delle passioni che la parola scritta accende, dei fili di vicende, luoghi, nomi che anche una libreria di pochi metri quadri può tessere

E' una storia presa dalla fine. Algeri, più o meno nei nostri anni: Ryad, studente universitario a Parigi, poche  idee e poche motivazioni, arriva per svuotare e chiudere una libreria, Les Vraies Richesses. Dentro ci sono volumi ingialliti, quadri, foto sbiadite che rimandano a un'altra vita, a un'altra storia. Quella di un altro ventenne, Edmond Charlot, arrivato da Parigi tanto tempo prima, lui sì con un'idea per la testa: fondare una libreria-casa editrice, capace di tenere insieme le due sponde del Mediterraneo. 

Sarà una biblioteca, una libreria, una casa editrice - si legge nel suo diario - ma sarà innanzitutto un luogo per gli amici che amano la letteratura e il Mediterraneo.    

Proposito da cui discenderà una straordinaria storia, umana e professionale. Perché quella piccola libreria,  al 2 bis della rue Charras, diventerà un ponte tra mondi diversi e un porto sicuro per una comunità di ingegni e affetti. Perchè la casa editrice - un giorno saranno ricordate come le mitiche Éditions Charlot - ospiteranno l'esordio di Albert Camus, diventeranno punto di riferimento per scrittori del calibro di Antoine de Saint-Exupéry e André Gide, faranno man bassa di premi e riconoscimenti.

Poi ci saranno altri anni, assai più tristi: i tempi difficili dell'editoria, la guerra d'Algeria, le due sponde sempre più distanti l'una dall'altra. Rimarrà solo quella piccola libreria, ormai chiusa. E quindi il dolore, che su queste pagine ho anch'io avvertito, per quella stessa libreria da svuotare. Lascerà il posto a un altro esercizio commerciale.

Pare la liturgia di un funerale, che lascia spazio solo alla nostalgia del passato. E invece no, se penso a tutte le vite che sono state alimentate da questa libreria-casa editrice, se solo provo a immaginarmi quanto ne deve essere disceso. 

Perchè un uomo che legge non ne vale solo due, ne vale quanti sono i libri che accoglie nella sua vita.




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giovedì 1 settembre 2016

Annie e il padre che non l'aveva mai fatta vergognare

Mi portava da casa a scuola sulla sua bicicletta. Traghettatore tra due sponde, con la pioggia e con il sole.
Forse il suo più grande motivo di orgoglio, o persino la giustificazione della sua esistenza: che io appartenessi a quel mondo che l'aveva disdegnato.

Bastano righe come queste per far emergere l'intera vita di una persona senza storia, tra le tante: prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria della provincia normanna, uomo del popolo, uomo senza istruzione e modi da cittadino, vita sottomessa alla necessità. Per rappresentare lui e per illuminare la relazione con la figlia, che lui ha fatto di tutto perché potesse studiare e fare una vita diversa, senza per questo mai immaginarsi che un giorno sarebbe perfino diventata scrittrice.

Di Annie Ernaux avevo già letto Gli anni, opera stupefacente, capace di mettere insieme autobiografia e storia collettiva, lettura che mi aveva conquistato fin dalla prima pagina. Ma che dire allora di quest'altro libro, Il posto (L'Orma edizioni)? Oserei parlare di capolavoro, se la parola non fosse logorata dall'uso.

Un libriccino in fondo, che si può leggere in due ore. Vai a sapere però quanto rimarrà dentro, vento di emozioni e di riflessioni che non viene meno. Quante cose, che ci sono: due generazioni a confronto che non sanno riconoscersi ma che si scoprono negli affetti, la fedeltà alle proprie radici e il bisogno di voltare le spalle a ciò che c'è di più caro, la famiglia e il mondo, gli immensi tesori di umanità nascoste in vite di lavori umili, di giorni che scorrono sotto gli eventi.  I silenzi, la forza del sentimento, le cose che resistono e che si mettono in moto comunque, basta avere occhi per guardare.

 Racconta suo padre, Annie Ernaux, parole, gesti, gusti,  racconta i mestieri più difficili del mondo, quelli di genitore e quello di figlio. Entra nel terreno più difficile per una scrittura che non inventa e non si sottrae - ci ho messo tanto perché riportare alla luce fatti dimenticati non mi veniva così facile quanto inventarli - e prima ancora che le storie di famiglia mette a nudo quei nodi emotivi che più di tutti è un'impresa sciogliere, sarà che ci sono troppi rimpianti. Distacchi, parole che si sono fatte mancare, incomprensioni, piccole crudeltà quotidiane.

Parabole di vita che a volte si cristallizzano in uno sguardo, in una frase.

La madre: "E' un uomo di campagna, cosa volete farci".

Il padre: Un giorno, con sguardo fiero: "Non ti ho mai fatto vergognare".

Mondi distanti. Mondi che i sentimenti, come la legge di gravità, riportano insieme. Nel tempo, col tempo. 

sabato 11 giugno 2016

Annie Ernaux, per salvare il tempo in cui non saremo mai più

Salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più.

Questo è il tempo, questo fa il tempo. Col tempo svaniranno le nostre immagini, le foto che custodiamo gelosamente nei nostri album, le foto con cui siamo finiti negli album degli altri, svaniranno come stanno svanendo, come sono svanite, le foto dei nostri genitori, dei nostri nonni.

Questo è il tempo, questo fa il tempo. Col tempo si annienteranno le parole con cui abbiamo nominato le cose, le persone, le azioni e i sentimenti, le parole con cui cui abbiamo provato a dare un senso, se non un ordine, al mondo.

Questo è il tempo, questo fa il tempo. Però poi ci sono altre parole, che il tempo lo riescono a raccontare. Certo non lo fermano il tempo, però sono come acqua nel grande fiume. Fanno in modo che anche noi si sia acqua che discende e va verso il mare. Senza sofferenza, senza nemmeno eccessi di nostalgia.

Parole come queste. Parole di un libro che considero un capolavoro: Gli anni di Annie Ernaux (L'Orma editore).  Parole, pagine in cui mi son tuffato. Poi la corrente mi ha portato via dolcemente per consegnarmi all'ultima riga. Questa, appunto:

Salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più.

Libro che non so nemmeno definire, come succede con i libri più grandi. Libro che non è né autobiografia né saggio né cronaca collettiva, ma qualcosa di tutto questo e altro ancora. Certo straordinariamente capace di amalgamare in un'unica narrazione i fatti della vita privata e i fatti della storia. Di alternare la terza persona singolare alla prima persona plurale (mai la prima persona singolare): e anche questo qualcosa vorrà dire.

Libro che è semplicemente la vita. La mia stessa vita, anche se non sono una donna, non sono francese e ho qualche anno in meno. La mia vita, quale vorrei raccontare. Sicuro dello stesso epilogo:

Sarà il silenzio, e nessuna parola per dirlo, Dalla bocca aperta non uscirà nulla. Né io né me. La lingua continuerà a mettere il mondo in parole.

Sicuro di questo epilogo, ma senza rimpianto.




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