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domenica 27 settembre 2015

Quella strana nostalgia per il tempo della tragedia

E' questo stesso assurdo struggimento che ci coglie - confessiamolo - quando pensiamo alla Resistenza. Noi, nati e cresciuti decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel periodo più pacifico e prospero che l'Europa occidentale abbia conosciuto, noi figli del pezzetto d'umanità più protetto, agiato e longevo che abbia mai calcato la faccia della Terra, proprio noi arriviamo a provare nostalgia per quella stagione tragica, per quella lotta formidabile ma terribile che non abbiamo vissuto.

E' indubbiamente un pensiero frivolo, forse addirittura una mancanza di rispetto verso il dolore altrui ma è il pensiero di chi ha vissuto esistenze oziose, è l'abbaglio che ci rappresenta, in cui si specchia il nostro perfido benessere, e con questo dobbiamo fare i conti....

Noi che non abbiamo nessuna vittima da rimpiangere e nessuna esperienza della guerra, noi concepiamo lo sproposito che quello - quello delle persecuzioni, delle ribellioni, dei milioni di morti e della lotta contro un nemico mortale - quello avrebbe potuto essere il tempo migliore della nostra vita. 

(Antonio Scurati, Il tempo migliore della nostra vita, Bompiani)

lunedì 21 settembre 2015

Dove si nascondeva il tempo migliore della nostra vita

Allora io avevo fede in avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m'è sfuggito per sempre, solo adesso lo so.

Ecco, la chiave del libro, perfino la spiegazione del suo titolo, è tutta qui, in queste due righe. Parole che non sono di Antonio Scurati e non sono nemmeno dell'uomo la cui breve vita Scurati prova a restituirci. Ma della moglie - Natalia Ginzburg, scrittrice che in molti abbiamo conosciuto e amato con Lessico famigliare - della moglie, appunto: con queste parole che grondano di malinconia e dolcezza. Quando tutto è ormai finito, quando quel futuro che per qualche tempo sembava schiudersi è ormai morto e sepolto.

Come è importante, come è carico perfino di orgoglio, perfino di una singolare ombra di felicità, il titolo di questo libro: Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani).

Io non l'ho comprato per il titolo, ma solo quando ho saputo che parlava di Leone Ginzburg - il marito, per troppo poco tempo, di Natalia, appunto. Leone: ebreo di Odessa, trapiantato in Italia per le varie circostanze della storia, straordinaria figura di intellettuale già da giovanissimo, tra i fondatori dell'Einaudi. Una possibilità in gran parte mancata per la nostra cultura. E chissà cosa avrebbe potuto fare, se la sua strada non si fosse incrociata con quella del fascismo.

Tra i pochissimi a rifiutare il giuramento al fascismo e a perdere così la cattedra conquistata a soli 25 anni - L'onore è un motivato rifiuto. L'onore è obbedire senza abbassarsi. L'onore è sentire la bellezza della vita. E poi l'antifascismo già negli anni in cui tutti si dicevano fascisti. La resistenza con la forza delle parole e delle idee, senza mai sparare un colpo. L'arresto e il confino. La morte in carcere.

Una vita breve, con poca libertà, sempre che non si tenga conto della libertà che è del cuore e della testa e che non si lascia soffocare nemmeno in una cella. Ma soprattutto una vita che è stata una promessa di felicità. Quella di un giorno in cui si potrà non essere eroi. In cui la storia non ci chiamerà alle nostre responsabilità.

Il sogno di un futuro. Nella normalità. Tranne scoprire - magari quando è troppo tardi, magari nei pensieri amari di chi è sopravvissuto - che proprio allora abbiamo giocato le nostre migliori carte. Che lì si annidava il tempo migliore.

lunedì 2 luglio 2012

Se la vita è sparita dalla letteratura

Ma a mancare  non è il talento. Non sono gli occhi che ci fanno difetto e non è nemmeno la bellezza ad averci abbandonati. Si è infranto lo specchio in cui contemplarla.

Afferma Antonio Scurati, nel suo La letteratura dell'inesperienza, che in genere ciò che si legge (e che si scrive) e ciò che si vive vanno a braccetto. E che anzi - questo lo diceva Italo Calvino - solo dopo averle lette e scritte le cose si sono vissute davvero: tanto che solo quando Beppe Fenoglio scrive Una questione privata - il libro che un'intera generazione, Calvino incluso, avrebbe voluto scrivere - ecco, solo allora, la stagione della Resistenza si può dire vissuta sul serio e davvero compiuta.

Afferma Antonio Scurati che non è più così, che non dipende dai talenti, e nemmeno dalla capacità di raccontare, ma oggi letture (e scritture) ed esperienze di vita hanno smesso di andare a braccetto.

Problema enorme, questo, che forse si percepisce anche in tanto bello scrivere assolutamente autoreferenziale, in questa epoca di effetti speciali senza costrutto, di ombelichi spacciati per il centro del mondo.

Ma che cos'è che si è davvero dissolto? Da dove è cominciata la diserzione? Dalla letteratura o dalla stessa vita?

Già, a proposito: cosa è davvero la vita come esperienza?

giovedì 28 giugno 2012

Quando si è tagliati fuori dalla storia in comune

Cosa significa davvero quella fine dell'umanesimo a cui tanto di frequente scrittori e intellettuali vari fanno riferimento?

Può darsi che come per altre espressioni usate e abusate la sostanza sia poca e il fumo tanto. Ma se si vuol giocare a carte scoperte, fa pensare la traduzione che di questa espressione tenta Antonio Scurati nel suo La letteratura dell'inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione (Bompiani):



Fine dell'umanesimo significa non poter più vivere con i propri morti. Fine dell'umanesimo significa essere esclusi dalla comunione con i morti. Essere tagliati fuori dalla storia che abbiamo in comune.



Ecco, mi sa che è proprio così. Ciò che è intimamente dell'uomo comporta radici, legami con il nostro passato, appartenenza che ci proietta nel futuro. L'umanesimo, aggiunge Scurati, era il tentativo di stabilire una comunione di vita tra i vivi, i morti e perfino i non ancora nati.


Un ponte tra passato, presente e futuro. Cosa succede se viene meno questa comunione di vita?



E che senso ha il lavoro di uno scrittore se questo ponte si sgretola?

domenica 13 maggio 2012

I sogni dell'Italia e quelli della gioventù

Chi visse tanto da vederla, quell'Italia, visse abbastanza per comprendere che peggio delle aspirazioni frustrate ci sono solo le aspirazioni esaudite.


Il guaio non è tanto che i sogni della gioventù non vengono mai al mondo; piuttosto, è che ci vengono immancabilmente, ma sempre con un attimo di ritardo. 


Meglio, molto meglio, sarebbe se le smanie e tutta quella spropositata sofferenza che si patisce da giovani ci facessero la grazia di svanire nel nulla.


(Antonio Scurati, Una storia romantica, Bompiani)

domenica 6 maggio 2012

Non ci siamo accorti nemmeno dell'apocalisse

Allora, semplicemente, ci siamo voltati indietro e abbiamo scoperto che ci trovavamo già a valle del punto di rottura. La catastrofe era stata a lungo un evento che andava compiendosi, ma noi non avevamo avuto occhi per vederla né orecchie per udirla: era stata una catastrofe al rallentatore. E così, in calce a tutto il resto, dovemmo scoprire che perfino l'apocalisse aveva fatto ben poco rumore.

Venezia, anno 2092, futuro non prossimo, ma nemmeno troppo distante, soprattutto se il metro di misura non è quello di una singola esistenza umana.

Venezia apparentemente è ancora Venezia, eppure è qualcosa di profondamente, gelidamente diversa: spazzata via e ricostruita, è diventata una sorta di parco divertimenti, una Disneyland per turismo ricco e senza pretese culturali, dove il passato può essere un gioco o uno spettacolo.

E quale passato, poi: non ci sono più gondolieri, a Venezia, perché se quello che conta è ciò che più attrae e fa cassa, i gondolieri non vanno più bene. Piuttosto i gladiatori, i guerrieri che combattono in un'arena, per la propria salvezza e per il divertimento del pubblico. Cosa di meglio, in un mondo in cui il sangue versato prima ancora che abitudine è da tempo diventato spettacolo?

Eppure con La seconda mezzanotte (Bompiani) Antonio Scurati  non racconta una tragedia nel suo accadere, non ci porta dentro l'ennesima apocalisse, lasciandoci magari la speranza di un happy end prima che.

Questo è un romanzo sul dopo. Sul mondo che ci aspetta dopo che il disastro si è già consumato. Dopo il tramonto della nostra civiltà.

Solo che tra parchi giochi e violenza a uso e consumo di spettatori e teledipendenti, il mondo dopo il nostro mondo non pare così lontano.

lunedì 30 aprile 2012

Quanta storia di Italia in questa storia romantica


Il guaio non è tanto che i sogni della gioventù non vengono mai al mondo; piuttosto, è che ci vengono immancabilmente, ma sempre con un attimo di ritardo.

Che gran romanzo che è Una storia romantica di Antonio Scurati (Bompiani editore), immenso affresco storico e partitura di tanti destini individuali che si annodano e si sciolgono. I fatti del Risorgimento e le passioni, gli ideali, le delusioni, i tradimenti.

Uno di quei libri in cui è bello tuffarsi senza riemergere più fino all'ultima parola, lasciando che i protagonisti ci accompagnino come ombre nelle nostre giornate. Chissà se vi catturerà di più il romanzo corale di Milano che insorge, in quella straordinaria pagina della nostra storia che sono le Cinque Giornate. Oppure il romanzo di Jacopo e Aspasia, la storia di due giovani che nell'insurrezione si amano e si perdono, ora sciogliendosi negli eventi, ora rimanendo fedeli solo a se stessi e al loro sentimento.

Quante cose, in questo libro, dove la gloria della Rivoluzione e la generosità della giovinezza sono visti anche con il senno di poi, magari attraverso la parabola di Italo, il rivoluzionario repubblicano diventato monarchico per convenienza, parabola che stringi stringi è anche la storia del nostro paese.

Un libro che finisce per infliggere un crampo di nostalgia; che ci obbliga a qualche dolorosa riflessione su un'epoca che ha fatto piazza pulita dei grandi ideali, lasciandoci forse qualche grammo in più di buon senso, ma anche desolazione e opportunismo; un libro che ci aiuta a riscattarci dalla mediocrità dei sentimenti in svendita.

martedì 24 aprile 2012

Paure e sogni con il bambino di Scurati


C'è un bambino che si aggira nella notte, sonnambulo, e urla che perchè nei suoi sogni si annida la fine del mondo.

C'è Bergamo - ma potrebbe essere una qualsiasi altra città del Nord operoso, opulento, effimero -  scossa dai sospetti che crescono fino a diventare certezze,  peccato che non siano certezze che restituiscono serenità, piuttosto scavano voragini di paura.

C'è una scuola materna travolta dalla psicosi e non si sa più se credere ai maestri o ai genitori, solo i bambini sembrano fragili creature destinate comunque alla sconfitta.

E c'è un circo mediatico che su tutto questo ci va a nozze, perchè se c'è una cosa che riesce bene in tv e che fa vendere i giornali è proprio la violenza. La violenza e il dolore, qualunque sia.

E'  libro complesso, Il bambino che sognava la fine del mondo di Antonio Scurati (Bompiani). Un libro a più registri, che è insieme cronaca e invenzione narrativa, con qualche pennellata autobiografica.

Perché è così che funziona: alla fine il romanzo, quando è genuino, riesce a mettere il dito nelle piaghe che fanno male, più e meglio di tante inchieste giornalistiche.

venerdì 13 aprile 2012

Antonio Scurati e il senso delle cose ultime


    La verità è che nessuna etica è possibile senza metafisica. E, forse, nemmeno la buona politica.

    Non agiamo per il meglio, individualmente e collettivamente, se non abbiamo un senso delle cose prime e delle cose ultime.
    Non prendiamo in mano il nostro destino, se rimaniamo incapaci di un pensiero profondo sul nostro essere nel tempo che vada oltre le previsioni meteo per il prossimo weekend in montagna. 
    E questo senso del tempo profondo porta con sé, innanzitutto, il senso della fine.
    (Da Antonio Scurati, Gli anni che non stiamo vivendo, Bompiani. Antonio Scurati sarà venerdì 4 maggio, ore 21 al Castello di Poppi per le conversazioni de Le Parole e il Silenzio)

venerdì 6 aprile 2012

Questi anni che non stiamo vivendo


Viviamo nel tempo della cronaca. La cronaca non è più, per noi, uno dei tanti modi di raccontare il tempo presente. E' diventata, invece, il criterio generale del nostro sentimento del tempo.

Un tempo il tempo era diverso: c'era un passato, un presente, un futuro. Per questo sapevamo voltarci indietro e ritrovare radici, identità, esperienze. Per questo potevamo lanciare lo sguardo avanti e coltivare sogni, obiettivi, speranze.

Ma oggi qualcosa si è inceppato, e prima ancora che le dimensioni della crisi (e la sua percezione), questo qualcosa chiama in causa proprio il nostro sentimento del tempo, la nostra capacità di dare una profondità e quindi una prospettiva al tempo.

Così il tempo della storia è diventato il tempo della cronaca: anni che non hanno poco dietro di sé e ancora meno davanti, anni scanditi solo dai delitti, serviti sul piccolo schermo, spettacolarizzati, trasformati in una sorta di reality show.

Tempi anestetizzati, tempi effimeri, tempi di finta autenticità, dove la televisione ti regala il bello della diretta e ti sottrae la possibilità di condividere qualcosa di più di una psicosi collettiva. E il resto sembra solo shopping, o peggio ancora televendita.

Antonio Scurati spreme la desolazione e l'inquietudine del nostro mondo dai tanti casi dilagati nelle cronache più o meno recenti. Ne viene fuori questo Gli anni che non stiamo vivendo (Bompiani): un libro triste, sconsolato, a volte allibito. Un libro orgoglioso, però, anche necessario, come necessari sono i lampi di intelligenza, i sussulti del rigore etico.

sabato 11 febbraio 2012

Se una nevicata così si era già letta

Ma come mai ogni ondata di maltempo è sempre la peggiore, inattesa e terribile come non si vedeva da un pezzo? Non sarà perché abbiamo perso il senso del tempo, della sua profondità, del suo valore?

Così ci suggerisce Antonio Scurati, su una pagina sulla Stampa - titolo, Una nevicata così si era già letta - che tocca senz'altro un tema di forte attualità visto gli sconquassi del Generale Inverno, e che pure mi piace pensare come un intervento a futura memoria.

Afferma Scurati:


Le forti nevicate, le grandinate, gli acquazzoni ci calano in un clima mentale da emergenza perpetua perché non riusciamo più a tessere mentalmente la trama che lega il passato al presente e, tramite questo, al futuro. Lo si sa: da qualche tempo qualcosa si è spezzato nel conto del tempo.

E certo nel conto del tempo va messo anche l'inefficienza (peraltro cronica e quindi non nuova) del nostro paese; come pure il bisogno di enfatizzare e spettacolarizzare l'emergenza. Ma detto questo, serve, come no, la cura che ci propone Scurati:

La letteratura in questo ci può aiutare. la letteratura vive, infatti, per sua natura, in un tempo più grande del presente.

E allora vengono in mente i gelidi inverni in montagna dei partigiani di Beppe Fenoglio oppure la Londra ghiacciata dei disperati di Dickens. E non si può che dare ragione a Scurati:

In letteratura un inverno non sarà mai solo questo inverno.

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