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lunedì 4 giugno 2018

Sulle tombe dei poeti, cercando di ascoltare

Ho fatto loro visita perché sono parte della mia vita, perchè la mia vita l'hanno accompagnata nei modi più diversi e in diversi momenti.

Non è certo destinato a profondere allegria a piene mani un libro che si intola Tumbas e per sottotitolo Tombe di poeti e pensatori (Iperborea). Eppure Cees Nooteboom, scrittore che ho già inseguito in molti viaggi, questa volta porta ancora più lontano, in un viaggio che attraversa il confine tra la vita e la morte, si interroga sul senso della poesia e sulla precarietà della fama, medita sulle ragioni e sui sentimenti che ci fanno amare un autore o un'opera.

No, malgrado il titolo, questo libro non è una raccolta di epitaffi, non solletica pulsioni nei confronti delle atmosfere sepolcrali, tantomeno suscita sentimenti di devozione o ossequio nei confronti dei morti illustri. Il contrario, semmai: e qui sta il bello di un libro che ci accompagna di tomba in tomba non per trovare i morti, ma per ascoltare i vivi malgrado la morte.

La maggior parte dei morti tace - spiega Nooteboom - Per i morti non è così. I poeti continuano a parlare.

Ed è per questo che gente come me, come molti, quando hanno l'occasione finiscono per recarsi in certi cimiteri e per indugiare di fronte a certe tombe. Anche se la persona sepolta non l'abbiamo mai conosciuta. O al contrario, proprio perché l'abbiamo conosciuta, nella sua opera.

E' quello che cerchiamo, quando ci avviciniamo alle tombe degli scrittori, gigantesca minoranza di appassionati di ciò che si fa da soli - leggere - ma che a volte, in un cimitero come in un festival, sa diventare comunità. Cerchiamo l'opera, che ancora ci parla. Vogliamo richiamare un sentimento, sottolineare un'appartenenza. A volte ci riusciamo solo così.

Scrivere è mortalità rinviata, spega ancora il grande olandese. E ancora: Anche circondato da migliaia di lapidi, non ho mai la sensazione di essere in visita a un morto.

Se vi tufferete in questo libro ne avrete la dimostrazione. E magari anche voi partirete per qualche cimitero, solo per continuare un dialogo interiore con un libro che via appartiene. Per quanto mi riguarda ho già deciso cosa fare, quando avrò spento il computer.

Poco lontano da casa, mi aspetta il Cimitero degli Inglesi, sui viali che avvolgono il centro di  Firenze. Voglio andare a trovare una vecchia amica, Elizabeth Barrett Browning. Ho molto da raccontarle.  E soprattutto molto da ascoltare.

venerdì 7 luglio 2017

Giappone, in questo mondo, un altro pianeta

E' nei luoghi di cui ignoravi perfino l'esistenza che finisci per essere più felice.

Così afferma Cees Nooteboom, grande viaggiatore, grande scrittore. E il Giappone, certo, non è un paese di cui ignorava l'esistenza, piuttosto è un paese che a lungo ha frequentato nei libri dei suoi scrittori, a partire dall'immenso Kawabata. Ma appunto, una cosa è il paese letterario, una cosa è il paese vero: e cosa c'è di più spiazzante, enigmatico, impermeabile del Giappone, anche del Giappone dei nostri tempi?

In Cerchi infiniti (Iperborea) sono raccolti saggi e reportage che Nooteboom ha dedicato al Giappone: e non si parla solo di viaggi, ma di tutti gli incontri, anche a distanza, con questo incredibile paese: comprese una mostra in Europa di Hokusai oppure un'attenta rilettura di quell'incredibile romanzo che è La storia di Genji.

Quali umori, quali sentimenti, da queste pagine? Senz'altro l'incanto per la bellezza che in Giappone si nasconde e si rivela nei modi e nei luoghi più inattesi, anche laddove l'idea stessa di bellezza pare travolta dal cememto, dall'asfalto, dai numeri da capogiro delle metropoli.

E poi? Poi c'è altro, soprattutto a partire dal secondo viaggio, quando la sorpresa incalza meno e dentro si fa largo lo spazio per la riflessione. Prevale il senso di esclusione, la sensazione di un mondo a parte rispetto al quale sarai sempre un estraneo: trattato con gentilezza, ma di fatto invisibile. Incompreso e incapace davvero di comprendere. Figurarsi, in un paese dove la stessa lingua è un problema insormontabile e i trasporti pubblici, ancorché inappuntabili, sono un supplizio per l'europeo che deve scegliere e orientarsi.

Può succedere, anche in altri posti del mondo: ma che cosa incredibile che avvenga proprio nel Giappone dei grattacieli, dei treni superveloci, degli immensi centri commerciali. Il nostro mondo e allo stesso tempo un altro pianeta.

Un altro pianeta da cui comunque Nooteboom si sente irrimediabilmente attratto. Si faccia pellegrino come gli antici monaci buddisti o contempli un giardino dove ciò che non c'è è più importante di ciò che c'è.

Se mai potessi avere un'altra vita, dovrebbe essere in un paese con una scrittura diversa.

Così afferma a un certo punto Nooteboom. Frase rivelatrice. Frase che vale per il Giappone, ma che forse va alla radice di ogni viaggio in luoghi distanti non solo per la geografia: luoghi che sono arene dove si combattono il desiderio di appartenenza e l'estraneità.

giovedì 16 agosto 2012

Stanze di albergo, stanze dell'anima

Indugi sulle sue pagine e non puoi non pensare alle parole di un filosofo arabo del dodicesimo secolo, Ibn al-Arabi:

Non appena vedi una casa dici: voglio restare qui, ma appena arrivato lì la lasci di nuovo per metterti in cammino.


Perché è proprio così, Cees Nooteboom è uno dei grandi scrittori europei dei nostri anni, ma soprattutto è un nomade caparbio, appassionato, incapace di darsi tregua. Lui stesso ci racconta che un giorno si è messo sulle spalle lo zaino, ha salutato la madre, è saltato su un treno ed è diventato una freccia puntata sulla lontananza.

Da allora non si è più fermato, però ci ha messo un po’ più di tempo e di esperienza per capire che in un posto comunque è rimasto sempre: proprio quel posto dove è solo con se stesso.

Hotel Nomade (Feltrinelli) è un libro particolare di un viaggiatore particolare.

Le infinite stanze di albergo del suo errare diventano le stanze della sua anima: e lui le apre per farti entrare e accoglierti. Poi ti dice cose come queste:

Forse le cose stanno così: il vero viaggiatore si trova sempre nell’occhio del ciclone. Il ciclone è il mondo, l’occhio è ciò con cui lui guarda il mondo. La meteorologia ci insegna che nell’occhio si sta tranquilli, forse quanto nella cella di un monaco.

E non te ne vorresti andare più via, solo che non è possibile, perché è così, è come diceva Ibn al-Arabi. Bisogna rimettersi in cammino: proprio come ha sempre fatto Cees Nooteboom.

lunedì 29 agosto 2011

Lo scrittore che ci racconta le camere d'albergo

Indugi sulle sue pagine e non puoi non pensare alle parole di un filosofo arabo del dodicesimo secolo, Ibn al-Arabi:

Non appena vedi una casa dici: voglio restare qui, ma appena arrivato lì la lasci di nuovo per metterti in cammino


Perché è proprio così, Cees Nooteboom è uno dei grandissimi scrittore europei dei nostri anni, ma soprattutto è un nomade caparbio, appassionato, incapace di darsi tregua. Lui stesso ci racconta che un giorno si è messo sulle spalle lo zaino, ha salutato la madre, è saltato su un treno ed è diventato una freccia puntata sulla lontananza.

Da allora non si è più fermato, però ci ha messo un po’ più di tempo e di esperienza per capire che in un posto comunque è rimasto sempre: proprio quel posto dove è solo con se stesso.

Ripenso spesso a Hotel Nomade (Feltrinelli), libro particolare di un viaggiatore particolare.

Le infinite stanze di albergo del suo errare diventano le stanze della sua anima: e lui le apre per farti entrare e accoglierti.

Magari con parole come queste:

Forse le cose stanno così: il vero viaggiatore si trova sempre nell’occhio del ciclone. Il ciclone è il mondo, l’occhio è ciò con cui lui guarda il mondo. La meteorologia ci insegna che nell’occhio si sta tranquilli, forse quanto nella cella di un monaco

venerdì 25 marzo 2011

Se il viaggiatore è nell'occhio del ciclone

Se il viaggiatore è nell'occhio del ciclone, dunque nell'unico luogo dove ci si può aggrappare alla quiete  el cuore della tempesta. Se l'occhio del ciclone è uno sguardo sulle cose del mondo. Se in questo modo si riesce perfino a cogliere qualche brandello di saggezza. Mi piacciono queste parole di Cees Nooteboom:

Forse le cose stanno così: il vero viaggiatore si trova sempre nell'occhio del ciclone. Il ciclone è il mondo, l'occhio è ciò con cui lui guarda il mondo. La meteorologia ci insegna che nell'occhio si sta tranquilli, forse quanto nella cella di un monaco. Chi impara a guardare con quell'occhio impara forse anche a distinguere l'essenziale dal secondario, anche se si limita a capire in che cosa sono diverse le cose e le persone e in che cosa sono uguali

Non so ancora bene cosa sia un vero viaggiatore, non so quanti viaggi si debba fare per esserlo, e quanto lontano, non so nemmeno se ne valga la pena, ma percepisco che questa è la strada, anzi, che prima ancora di una strada è un modo di guardare. Ed è proprio questo sguardo.

martedì 22 marzo 2011

L'unico motivo che non vale per viaggiare

Ci sono molti buoni motivi per viaggiare, ma solo uno è meglio lasciarselo una volta per tutte alle spalle: l'irragionevole convinzione che cambiando luogo si possa cambiare se stessi, ritrovare se stessi, o peggio ancora fuggire da se stessi.

Non c'è altrove per chi prova ad alimentare questa speranza macinando chilometri. E valgano allora le parole di uno dei più grandi scrittori viaggiatori dei nostri tempi, Cees Nooteboom, un nome che sembra uno scherzo, ma un lampo di luce in ognuna delle pagine del suo Hotel Nomade (Feltrinelli Traveller)

Chi viaggia di continuo è sempre da qualche altra parte, e questo vale per te stesso, e quindi sempre assente, e questo vale per gli altri, gli amici; perché è vero che per te sei sempre "in qualche altro posto", il che vuol dire che in qualche posto non ci sei, però in un posto ci sei sempre e comunque, ossia con te stesso. E per quanto semplice possa sembrare, ci vuole molto tempo prima che te ne renda completamente conto. 


Non so quante volte ho già dovuto ascoltare il detto di Pascal: "La sventura del mondo viene perché gli uomini non riescono a rimanere ventiquattr'ore nella stessa stanza", fin quando pian piano ho capito che io ero proprio quello che rimaneva a casa, vale a dire con se stesso.


Anche viaggiare è qualcosa che devi imparare, è una transazione continua con gli altri durante la quale nello stesso tempo sei solo.

lunedì 21 giugno 2010

Le camere d'albergo di Cees Nooteboom



Indugi sulle sue pagine e non puoi non pensare alle parole di un filosofo arabo del dodicesimo secolo, Ibn al-Arabi:

Non appena vedi una casa dici: voglio restare qui, ma appena arrivato lì la lasci di nuovo per metterti in cammino


Perché è proprio così, Cees Nooteboom è uno dei grandissimi scrittore europei dei nostri anni, ma soprattutto è un nomade caparbio, appassionato, incapace di darsi tregua. Lui stesso ci racconta che un giorno si è messo sulle spalle lo zaino, ha salutato la madre, è saltato su un treno ed è diventato una freccia puntata sulla lontananza.

Da allora non si è più fermato, però ci ha messo un po’ più di tempo e di esperienza per capire che in un posto comunque è rimasto sempre: proprio quel posto dove è solo con se stesso.

Ripenso spesso a Hotel Nomade (Feltrinelli), libro particolare di un viaggiatore particolare.

Le infinite stanze di albergo del suo errare diventano le stanze della sua anima: e lui le apre per farti entrare e accoglierti.

Magari con parole come queste:

Forse le cose stanno così: il vero viaggiatore si trova sempre nell’occhio del ciclone. Il ciclone è il mondo, l’occhio è ciò con cui lui guarda il mondo. La meteorologia ci insegna che nell’occhio si sta tranquilli, forse quanto nella cella di un monaco

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