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lunedì 9 ottobre 2017

Storie e cammini accesi nell'osteria dei passi perduti

Adoro l'inverno fangoso e brumoso. Perché chiama alla mensa. Invita a godere del tempo al riparo dal freddo, mentre fuori infuria la tempesta...

La tempesta, tra l'altro, a volte può anche non essere meteorologica, può essere delle cose che si abbattono sulla vita. E allora davvero bisogna fare come Orazio, il poeta, che chiedeva alla sua Leuconoe di gettare senza risparmio la legna sul fuoco e di mescere altro vino, tanto vai a sapere del domani.

Camini accesi, bicchieri generosi e con loro buoni sapori. Più parole, a tenere compagnia. Le parole di chi ti accoglie  fradicio di pioggia e di vento, le parole di chi con te intende condividere bevute e storie.

E quante storie ci sono dentro L'osteria dei passi perduti  (Bottega Errante Edizioni) di Angelo Floramo, scrittore friulano che ebbi modo già di conoscere qualche anno fa, con il bellissimo Balkan Circus (Ediciclo) libro di peregrinazioni e incontri per le distese del mondo slavo.

E quante terre ci sono anche qui, a mescolarsi oltre la porta di un'osteria, in sere di libagioni e chiacchiere, riposo e piacere del viandanti. Ci sono terre e c'è soprattutto questa terra del Friuli, naturale incrocio di popoli, terrazza con vista su altri mondi.

Posti dove ti accomodi e c'è un piatto di salumi o di formaggi a darti il benvenuto e vino fresco di cantina per sciogliere la lingua: così che venga facile raccontare di zingari e partigiani, poeti dimenticati e osti scorbutici. E ci sono nomi che sono come tronchi che i fiumi portano con sè, ci sono miti che non smettono di parlare al cuore, come quello degli Argonauti. Ci sono sere felici, in cui il male di vivere è ben rintuzzato, la solitudine messa via come un abitro al cambio di stagione.

Memorie e geografie, odori di buono e palati forti, per quattordici storie da godersi tutte, fino ai ringraziamenti, da leggere anche loro, un inno agli osti e ai viandanti, agli zingari e agli avventori affratellati nel vino.

E anche agli amici, certo, agli amici con cui sedersi e brindare e conversare: né tanti né pochi, il giusto. Perché è vero:

D'altronde di quanti amici ha bisogno un uomo libero? Non uno di più delle sedie che circondano il tavolo della sua cucina. 








domenica 28 maggio 2017

In cammino tra gli incanti e gli orrori dell'Appia Antica

Più di un cammino, perché prima di tutto c'era da ritrovarla la strada, che un tempo era la strada per definizione, la strada romana numero uno. C'era da ritrovarla e quindi percorrerla fino in fondo. E quindi tracciarla e restituirla di nuovo, in qualche modo, al paese che le aveva voltato le spalle, seppellendola sotto tangenziali e discariche, cave e parcheggi. E quindi c'era da raccontarla, la strada, scegliendo le parole giuste per metterla sotto gli occhi di chi finora l'aveva trascurata e degradata.

Davvero, è assai più di un cammino, e poi di un bel libro di viaggio, Appia di Paolo Rumiz. Dietro c'è tutta la storia della via tracciata da Appio, il console cieco. C'è la strada calpestata dai piedi dei legionari e poi dei pellegrini, da Roma a Capua, da Capua a Brindisi. C'è l'Occidente e c'è l'Oriente, che si respira arrivando al mare. Ci sono i santi e ci sono gli schiavi ribelli di Spartaco, inchiodati su una croce per l'ultimo supplizio.

Ma c'è anche un altro passato, fatto di scempi, amnesie, devastazioni, appropriazioni. Ville romane sequestrate dietro cancelli, rovi e rifiuti, asfalto dove c'erano gli antichi lastrici, archeologi additati al pubblico ludibrio, pietre portate via per i giardini privati - terrificante dilapidazione di un patrimonio, e attenti alla parola dilapidare, significa per l'appunto portare via pietre.

Così non sai se a parlarti è più il passato nobile della madre delle vie europee o il passato indegno di un paese che fino all'altro ieri ha fatto di tutto per mandare in rovina ciò che la storia gli ha consegnato. Non sai se sarà la rabbia, passo dopo passo, a piantare la bandiera nel tuo cuore. O piuttosto la meraviglia, un sentimento che scardina il cuore e ti fa più largo: perché comunque c'è infinita bellezza  lungo la strada.

Questo è il passato, questi sono i passati. Vai a sapere quale sarà il futuro, tra i tanti che se ne fregano e gli altri che dell'Appia si sono finalmente accorti. Tanto che sempre di più è oggetto di convegni, seminari, articoli sui giornali, l'Appia.

Ma essa - ci dice Rumiz - chiedeva qualcosa di più semplice e modesto. Essere lasciata in pace. Essere percorsa, vissuta.

Così come Rumiz, con i suoi compagni di viaggio, ha fatto per 29 tappe e 612 chilometri. Così come ci ha raccontato perché anche noi un giorno, zaino sulle spalle, forse si possa masticare indignazione e incanto. 

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