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lunedì 12 dicembre 2016

L'uomo che ha letto troppo e la lettrice scomparsa

Mi ero ammalato di letteratura.

Così ammette, ma solo dopo duecento pagine di narrazione in prima persona, Vince Corso, lettore accanito e professore precario che si inventa la professione di biblioterapeuta, con esiti incerti.

Io ci avrei scommesso fin dall'inizio, su questa malattia, anche senza riuscire a mettere in fila i sintomi: Si comincia analizzando ogni circostanza come se fosse la trama di un romanzo: se ne indagano i significati taciuti, i rimandi interni, le eventuali incongruenze, poi si  prende a ballare con l'improbabilità.... Ci avrei scommesso, perché solo a uno come Vince Corso, uomo malato perché ha letto troppo, poteva venire in mente di curare gli altri con i libri.

E' lui il protagonista de La lettrice scomparsa, l'ultimo libro di Fabio Stassi (Sellerio), romanzo che è molte cose, persino un giallo, ma che soprattutto ha la forza di riproporre la questione mai risolta del rapporto tra vita e letteratura.

Su tutto questo gioca, Stassi, anche quando il gioco si fa maledettamente serio. Anche quando saltando di questione in questione si inizia a provare una certa vertigine.

La parola scritta può davvero dare un senso alla vita? E quanto vale la pretesa di dare un ordine?

A creare l'universo non può che essere stato uno scrittore fallito, afferma a un certo punto il protagonista del libro. Vai a sapere come è andata davvero e se anche queste non sono altre parole con cui proviamo a darci una giustificazione.

Meglio abbandonarsi a questa storia, dove le terapie e persino gli indizi che la lettrice scomparsa ha lasciato dietro di sé sono titoli, letture amate, suggestioni di frasi e pagine. Tanto si capisce che pure l'autore, Stassi, è uno che si ammalato della stessa malattia - incurabile - di Vince Corso (e sarà un caso che per Sellerio abbia seguito l'edizione italiana di uno splendido libro per malati di libri come Curarsi con i libri?). Tanto si capisce che pure noi, che questo libro lo abbiamo preso e letto, vaccinati proprio non siamo.

lunedì 29 settembre 2014

La semplicità con cui venne alla luce il nome di Charlot


Il mio nome, solo a pronunciarlo, suscita ammirazione in ogni angolo del pianeta, in Birmania come nella Terra del Fuoco. 

Forse sarebbe meglio dire il nome del personaggio che ho creato, un pomeriggio di pioggia del 1914, durante la lavorazione di un cortometraggio, scegliendo degli abiti fuori misura in uno spogliatoio maschile.

Ma questi aneddoti li ho raccontati in ogni maniera, anche se mi sorprende sempre ricordare la misteriosa semplicità con la quale Charlot oi The Tramp, il vagabondo, come lo chiamo gli americani, venne alla luce.

(Fabio Stassi, L'ultimo ballo di Charlot, Sellerio)

lunedì 22 settembre 2014

Come Charlot diventò Charlot

Per diventare l'attore che volevo essere dovevo imparare a stare nella testa della gente, a cavarmela da solo, a guardare. A far nascere ogni movimento dall'osservazione della vita...

Notte di Natale del 1971: la Morte, quella da leggenda e da film di serie B, con la veste nera e la falce, bussa alla porta di un uomo di 82 anni, arrivato alla sua ora dopo una vita che nemmeno in un romanzo. Però non se lo porta via. I due stringono un patto: ogni vigilia di Natale la Morte tornerà e se ne andrà a mani vuote se quell'uomo riuscirà a farla ridere. Andranno avanti per molti anni.

Si chiama Charlie Chaplin, quell'uomo. Meglio conosciuto da generazioni di ragazzi e ragazze di tutto il mondo come Charlot.

Parte con questo espediente, L'ultimo ballo di Charlot di Fabio Stassi (Sellerio), per raccontare e romanzare abbondantemente la vita impossibile di uno dei grandissimi del Novecento: la disastrata infanzia in Inghilterra, il circo e il vaudeville, i primi passi sul palcoscenico e i mille umili lavori per tirare avanti, accarezzando un sogno e una possibilità. Mentre intanto nel mondo sta succedendo qualcosa, con fasci di luce che cominciano a proiettare immagini in movimento su schermi bianchi, innescando la magia del cinema... 

E non importa quanto ci sia di vero o di inventato. Questo è un libro che sa parlare al cuore e alla fantasia, così come sapeva fare quel vagabondo con i baffetti e i calzoni larghi tenuti su dalle bretelle.


mercoledì 5 dicembre 2012

Capablanca e la rivincita a scacchi che non ci fu

L'incoscienza del cubano un poco la commosse. Per lui la giovinezza era ancora la possibilità di irridere teorie e manuali. Di imporre solo la forza maleducata della sua età. E dissipare il proprio talento

Forse era proprio questo, José Raùl Capablanca, uno dei più grandi campioni di scacchi di tutti i tempi, ma anche un uomo - e un personaggio - assolutamente distante dall'idea che abbiamo del campione di scacchi. Non una sorta di computer con i neuroni al posto dei bit, non una macchina pensante capace solo di calcoli, non di emozioni.

Capablanca era ben altro, lo era già nelle sue origini, nel suo appartenere a un'isola come Cuba che pare non avere niente a che vedere con gli scacchi, perché gli scacchi, uno pensa, stanno bene in una Siberia dello spirito, freddo fuori e silenzio intorno a te, non al caldo dei Tropici, dove la vita scorre per strada, ed è pulsare di sangue, frenesia, passione accesa...

Così si pensa e invece ecco Fabio Stassi che con La rivincita di Capablanca (Minimun Fax) ci racconta una splendida storia di genio e sregolatezza.

Non un libro sugli scacchi, però: nessuna descrizione di partite, nessuna disquisizione su gambetti e arrocchi. Piuttosto una storia sulle passioni che possono annidarsi nel cuore dell'umano e segnarne la vita irrimediabilmente. Una storia di rivalità, di destini incrociati, di traguardi che si allontano all'ultimo istante, di obiettivi che sfumano come miraggi.

Capablanca e il suo avversario di sempre Aleksandr Aljechin, il russo che lo aveva battuto e che poi si rifiutò di accordargli la rivincita.

Una partita che non ci sarà mai - o forse sì, chissà. Perché gli scacchi sono come la vita, in cui non sai mai cosa è sogno, cosa realtà. Perché la vita - e qui mi tornano in mente gli scrittori del sogno mitteleuropeo, come Stefan Zweig e Arthur Schnitzler - è spesso davvero una partita a scacchi. E a volte è la possibilità di una partita, a volte una rivincita che non viene accordata.

martedì 30 agosto 2011

Se il pedone sogna di diventare regina



Gli era tornata in mente una domanda che si erano fatti una sera, per gioco, a Pietroburgo.

Cosa sogna un pedone?, gli aveva chiesto il russo, e allora era parsa a entrambi una questione divertente. 

Adesso, a tanti anni di distanza, la faccenda gli suonava più misteriosa, e ostile. E per poco, in questa camera arredata con umiltà, ebbe l'impressione di aver capito. 


Cambiare natura. Raggiungere l'ottava traversa. Non rassegnarsi all'infelicità del proprio stato. 


La chiave di tutto era nell'ansia di una metamorfosi, nel sogno dei pedoni di diventare regine. 


(da Fabio Stassi, La rivincita di Capablanca, Minimum Fax)

sabato 27 agosto 2011

Se la vita è una rivincita a scacchi

L'incoscienza del cubano un poco la commosse. Per lui la giovinezza era ancora la possibilità di irridere teorie e manuali. Di imporre solo la forza maleducata della sua età. E dissipare il proprio talento


Forse era proprio questo, José Raùl Capablanca, uno dei più grandi campioni di scacchi di tutti i tempi, ma anche un uomo - e un personaggio - assolutamente distante dall'idea che abbiamo del campione di scacchi. Non una sorta di computer con i neuroni al posto dei bit, non una macchina pensante capace di calcoli ma non di emozioni.

Capablanca era ben altro, lo era già nelle sue origini, nel suo appartenere a un'isola come Cuba che pare non avere niente a che vedere con gli scacchi, perché gli scacchi, uno pensa, stanno bene in una Siberia dello spirito, freddo fuori e silenzio intorno a te, non al caldo dei Tropici, dove la vita scorre per strada, ed è pulsare di sangue, frenesia, passione accesa...

Così si pensa e invece ecco Fabio Stassi che con La rivincita di Capablanca (Minimun Fax) ci racconta una splendida storia di genio e sregolatezza.

Non un libro sugli scacchi, però: nessuna descrizione di partite, nessuna disquisizione su gambetti e arrocchi. Piuttosto una storia sulle passioni che possono annidarsi nel cuore dell'umano e segnarne la vita irrimediabilmente. Una storia di rivalità, di destini incrociati, di traguardi che si allontano all'ultimo istante, di obiettivi che sfumano come miraggi.

Capablanca e il suo avversario di sempre Aleksandr Aljechin, il russo che lo aveva battuto e che poi si rifiutò di accordargli la rivincita.

Una partita che non ci sarà mai - o forse sì, chissà. Perché gli scacchi sono come la vita, in cui non sai mai cosa è sogno, cosa realtà. Perché la vita - e qui mi tornano in mente gli scrittori del sogno mitteleuropeo, come Stefan Zweig e Arthur Schnitzler - è spesso davvero una partita a scacchi. E a volte è la possibilità di una partita, a volte una rivincita che non viene accordata.

mercoledì 6 luglio 2011

Geoffrey, Guy, Dean e tutti gli altri

Per uno come me, che cercava la lucidità nell'alcol, anche la calligrafia aveva un andamento ubriaco
(Geoffrey Firmin, da Sotto il vulcano di Malcom Lowry)

Vi basti sapere che mi chiamo Juan Pablo Castel e sono un pittore e un assassino. So per mestiere che gli essere umani possono essere paesaggi, scogliere, finestre, navi che partono, ma il più delle volte sono legno marcio
(Juan Pablo Castel, da Il tunnel di Ernesto Sàbato)


Per chi come me ha la radice del nome nel primo giorno della settimana non era proprio possibile resistere alla tentazione che tutto potesse ricominciare
(Guy Montag, da Fahrenheit 451 di Ray Bradbury)

Per il mio amico Sal, il mio è un altro dei nomi che si possono dare all'irrequietezza
(Dean Moriarty, da Sulla strada di Jack Kerouac)

Forse Dio, mi chiedo nelle pause del mio smisurato lavoro, è un operaio come me. Chissà se anche la sua solitudine sia altrettanto assordante
(Hanta, da Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal)

 Ecco, sono personaggi così a cui Fabio Stassi in Holden, Lolita, Zivago e gli altri dona la voce.

Parlano in prima persona e in questo modo è come se si staccassero dalla pagina, ombre che si alzano e ci vengono dietro. Compagni di vita che è bello immaginarsi intorno a noi. Con tutta l'umiltà che ci è necessaria per ascoltare cosa davvero ci dicono.

martedì 5 luglio 2011

I personaggi che salivano sul treno del pendolare

Veramente i personaggi di un libro sono creature strane. Non hanno pelle né sangue né carne, hanno meno realtà di un dipinto o di un sogno notturno, non hanno sostanza che di parole, ghirigori neri sul foglio di carta bianca, eppure puoi intrattenerti con loro, conversare con loro attraverso i secoli, odiarli, amarli, innamorartene

Così scriveva Primo Levi e sono convinto che proprio queste sono le parole che hanno accompagnato Fabio Stassi mentre scriveva Holden, Lolita, Zivago e gli altri (Minimum Fax). Allo stesso modo sono convinto che in esse non possano non riconoscersi quanti hanno deciso di acquistare o di leggere questa piccola enciclopedia dei personaggi letterari. Perché sono questo i personaggi: fantasmi di carta, ombre evanescenti, parole, solo parole, ma che entrano nel sangue, nella testa, nel cuore. A volte più presenti e importanti di tante persone che spartiscono le nostre giornate.

Si dice che non esistono grandi storie senza personaggi: ne sono convinto.Sono anche convinto che ci si può scordare di qualche titolo, ma certi nomi, certi gesti, certe espressioni rimangono.

Fabio Stassi da questi personaggi, racconta, si è fatto spesso accompagnare in treno, da pendolare:

Quando ho cominciato a viaggiare su una linea lenta e annosa, la mattina presto e poi al ritorno, di pomeriggio o sera, ancora non sapevo quale insolita compagnia avrei avuto

Su quei treni sono saliti in molti. E' diventato un gruppo di amici, una gita scolastica, una comitiva in viaggio.

Solo alla fine sono scesi tutti. E' rimasto il pendolare, il lettore:

Per me non poteva che essere un pendolare mai sceso da un treno e avere l'età dei libri che aveva letto, dei chilometri di rotaie che aveva attraversao, di tutte le voci che aveva trascritto

E questo mi piace, sul serio.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...