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venerdì 13 febbraio 2015

E mi lascio andare al vento

Mi giro intorno, mi lascio andare al vento. Sono un bambù, che si piega ma spera di non spezzarsi. Misuro lo spazio che mi accoglie, spazio verso il nord, rifletto. 

C'è stato un tempo in cui non esistevano questi campi ben ordinati, separati gli uni dagli altri dai contratti e dai muretti di confine, un tempo in cui tutto era solo e soltanto foresta. Mi sento più grande di quanto sono. Sarà che in questo posto posso prescindere da molte cose. Da quasi tutte in effetti. Quindi mi rimetto in cammino. 

Calpesto un prato verde, soffice come un tappeto su cui non disdegnerei di rotolarmi. Come a ricercare le capriole dell'infanzia. E perché no? È quasi sempre così, lungo il National trail. Non pensate a uno dei nostri sentieri segnati da solchi profondi, con l'erba che, nel caso, sopravvive solo al centro. Lungo il Muro spesso si ha la sensazione di attraversare il green di un circolo del golf.

Pare che dietro ci sia anche una scelta precisa. I prati aiuterebbero a preservare meglio ciò che ancora gli archeologi non hanno dissepolto. Non so se crederci, ma di sicuro approvano quelle pecore a poche metri da me, che alzano il muso e per un attimo, solo per un attimo, smettono di ruminare. 

Sono arrivato a Chesters, un posto che fin nel nome trattiene ciò che era. Da castra, l'antico accampamento romano. E prima ancora Cilurnum, parola celtica che richiama l'idea del calderone. Chesters era un antico forte costruito là dove il Muro scavalcava il Tyne per proseguire sull'altra sponda. 

Per almeno tre secoli vi hanno alloggiato truppe reclutate in regioni lontane. In particolare i cavalieri delle Asturie, terra aggrappata alla Spagna, terra sferzata dall'Oceano, terra di guerrieri e di minatori. Venne abbandonato solo tra la fine del quarto e l'inizio del quinto secolo, per essere inghiottito da secoli davvero bui. 

 Tutto questo tempo in mezzo e ora ci sono io. 

Non più erba, sotto i miei piedi, ma la strada lastricata che tagliava a metà l'accampamento. Le pietre levigate da milioni e milioni di passi di legionari.

(da Paolo Ciampi, La strada delle legioni, Mursia)

lunedì 1 luglio 2013

Pensare che mi ero dimenticato di Heinrich

Mi sa che ce lo stiamo dimenticando - e non va bene, non va assolutamente bene - non solo perché resta comunque uno dei grandi del Novecento, ma perché, per quanto mi riguarda, incarna ancora l'idea dello scrittore che sa farsi coscienza inquieta, che sa scegliere, denunciare, affermare, senza per questo legarsi davvero a nessun carro.

Heinrich Boll - si scrive con la dieresi sulla o, ma non so come inserirla:  da molto tempo non leggevo niente su di lui, sarà che dopo la caduta del Muro, nel 1989, ha finito per farsi largo un'altra idea della Germania, che non è quella che lui raccontava, la Germania di Konrad Adenauer (ma anche di Willy Brandt), ipocrisia, conformismo e paure borghesi nel grande gelo della Guerra Fredda.

Poi l'altro giorno ho incontrato per strada una conoscente con cui funziona bene il passaparola sui titoli dei libri. Ho cominciato a rileggermi tutto Boll, mi ha detto, e quelle quattro lettere più la dieresi mi si sono accese come una lampadina. Mi sono precipitato nella libreria più vicina e quello che ho trovato sono stati questi Racconti umoristici e satirici pubblicati negli Oscar Mondadori.

Una notte per fare i conti con queste zampate da felino sornione, capace di alternare ferocia e morbidezza. Una notte e quindi una promessa: presto rimetterò le mani su Opinioni di un clown e Foto di gruppo con signora.

mercoledì 29 agosto 2012

Se il tempo invecchia in fretta

In primo luogo mi piace il titolo, di questo libro che credo sia stato l'ultimo di Antonio Tabucchi:. Il tempo invecchia in fretta. Un titolo bello, profondo, vero. Un titolo capace di risvegliare da una amnesia ricorrente.

Poi si sa, c'è tempo e tempo. E il tempo che richiama Tabucchi in questi racconti non è solo il tempo personale o famigliare, è anche il tempo della Storia che si incrocia con la vita degli uomini e delle donne.

Anche della fragilità di questo tempo siamo spesso poco consapevoli. A volte serve proprio un viaggio, per non sottavalutarla.

A me è capitato lo scorso settembre a Berlino, cercando le tracce del Muro nella città che un tempo fu divisa. Oggi il Muro è scomparso, tranne che per un pezzettino meglio conosciuto come East Side Gallery, una successione di bellissimi murales. Per il resto non c'è più. C'è solo un finto Checkpoint Charlie a uso e consumo dei turisti, un euro a foto, oppure un acciottolato che segue il vecchio tracciato... tutto qui.

Anche Tabucchi, nel più bello dei racconti, ci porta nella Berlino d'oggi, dietro i passi di colui che ai tempi fu un agente della Stasi, la terribile polizia tedesca della Ddr, e oggi è un pacifico insospettabile pensionato che si reca sulla tomba di Bertolt Brecht: il suo obiettivo di un tempo.

Seguitelo anche voi, mentre al cimitero si lascia andare a una sua sorprendente confessione, per poi puntare su uno dei migliori ristoranti.  

Ai nostri tempi locali così non ce n'era, caro mio, mormorò tra sé e sé, ci siamo persi il meglio.

E a proposito di tempo, cosa pensate della domanda triste di Tabucchi?

Ti ricordi com'era bella l'Italia?

venerdì 28 agosto 2009

C'era una volta la DDR

More about C'era una volta la DDR“Ossessionata dai dettagli, la Stasi fallì clamorosamente nel prevedere la fine del comunismo, e con essa la fine del paese. Tra il 1989 e il 1990 fu rovesciata come un calzino: un giorno organizzazione di spie staliniste, il giorno dopo museo. Nei suoi quarant’anni... aveva prodotto l’equivalente di tutti i documenti della storia tedesca a partire dal Medioevo. Disposti uno accanto all’altro, i fascicoli che la Stasi teneva sui suoi concittadini, uomini e donne, avrebbe formato una fila di centottanta chilometri”

Ci si sta avviando verso due mesi che pulluleranno di iniziative per commemorare i 20 anni dalla Caduta del Muro e da tutto quanto quell'evento ha significato, perché con quel Muro si sbriciolò un impero che da Berlino arrivava al Pacifico, tramontò di colpo il "sole dell'avvenire", sparirono mappe geografiche, bandiere, nomenclature.

Non mancheranno certo le occasioni per ricordare questo evento. Da andare a Berlino (io parto la prossima settimana) fino a leggere il libro che ho scritto assieme a Tito Barbini, Caduti dal Muro. Ma non voglio promuovermi, piuttosto oggi voglio segnalarvi quest'altro libro, un buon viatico per prepararsi all ventennale. E' C'era una volta la DDR, è uscito per la Feltrinelli e l'autrice è una giornalista australiana, Anna Funder.

Non so se di questo libro mi abbia colpito più l'insostenibile normalità di un regime dove un cittadino ogni 63 era un agente o un informatore della polizia segreta. Oppure l'incredibile rapidità con cui questo sistema che sembrava costruito con gli stessi materiali del Muro di Berlino si squagliò, creando un vuoto pneumatico laddove fino a poche settimane prima c'erano schiere di fedelissimi.

Non so neppure se quella sia stata una rivoluzione - l'unica, sostiene la Funder, che i tedeschi siano riusciti a portare a termine in tutta la loro storia - così come non so cosa si nasconda dietro l'Ostalgie di oggi: moda o effettivo disagio del presente?

Però questo è un buon libro, un reportage ricco di umanità e senza eccessive pretese. Anche con qualche pecca, senz'altro, o cose che forse potevano essere più approfondite - per esempio il sostegno al regime degli "idealisti": un libro comunque non scontato e utile.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...