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giovedì 5 maggio 2016

L'imperatore che cambò il mondo e si domandò perché

Eppure quei giovani erano i miei amici, e mi erano carissimi nel preciso momento in cui, in cuor mio, rinunciai a loro. Quale perverso animale è l'uomo, che ha caro soprattutto quanto rifiuta o abbandona. 

Di John Williams - grande americano di cui rimpiangiamo di avere solo quattro romanzi più un quinto incompiuto - è facile aver letto e ammirato due capolavori come Stoner e Butcher's crossing. Assai meno che si siano affrontate le pagine poderose di Augustus, romanzo corale, ambizioso, di rara intensità che ripercorre la straordinaria vita di Ottaviano.

All'inizio è solo un ragazzo dagli occhi azzurri, il fisico fragile, la compagnia di un pugno di amici con cui è bello condividere le parole dei saggi e i sogni dei giovani. Ma a soli 18 anni, con l'assassinio di Giulio Cesare, il destino lo chiama e lo cambia: dovrà gettarsi nella mischia, imporre l'astuzia della politica e la forza delle spade, ricorrere a tutte le seduzioni. Roma lo chiede, forse il mondo stesso lo chiede.

Sopravviverà a guerre civili, trame, congiure, tradimenti. Ma lo scotto da pagare sarà duro: perché alla fine della sua lunga vita l'uomo che consegnerà a Roma la pace e l'impero sarà anche un uomo solo, amputato negli affetti, senza più nemmeno il conforto della stessa figlia Giulia che dovrà condannare all'esilio. Un uomo che tornerà spesso all'idea di ciò che era, che poteva essere e che è diventato. Sempre allergico alle manifestazioni del potere, all'ipocrisia e all'adulazione di chi lo circonda, ma anche incapace di darsi una vera risposta: ne è valsa davvero la pena?

Romanzo la cui verità - come premette Williams - appartiene più alla verità della narrativa che a quella della Storia (e perciò, mi pare, ancora più vero), Augustus riecheggia inevitabilmente capolavori come Io, Claudio di Robert Graves e soprattutto Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Ma poi c'è la scrittura inconfondibile di Williams, tra ricostruzione storica, indagine psicologica, meditazione sui destini dell'uomo.

E davvero: è un libro da cui farsi accompagnare a lungo.

sabato 23 novembre 2013

John Williams, strana cosa la gloria letteraria

Di lui, anzi della sua scrittura, Ian McEwan ha scritto parole così:

Sembra aver toccato la verità umana come succede nella grande letteratura. È quel tipo di prosa che non vuole mostrarsi. È quel tipo di scrittura simile a una superficie di vetro, riesci a vedere immediatamente le cose di cui parla. E credo che questo sia entusiasmante di per sé. 

 Parla di John Williams,  autore credo assai poco conosciuto in Italia, benché il suo Stoner venga considerato uno dei capolavori del Novecento e benché a proposito di un altro titolo, Butcher's crossing, qualcuno abbia scomodato persino Moby Dick.

Alla frase di McEwan sono arrivato leggendo una riflessione di Matteo Nucci sul Venerdì di Repubblica, in relazione a un altro libro di Williams, il suo Augustus, la storia dell'ascesa al potere di Ottaviano raccontata col piglio del grande narratore. Allora ho cercato su Internet e questo è quanto ho trovato.

Williams non ha scritto molto di più. Un altro titolo - Nothing but the night - può essere classificato come il suo primo insuccesso. A cui gli altri fecero seguito. Prima di morire stava lavorando a un altro manoscritto - The sleep of reason - titolo che ci sta più che bene visto l'argomento, la guerra.

Non ebbe fortuna in vita, questo figlio di contadini che arrivò a insegnare scrittura creativa nelle università americane. Per quanto mi riguarda mi sono ricordato solo ora di avere a casa un suo libro - mi ricordavo il titolo, Stoner, non l'autore. Augustus intendo comprarlo a breve. Dieci anni dopo la sua morte si comincia a parlare molto di John Williams. Strana cosa la gloria letteraria.

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