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domenica 7 gennaio 2018

Alan Bennett e la sua famiglia come le altre

Che smacco, passare il confine della ragione e scoprirsi tanto banali nella follia quanto nella normalità.

E dunque, la prima cosa che viene in mente a chi di Alan Bennett ha già letto e amato altre cose - per esempio Nudi e crudiSignore e signori, oppure l'incantevole La sovrana lettrice - è  questo: non è possibile che Una vita come le altre (Adelphi) sia uscita dalla stessa penna, non è possibile che ci siano dietro la stessa vita e la stessa intenzione di scrittura.

Pensare che è inconfondibile lo stile raffinato e garbato, impastato di tante buone letture e del distacco dell'ironia. Solo che per me Bennett era scrittore tipicamente inglese anche per la capacità di sottrarre se stesso al racconto. Come se parlare di se stessi, confessare le proprie emozioni, mettersi insomma a nudo, fosse non solo imbarazzante, ma addirittura disdicevole.

Magari questo libro è stata una scelta sofferta. Oppure uno di quegli stacchi improvvisi che l'età e i fatti della vita a volte impongono. In ogni caso qui c'è tutto ciò che Bennett non ha mai raccontato: la storia della sua famiglia, che poi non è una storia straordinaria, è una storia "come le altre" appunto, eppure unica, irrepetibile. Storia dolce e dolorosa, storia di una famiglia normale in un'Inghilterra normale, il lavoro fatto con scrupolo, i sogni su misura, le aspettative mai troppo azzardate.

La storia di un padre e di una madre, di una coppia che non ha mai alzato la testa e nemmeno la voce, timida e discreta,  defilata anzi confinata in un mondo chiuso di gesti ripetuti, abitudini, diversivi nessuno.Forse oggi si direbbe che non ha mai vissuto, tanto poco si è concessa.

("Io e tuo padre inizieremo a far conoscenze" mi scrisse mamma. " Pensa: abbiamo lo sherry, e anche delle noccioline salate")

E poi la malattia mentale della madre, una lunga difficile storia che cambia tutto, o forse no, non una malattia che taglia e separa, piuttosto un fardello con cui convivere, nell'imprevedibile alternarsi di momenti sereni e di ricoveri.
  
(e ora mi si accende una lampadina pensando al Bennett autore, tra l'altro, di La pazzia di Re Giorgio: scrivendo di altro quasi sempre si scrive di se stessi)

Eppure non un libro sulla malattia e sulle penose trafile che esige dai famigliari del malato. Bennett non denuncia, non chiede compassione.

Perché nella malattia questa famiglia "come le altre" rimane se stessa, con le sue piccole grandi cose, i gesti di sempre, gli affetti tenaci ancorché tenuti a bada dalle esigenze della rispettabilità.

Come le altre, ma rimanendo se stessi, nonostante tutto. Un libro come un canto di gratitudine a quanto vale davvero la pena.

venerdì 3 aprile 2015

La penna inglese che ti fa piacere i musei

La penna è la stessa, quella che mi è ha già fatto compagnia in altri deliziosi libriccini, tipo Nudi e crudi, Signore e signori o La sovrana lettrice: la penna elegante, leggera, sempre accattivante di Alan Bennett, uno di quegli scrittori che possono essere nati solo in Inghilterra, provate a immaginarveli da  qualsiasi altra parte.

Questa volta, a dire il vero, più che la pagina scritta bisognerebbe andare dietro alla sua voce, in un testo che è nato come una conferenza: e questo mi piace ancora di più, perché penso al contesto, quello di una conferenza dotta, in un ambiente molto rispettabile come quello della National Gallery di Londra, con un argomento decisamente molto serio, quale quello del rapporto tra uno scrittore e la pittura. Ci penso e poi incontro il solito Bennett, che serio proprio non riesce a essere e che pure proprio così ci dice cose piuttosto importanti. Allo stesso modo di Nick Hornby, quando si dà alle recensioni di libri.

E insomma, Una visita guidata (Adelphi) è proprio un gioiellino. Poche pagine e una valanga di sensazioni che ogni pagina sprigiona. Soprattutto per una persona come il sottoscritto che non si stancherebbe mai di andare alle mostre, solo che quasi mai soffre della sindrome di Stendhal, anzi.

Ed ecco Bennett, che si confessa candidamente:

La mia incapacità di reagire emotivamente ai dipinti era simile alla mia incapacità di provare sentimenti per Dio.

Che cita Nathaniel Hawthorne e la spossatezza che prova nei grandi musei Che auspica che alla National Gallery piazzino in bella vista cartelli con scritto: "Non deve per forza piacerti tutto".

Ed è come il professore che ti asseconda facendoti leggere Dylan Dog piuttosto che Guerra e Pace. Facendo in modo che il tuo cammino sia più leggero. E facendo di te il più formidabile lettore proprio di Guerra e Pace. 

mercoledì 4 gennaio 2012

Alan Bennett e la dolce tristezza di un funerale

Come sono poche, oggi, le vite che si chiudono in bellezza al suono del campane, coi fedeli che cantano a piena gola. Pochissime sfuggono a uno scipito commiato di periferia; quel che resta di una vita è qualche parente semisconosciuto che torna all'automobile con un sospiro di sollievo.


Le aiuole fiorite sono protette da una fila di faggi scossi dal vento; da un letto di cortezze spuntano arbusti di rose potate.

Il funerale di mia madre è tutto qui, e quello delle sue sorelle anche; occasioni macabre, persino imbarazzanti, seguite da un pasto poco conviviale. Bere aiuterebbe, ma la nostra famiglia non l'ha mai saputo fare. Al massimo ricorriamo al tè, tirando fuori il servizio buono.


Tuttavia la vita di mamma ha un bel controfinale: una specie di rinnovo delle promesse quando le sue ceneri vengono messe nella tomba di mio padre.


(Alan Bennett, Una vita come le altre, Adelphi)

venerdì 23 dicembre 2011

Gli anziani genitori di una vita come le altre

Accanto al lavello, che loro chiamavano ancora acquaio, c'era spesso una casseruola di patate già sbucciate e pronte per essere bollite, più una di cavolini di Bruxelles e carote.


Papà le preparava la mattina presto, o anche la sera prima; non sapendo come passare il tempo, svolgeva quelle mansioni sempre più in anticipo, e appena finito un pasto si attivava per quello successivo.


Mi è capitato altre volte di vedere coppie di pensionati fare questi preparativi troppo presto. E' un comportamento che parla di vite deserte, prive di occupazioni vere e proprie, tanto che a confronto la sporcizia e la sciatteria sono quasi più allegre.

(da Alan Bennett, Una vita come le altre, Adelphi)

mercoledì 21 dicembre 2011

La famiglia come le altre di Alan Bennett

Che smacco, passare il confine della ragione e scoprirsi tanto banali nella follia quanto nella normalità

E dunque, la prima cosa che viene in mente a chi di Alan Bennett ha già letto e amato altre cose - per esempio Nudi e crudi, Signore e signori, oppure l'incantevole La sovrana lettrice - è che non è possibile, non è possibile che Una vita come le altre sia uscita dalla stessa penna, non è possibile che ci siano dietro la stessa vita e la stessa intenzione di scrittura.

Pensare che è inconfondibile lo stile raffinato e garbato, impastato di tante buone letture e del distacco dell'ironia. Solo che per me Bennett era scrittore tipicamente inglese anche per la capacità di sottrarre se stesso al racconto. Come se parlare di se stessi, confessare le proprie emozioni, mettersi insomma a nudo, fosse non solo imbarazzante, ma addirittura disdicevole.

Magari questo libro è stata una scelta sofferta. Oppure uno di quegli stacchi improvvisi che l'età e i fatti della vita a volte impongono. In ogni caso qui c'è tutto ciò che Bennett non ha mai raccontato: la storia della sua famiglia, che poi non è una storia straordinaria, è una storia "come le altre" appunto, eppure unica, irrepetibile. Storia dolce e dolorosa, storia di una famiglia normale in un'Inghilterra normale, il lavoro fatto con scrupolo, i sogni su misura, le aspettative mai troppo azzardate.

La storia di un padre e di una madre, di una coppia che non ha mai alzato la testa e nemmeno la voce, timida e discreta,  defilata anzi confinata in un mondo chiuso di gesti ripetuti, abitudini, diversivi nessuno.Forse oggi si direbbe che non ha mai vissuto, tanto poco si è concessa.

("Io e tuo padre inizieremo a far conoscenze" mi scrisse mamma. " Pensa: abbiamo lo sherry, e anche delle noccioline salate")

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...