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venerdì 16 settembre 2016

Letteratura di evasione? Prendetela come un complimento (da Slb)

Letteratura di evasione? Chiamiamola pure così. E si evade davvero. Nella Londra medioevale, seguendo i passi di Fratello Athelstan, frate domenicano e segretario di Sir John Cranston, il coroner della città. 
I due protagonisti di Mistero alla Torre di Londra, il secondo del ciclo di Paul Harding dedicato ad Athelstan, seguono una lunga scia di delitti, iniziata molti anni prima nel Medio Oriente delle Crociate, e che tinge di sangue le mura già tetre della Torre di Londra. Il romanzo segue tutti i canoni del genere. Una trama ben congegnata, un gruppo di sospetti legati da una varietà di relazioni, indizi disseminati qua e là fra le pagine. Perfino un delitto in una stanza chiusa dall’interno, un classico della letteratura gialla. Difficile chiedere di più agli amanti del genere. E molto difficile staccarsi dalle pagine del libro una volta che ci s’immerge nella narrazione.
Accanto a Fratello Athelstan la vera protagonista del romanzo è la Londra del quattordicesimo secolo, crogiolo di affari, intrighi e violenza quotidiana. Paul Harding, dottorato in storia all'Università di Oxford, restituisce con grazia ed efficacia l’Inghilterra di Giovanni di Gand e Riccardo Plantageneto. Le sue differenze sociali, dalla ricchezza dei mercanti e dei nobili alla fame cronica della plebe. I suoi vicoli sordidi. La vita sul Tamigi. Le taverne con il vino speziato e i pasticci di carne. Gli impiccati ai crocicchi delle strade. Intanto Fratello Athelstan lavora con calma e metodo alla soluzione dei delitti.
Letteratura di evasione? Prendetelo come un complimento e immergetevi nella Londra di Fratello Athelstan.

sabato 23 aprile 2016

L'ultimo inverno del riparatore di orologi

Bello, non bellissimo. O forse quasi bello, in realtà così e così. O forse un capolavoro. Un capolavoro
che non incanta e non cattura. O forse sì, solo bisogna prenderlo per il verso giusto, a trovarlo il verso...

Non è facile fare i conti con L'ultimo inverno di Paul Harding (Neri Pozza), con il suo fascino scontroso, con la sua raffinatezza da circolo esclusivo, con la sua bellezza che è la bellezza delle montagne più ripide, di cui fino all'ultimo non sai mai se arriverai fino alla cima.

La storia è bella, intrigante, commovente. C'è George, il riparatore di orologi (riparare orologi significa anche riparare il tempo?), inchiodato dalla malattia a letto, per l'ultimo inverno di una vita da ripercorrere all'indietro. C'è Howard, che di George è il padre, con la sua vita di venditore ambulante malato di epilessia, uomo di abbandoni e fughe e incontri straordinari. C'è l'America che non è l'America di New York e di Los Angeles, ma è l'America del New England, foreste e villaggi. C'è il silenzio che è anche il silenzio maestoso della natura, solo che quel silenzio si impasta con il ticchettio degli orologi. C'è un padre e c'è un figlio e sono due persone che sembrano destinate a non incontrarsi mai, solo che non si può dire, solo che in definitiva c'è sempre tempo....

Un capolavoro? Forse o forse no. Meritava il Pulitzer? Forse o forse no. Un libro importante, sicuramente, per quanto voglia dire. Un libro di emozioni a cui forse manca proprio l'emozione della scrittura, soffocata da eccessi stilistici e forse da qualche lezione di troppo di scuola creativa.

martedì 8 novembre 2011

L'ultimo inverno, capolavoro o forse no

Bello, non bellissimo. O forse quasi bello, in realtà così e così. O forse un capolavoro. Un capolavoro che non incanta e non cattura. O forse sì, solo bisogna prenderlo per il verso giusto, a trovarlo il verso...


Non è facile fare i conti con L'ultimo inverno di Paul Harding, con il suo fascino scontroso, con la sua raffinatezza da circolo esclusivo, con la sua bellezza che è la bellezza delle montagne più ripide, di cui fino all'ultimo non sai mai se arriverai fino alla cima.

La storia è bella, intrigante, commovente. C'è George, il riparatore di orologi (riparare orologi significa anche riparare il tempo?), inchiodato dalla malattia a letto, per l'ultimo inverno di una vita da ripercorrere all'indietro. C'è Howard, che di George è il padre, con la sua vita di venditore ambulante malato di epilessia, uomo di abbandoni e fughe e incontri straordinari. C'è l'America che non è l'America di New York e di Los Angeles, ma è l'America del New England, foreste e villaggi. C'è il silenzio che è anche il silenzio maestoso della natura, solo che quel silenzio si impasta con il ticchettio degli orologi. C'è un padre e c'è un figlio e sono due persone che sembrano destinate a non incontrarsi mai, solo che non si può dire, solo che in definitiva c'è sempre tempo....

Un capolavoro? Forse o forse no. Meritava il Pulitzer? Forse o forse no. Un libro importante, sicuramente, per quanto voglia dire. Un libro di emozioni a cui forse manca proprio l'emozione della scrittura, soffocata da eccessi stilistici e forse da qualche lezione di troppo di scuola creativa.

mercoledì 2 giugno 2010

Quando a vincere il Pulitzer è lo sconosciuto


Del libro, che non credo sia stato ancora tradotto in italiano, so solo quello che ho letto su Repubblica Donne, supplemento che, provare per credere, parla di scrittura e di viaggi come pochi altri in Italia. Dell'autore, Paul Harding, ancora meno: un perfetto sconosciuto. Ma proprio questo è il senso della storia che ho incontrato grazie a Stefano Pistolini. La storia di un perfetto sconosciuto che con un suo libro, Tinkers, ha vinto il Pulitzer 2010.

E dunque, Paul Harding viene dal Maine, da un'America che è un'America a parte, foreste e silenzi, neve, mestieri che reclamano sudore e perizia, tempo per riflettere sul significato della vita. E poi le lezioni di gente come Emerson e Thoreau. Un'adolescenza che è anche una straordinaria esperienza spirituale: l'uomo che ritorna alla natura. Che poi è anche la sostanza con cui, quasi ossessivamente, Harding monta, smonta e rimonta Tinkers. Un altro mondo che fa fatica a farsi largo attraverso le parole.

Paul Harding ha anche tutte le caratteristiche per essere classificato come un intellettuale fallito, uno con l'inedito nel cassetto destinato a rimanere dov'è. Manoscritti e ambizioni messe via insieme. Mi ero convinto che sarei stato uno scrittore non pubblicato.

Storia vista e rivista: il libro che viene mandato a un'infinità di editori e che da tutti viene rifiutato.

Alla fine salta fuori una persona, Erika Goldman, disposta a pubblicarlo. La sua è davvero la più improbabile delle proposte, perché rappresenta la Bellevue Literary Press. La minuscola casa editrice di un grande ospedale di New York, un progetto no profit che non so nemmeno spiegare, forse ha qualcosa a che vedere con la parola come terapia.

Erika Goldman evidentemente è una donna a cui piace tentare la sorte. Iscrive Tinkers al Pulitzer, il premio dei premi, dove, per inciso, da trent'anni vincono solo i più grandi editori. L'organizzazione gli abbuona anche i 50 dollari di iscrizione: è un ospedale, non un editore, e poi sarebbero soldi buttati via.

Vince Paul Harding. Pare che la sorpresa sia stata tale che gli organizzatori si sono dimenticati di avvertire il vincitore.

Poi è cominciato il mea culpa dei grandi critici. Di tanto in tanto non ci accorgiamo di un buon libro. Non entra nei nostri radar, ha attaccato Gregory Cowles sul New York Times. L'ammissione è diventato pentimento corale.

La storia di un libro che potrebbe a sua volta diventare un libro. E a me non resta che farmi qualche domandina

Per esempio, quali possibilità avrebbe avuto Paul Harding a un Campiello o a uno Strega?

E quanti critici avrebbero intonato il mea culpa, qui in Italia?

Domande, domande.

E per finirla: Tinkers può essere tradotto come "stagnai". Mestiere di altri tempi, mestiere andato.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...