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martedì 27 agosto 2013

Per compier nel miglior modo questa fatica della vita

Viviamo, Porfirio mio, e confrontiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie.

Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve.

E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quest'ultimo tempo gli amici e e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, essi moltre volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora.

(Giacomo Leopardi, Dialogo di Plotino e di Porfirio)

venerdì 17 agosto 2012

Caro direttore, cosa significa sentirsi a casa?

Signor Direttore,
seguendo i suoi consigli-risposte ai lettori mi sono dedicato a coltivare la mia dimora per renderla più accogliente. Mi sono circondato di mobili, non numerosi ma simpatici, e di oggetti della medesima natura, in modo da sentirmi a casa mia, obbedendo al suo incoraggiamento.


Devo però confessare che il significato di tale espressione mi sfugge, visto che non mi sento a casa mia neppure a casa mia, mi sento invece a casa di qualcuno che non c'è, il che, beninteso, crea tra noi un vincolo fraterno di assenza reciproca, ma rende quantomeno difficile frequentarsi.


Nonostante questa contraddizione, questo "nodo", come direbbe qualcuno, è chiaro che per essere davvero a casa propria bisogna anzitutto essere a casa degli altri, ed è per questo che le scrivo di nuovo nella speranza di un consiglio.


Quali sono le possibilità di comunicazione e dialogo?

(da Romain Gary, Mio caro pitone, Neri Pozza)

sabato 23 giugno 2012

Se con il dono si crea una società

Cosa spinge gli uomini a donare? Cosa spinge chi riceve un dono a ricambiare?

Meno male. Dopo tanto discutere di interessi e di utilità, quali molle dell'economia e perfino della civiltà, guardate cosa succede: si torna a parlare di dono.

Al dono si dedicano libri e  perfino festival, come la recente edizione dei Dialoghi sull'uomo di Pistoia. Sul dono spuntano nuove teorie, che si fanno largo sulle rovine dei tanti disastri che si sono consumati. Gli economisti non lo liquidano più come roba di un altro mondo che non è il nostro mondo. Gli antropologi ne discutono come qualcosa che non riguarda solo qualche cultura tribale ormai estinta. Figurarsi, può essere perfino una ricetta buona per la nostra società così dissestata. Qualcosa che può funzionare in tempi di crisi.

Cosa spinge gli uomini a donare? Cosa spinge chi riceve un dono a ricambiare?

A queste domande provò a rispondere quasi un secolo fa il grande etnologo francese Marcel Mauss, con il suo Saggio sul dono. Pensare che si era occupato soprattutto di tribù dell'Oceania ancora aggrappate a credenze magiche.

Le stesse domande le riprende oggi Marco Aime, in un bellissimo intervento - intrigante anche il titolo: Sono quel che dono - pubblicato su Tuttolibri. Ed ecco cosa risponde:

Il valore del dono sta nell'assenza di garanzie da parte del donatore. Un'assenza che presuppone una grande fiducia negli altri. Il valore del controdono sta nella libertà: più l'altro è libero, più il fatto che ci donerà qualcosa avrà valore per noi quando ce lo darà. Ecco che il dono diventa in questo caso promotore di relazioni. Ciò che spinge a donare è la volontà degli uomini di creare rapporti sociali, perché l'uomo non si accontenta di vivere nella società e di replicarla come gli altri animali sociali, ma deve produrrre la società per vivere.

Capito il trucco? Perderai qualcosa, donando qualcosa, ma in cambio ricevi una società intera.

giovedì 21 aprile 2011

Ogni dialogo ha bisogno del suo posto


Ah, per Giunone, che bel posto per riposare! Con questo platano così ampio di fronde e così alto! E che slancio quell'ippocastano, che bellissima ombra! E' al colmo della sua fioritura e spande profumo per tutto il luogo. Una sorgente deliziosa scorre sotto il platano con acque fresche, come si può sentire con il piede. E la bellezza del posto, quant'è amabile e dolce! Melodia estiva che risponde al coro delle cicale. Ma più gentile di tutto è quest'erba, cresciuta così soffice sul dolce pendio, perché chi vi si sdraia possa appoggiarvi la testa. Sei stata una guida stupenda, Fedro caro

Sono le parole con cui prende avvio uno dei più grandi dialoghi di Platone, il Fedro, pietra miliare della storia della filosofia. Il ragionamento sull'amore, il destino delle anime dopo la morte, la dottrina delle idee... quante cose che si trovano, nelle parole del giovane ateniese Fedro e soprattutto di Socrate.

Ma l'inizio è questo e mi fa pensare cosa di esso dice un filosofo dei nostri tempi come James Hillman, in una conversazione con la storica Silvia Ronchey (pubblicato da Bur col titolo Il piacere di pensare.... anche questo un dialogo....). E cioé che quelle parole non solo una delle più belle descrizioni di un ambiente della letteratura greca. Sono di più, sono una condizione stessa del dialogo.

Ognuno dei dialoghi platonici comincia in un luogo. Nel senso che quei dialoghi sono collocati nello spazio. Noi, astratti pensatori occidentali, non prestiamo attenzione a dove sono collocati e ne discutiamo le idee, i concetti

Ma poteva il dialogo sull'amore e sulla bellezza, sui sentimenti e i desideri prescindere da quel giardino meraviglioso?

Può essere un dettaglio, ma magari anche questo è un modo per rimettere a posto la nostra vita: trovare i posti giusti alle nostre parole (e a quelle degli altri).

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...