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martedì 22 novembre 2011

Un Don Chisciotte nella Firenze in guerra

Era un grande scrittore e un grandissimo giornalista, Romano Bilenchi, troppo presto dimenticato. Appartiene a un altro mondo e a un'altra epoca, ma tuffarsi nelle sue pagine è sempre un piccolo grande piacere, che prima di tutto ha a che vedere con il piacere di una lingua pulita e densa.

Non solo con la lingua, però. In quetsi giorni mi è capitato tra le mani il suo Amici (Bur Rizzoli), libro che racchiude storie e incontri di un uomo che seppe mantenersi fedele alle sue amicizie. E' una straordinaria carrellata di artisti e intellettuali che animarono la Firenze degli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta, da Elio Vittorini a Mario Luzi, da Mino Maccari a Ottone Rosai.

Ma il personaggio più straordinario - meriterebbe un romanzo - non ha un nome e un posto nella storia della nostra cultura. Era un marchese spagnolo - un nobile decaduto che fa tanto Don Chisciotte - che nella Firenze della guerra, per risparmiare, mangiava in una trattoria di quart'ordine frequentata anche dai membri della Resistenza in clandestinità. Aria di grande di Spagna che non riesce a persuadersi alla sua decadenza, poeta molto convinto delle sue liriche dalla scarsa fortuna, era uno che parlava così: "Che era, Bilenchi, quella guapa signora bionda che paseava con voi?", "Era mia moglie, signor marchese".

martedì 10 maggio 2011

Ottone Rosai e le parole come sassate

Gli uomini, specie i ben portanti, gli impettiti, coloro che vorrebbero dare a bere di chissà quale missione da svolgere nella vita, furono sempre i miei bersagli preferiti e fino a quando non ho potuto dimostrare la tragedia della loro presenza sulla terra per mezzo di un pezzo di matita, mi son divertito a pigliarli a sassate

E sono sassate le parole di Ottone Rosai, pittore fiorentino erede dei macchiaioli e contiguo a un mostro sacro come Paul Cézanne, di cui ora la casa editrice Vallecchi ha ripubblicato insieme Diario di un teppista e Via Toscanella. Sono sassate, altro che le pennellate dei suoi quadri. E può piacere o non piacere, quest'uomo irrequieto e controverso, inebriato da tutti i furori avanguardistici di inizio Novecento, incontrollabile come un teppista in libera uscita, appunto.

Può piacere e non piacere, e nell'uno o nell'altro caso magari finirà sempre per irritare.
Però che potenza, che esplosione di libertà che si sprigiona dalle sue pagine. Vita che diventa inchiostro, che irride a ogni ragionevolezza, che si fa urlo di protesta.

Poi il teppista parte per le trincee della Prima Guerra Mondiale, volontario che condivide idee pericolose - come quelle di chi diceva la guerra era la sola igiene del mondo - ma almeno parte, la guerra non è estetica da consegnare ad altri. Parte e già comincia un'altra storia.

Sfrenato, insopportabile, sempre sorprendente, lui che ha sempre bisogno di boccate d'aria intelligente, lui che ogni tanto cede ai morsi di una vita che cerca ben altre risposte, lui che lavora nella tranquillità di chi sa di essere sulla strada che porta a quel certo paese chiamato l'irraggiungibile.

E forse la storia ha fatto giustizia di quei furori, ma certe pagine rimangono: ed è perfino necessario.


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