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sabato 8 agosto 2020

La Toscana di una volta nelle novelle di Paolieri
























Ce lo diciamo da sempre, anche troppo, che l'editoria è in crisi, che i conti non tornano mai, che non si fa che tagliare e peggiorare. Tutto vero, ma senza generalizzare. Tutto vero, ma vorrei che il nostro sguardo tenesse sempre ben presente l'arcipelago dei piccoli e medi editori che, senza troppi mezzi, insistono nella qualità. Ci sono, come no. 

Tra i tanti, io oggi vorrei ritornare a un editore che mi è caro, perché in questi anni ha saputo reagire alla crisi con la forza delle proposte, anche nuove, anche coraggiose. Per esempio dando vita a una collana come Appenninica - voci e autori della nostra montagna - oppure, proprio nei mesi del distanziamento da Covid, calamitando l'attenzione del lettore su autori come Xavier De Maistre e Jack London, con titoli perfetti per i tempi dell'epidemia. 

Nell'ultima proposta ho messo anch'io lo zampino, curandone la prefazione. Sono le Novelle Toscane di un autore che merita senz'altro di essere strappato alla disattenzione. E non solo perché si inserisce nel solco dei toscani che - da Boccaccio in giù - sono stati decisamente più a loro agio con la novella che col romanzo. 

Troviamo la Toscana dei macchiaioli in queste pagine: la Maremma delle paludi dei pascoli, così come il mare dell'arcipelago. Troviamo un mondo che non c'è più e anche un mondo che invece resiste, perché ci è stato consegnato dalle generazioni che ci hanno preceduto. 

Troviamo il piacere di raccontare, con pennellate di colore che rendono le scene più vive. Troviamo gli ultimi, i senza nome, i dimenticati: butteri e contrabbandieri, guardiani del faro ed ergastolani in fuga. Troviamo persino una sorprendente sensualità. 

Vai a sapere perché noi toscani siamo così bravi nelle novelle. Forse perché ci piace sederci insieme - a tavola, davanti a un camino, in un'aia - e raccontare le storie della vita. 

Non so, ma è una questione che non mi passa dalla testa, da quando ho avuto la fortuna di riaccostarmi alle pagine di Ferdinando Paolieri. Come Emma Perodi, come Renato Fucini, anche lui ora mi tiene compagnia. 


lunedì 14 febbraio 2011

Quel libro di Verga scovato su una bancarella

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia; ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi....

Non mi fosse cascato l'occhio su una bancherella, tra le occasioni a due euro, sono sicuro che mai e poi mai avrei acquistato Storia di una capinera di Giovanni Verga. E' uno di quei libri che sai che sono usciti, che sono parte significativa del percorso di uno scrittore importante, ma che difficilmente ti viene da leggere. Se li hai scansati a scuola, è finita lì.

Invece l'ho preso, l'ho portato a casa, l'ho perfino letto. E diciamocelo, non è che mi abbia conquistato. Lo confesso, tra l'altro, come lettore che tiene come cosa cara sia i Malavoglia che tante Novelle del nostro. Però non è che sei innamorato di Tolstoi ti piace Tolstoi fino all'ultima pagina.

Ed è così, siamo in un altro mondo di stile e di emozioni. Anche se in questo mondo non è male avventurarsi, di tanto in tanto. Il mondo di un'epoca in cui lacrime si scriveva lagrime, in cui i romanzi epistolari di anime tormentate andavano per la maggiore, in cui il pathos aveva la meglio - anche con Verga - su ogni tentazione di letteratura verista.

Che successo che fu ai tempi Storia di una capinera. Un best seller assoluto, anzi, un long seller, che conquistò soprattutto il pubblico femminile, bagnando per interi lustri fazzoletti e diari. Ancora nel 1906 aveva venduto qualcosa come 20 mila copie, contro le 5 mila dei Malavoglia.

Ed è con la storia di questa povera ragazza costretta dalla famiglia a farsi monaca, e che solo per un lampo di vita conosce l'amore, proprio con questa, che Verga conquista la fama. Come cambiano le carte in tavola. Grandi successi, oblii definitivi.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...