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martedì 25 febbraio 2020

Libri che sono voce per rendere migliore la vita

C'è Michail, un quindicenne alle prese con le sorprese e gli ormoni della sua età. C'è Hanna,  donna dagli occhi azzurri e dalle poche parole, che inizia al sesso quel ragazzino, che ha la metà dei suoi anni. C'è un mistero, che solo dopo molte pagine acquisterà forme e consistenza, evocando i crimini peggiori del Novecento. E c'è la Germania appena uscita dalla guerra di Hitler, macerie disseminate nelle città e nei cuori, sentimenti di colpa e tentazione di oblio.

Il lettore di Bernhard Schlink (Neri Pozza) tiene insieme molte cose, è memoir e romanzo a tutto tondo, incrocia Storia e storie private, mette insieme educazione sentimentale, responsabilità morale di fronte al bene e al male, possibilità di riscatto. Si interroga sulle ragioni che fanno approdare a una scelta piuttosto che a un'altra, sul peso che il passato esercita sul presente, sui segreti di cui ognuno può essere depositario. Incredibile che io sia arrivato a leggerlo a distanza di tanti anni, anche dopo il film che ne è stato tratto, ma questa constatazione in realtà è un guizzo di speranza, quanti libri belli che ancora mi attendono. 

Chi è quella donna che esercita un'attrazione formidabile ma non si sa bene da dove viene e cosa ha fatto? E ci può essere un altro segreto oltre a quello terribile di quei giorni ad Auschwitz?

Un giorno, quando molta acqua sarà passata sotto i ponti, quando le loro strade si saranno radicalmente separate, Michail scoprirà che Hanna è analfabeta. E allora per lei sarà voce che legge, biblioteca vivente con i  capolavori della letteratura, serie di nastri incisi e fatti recapitare in carcere. 

Perché poi è questo che rimane, che rimarrà almeno a me: sì, anche la sollecitudine per una persona che è stata importante, malgrado tutto, però soprattutto la possibilità che la lettura possa fare di noi persone diverse, migliori. 
 

martedì 9 febbraio 2016

Parole e immagini per il piacere della lettura

Quando un libro è anche un piacere per gli occhi, un bell'oggetto - con buona pace di tutti i tifosi delle letture in formato digitale - da cui farsi accompagnare, da aprire a caso e sfogliare di tanto in tanto.

Questo è Leggere (Edizioni Electa) di Stefano Zuffi, storico dell'arte che non si sente un gradino sopra noi comuni mortali, ma che l'arte la ama e sa quanto sia importante condividerla. 

Poco testo, in questo libro, tanto si sa: la forza della parola non si misura certo sulla sua lunghezza. Poche testo, ma tante emozioni.

Una galleria di quadri che celebrano il piacere ma anche la fatica e il mistero della lettura. E una successione di splendide citazioni che raccontano tutto questo e che si capisce bene che non sono state scelte a caso, in un raffinato gioco di rimandi e suggestioni.

Il senso di una bellezza che attraversa le forme in cui essa riesce a esprimersi. 

Pennellate di discorso e di colore, per celebrare la bellezza che l'umanità sa creare, la profondità a cui può aspirare.

Come consiglio: un libro da tenere sul comodino, a portata di mano. 

mercoledì 17 giugno 2015

Il silenzio che fa bene


Da sempre se ne occupa, fino addirittura a promuovere una vera e propria Accademia del Silenzio, intrigante già nel nome. Ma del silenzio Duccio Demetrio se ne è occupato in molti libri, nei quali ha provato a educarci a una dimensione che può davvero cambiare la qualità della nostra vita.

Per tutto questo credo che un buon punto di partenza sia questo libro, dal titolo lapidario, semplicemente Silenzio (Edizioni Messaggero Padova): pagine non solo da leggere, ma anche da provare ad ascoltare con attenzione. Tanto più che è proprio l'ascolto, meglio, la capacità di ascolto, uno dei grandi doni che ci porta il silenzio.

Cosa può offrici il silenzio e cosa può toglierci il silenzio. Quali diverse forme di silenzio ci sono, nella consapevolezza che il silenzio è tutt'altro che vuoto, negazione, impedimento. E com'è che il silenzio ci riporta a noi stessi, ma anche agli altri.

Un libro non semplice ma a cui fa bene dedicarci, dedicando tutto il tempo che gli è necessario: lettura senza fretta a cui proprio il silenzio regala qualcosa di più.

venerdì 3 ottobre 2014

A 20 km l'ora per amore della lettura

Editori che non sanno più a che santo votarsi, titoli che si accatastano nei magazzini, un futuro sempre più incerto e deprimente per chi sui libri ha provato a costruire una professione che - en passant - ha molto a che vedere anche con le qualità di un paese. Cosa fare se non arrendersi?

Oppure no, si può fare ancora. Per esempio mollare tutto solo per ricominciare con la più ardita delle scommesse. Per esempio acquistare un vecchio furgone che si tiene insieme per miracolo e reinventarlo come una libreria circolante. Per esempio percorrere in lungo e in largo le strade della Sicilia, una delle regioni italiane dove si legge meno, solo per riportare tra la gente i libri e prima ancora la pratica della lettura.

Questa è la storia di Filippo Nicosia e di quel furgone che è stato bello ribattezzare "leggiu": in siciliano, lieve, piano - piano come un mezzo che si appaga della sua lentezza - ma anche "leggiu" come "io leggo". Ambivalenza perfetta dei sindacati.

E così per un'estate intera - e per la verità anche per un pezzo di inverno - piano piano il furgone e chi lo occupa sono riusciti davvero a riportare i libri in posti dove le biblioteche marciscono e le librerie sono sparite una a una. Storia che è bello ripercorrere nelle pagine di Pianissimo. Libri sulla strada (bello anche il sottotitolo: in viaggio a 20 km l'ora per amore della lettura), titolo uscito per Terre di Mezzo.

Titolo, ma soprattutto storia controcorrente. Storia per rincuorarci.




lunedì 18 agosto 2014

J. R. Moehringer: Ogni libro è un miracolo

Il venerdì pomeriggio Bill e Bud mi interrogavano su quel che avevo letto quella settimana a scuola. Poi, disgustati, mi portavano in giro per la libreria riempiendo una borsa di libri senza copertina. "Ogni libro è un miracolo" diceva Bill.

"Ogni libro rappresenta un momento in cui una persona in silenzio - e quel silenzio è parte del miracolo, ricorda - cerca di raccontare a tutti noi una storia".

Bud poteva parlare senza sosta della speranza dei libri, della promessa dei libri. Diceva che non era un caso se un libro si apriva proprio come una porta.

Inoltre, diceva, intuendo una delle mie nevrosi, potevo usare i libri per mettere ordine nel caos. A quattordici anni mi sentivo più vulnerabile che mai al caos. Il mio corpo cresceva, si riempiva di peli, era animato da pulsioni che non capivo. E il mondo fuori dal mio corpo sembrava altrettanto volatile e capriccioso.

Le mie giornate erano controllate dagli insegnanti, il mio futuro era in mano alla genetica e alla fortuna. Ma Bill e Bud mi garantivano che il cervello era mio e lo sarebbe sempre stato. 

Dicevano che scegliendo i libri, i libri giusti, e leggendoli lentamente, attentamente, avrei potuto tenere sotto controllo almeno quello.

(J.R. Moehringer, Il bar delle grandi speranze, Piemme)

lunedì 28 luglio 2014

Vivere il tempo al tempo dello zapping digitale

Forse sto cambiando anch'io, allo stesso modo di chi, fino a qualche tempo fa, trattavo con una certa sufficienza. Io, la persona che aveva sempre tre o quattro libri in lettura contemporaneamente. Uno per la colazione, uno da portarsi in giro tutto il giorno, un altro paio per la buona notte.

Parole scritte per il tè coi biscotti e parole scritte per i minuti alla fermata del bus. Parole scritte per stare a casa e parole scritte per viaggiare.

Ora sempre più spesso acquisto libri destinati a ingrossare le pile delle letture in attesa, come le chiamo con un pizzico di consapevole ipocrisia. Ospiti garbati, i libri. Sistemati sul ripiano della credenza, accanto al vassoio della frutta, aspettano in silenzio il loro turno. Magari non arriverà mai.

Piuttosto sempre più spesso metto via un libro, accendo il computer, mi collego al mio profilo su Facebook e posto la prima cosa che mi viene in mente. Notizie, curiosità, citazioni, battute, saluti. Oppure plano su Twitter, incantato dal suo ritmo, dalla velocità con cui scorrono le sue righe, altrettante finestre sul mondo.

 È come salire su un tappeto volante e lasciarsi portare via.  Il mio zapping digitale: dopo la tv il mondo incantato del Web 2.0.

Vero, sto cambiando anch'io, non solo il mondo. E solo di tanto in tanto avverto il tarlo del dubbio.

L'altro giorno ci ho riflettuto un po' di più. Non è quello che faccio, mi sono detto. In realtà ciò che conta, ciò che sta davvero cambiando, è  il mio sentimento del tempo.

Ed è questo che mi sembra di aver capito: queste immagini, queste parole che scorrono sugli schermi, che circondano la mia vita, mi illudono di vivere il mio tempo. Ma non è questo, vivere il tempo, così come non è nuotare abbandonarsi alla corrente di un fiume.

Non è una successione di istanti ancorati a un eterno presente, il tempo. Ha bisogno di profondità, ha bisogno di spessore, il tempo.

venerdì 11 aprile 2014

E adesso chi la salva questa storia?


E adesso - mi domandavo - adesso chi la salva questa storia, chi la racconterà più?

Sono sempre stata affascinata dalla marginalità, dai nomi intrappolati nelle note a piè di pagina, dai libri dimenticati, quelli di cui nessuno parla.

Finchè non li incontri per caso, finché non ti capitano tra le mani, quei nomi, quei libri sono addormentati, o forse addirittura morti.

Ecco perchè penso alla lettura e alla scrittura come a un fantastico incrocio dei destini.

(Melania Mazzucco da Ogni viaggio è un romanzo di Paolo di Paolo)

venerdì 31 gennaio 2014

Il tempo della solitudine per il lettore

Era il 1925 e già Virginia Woolf ammoniva su quanto fosse difficile leggere un romanzo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e le difficoltà - non solo per i romanzi ma per i libri in genere - sono cresciute come montagne. Non ultime, logicamente, quelle legate all'uso dilagante di nuove tecnologie che sembrano indirizzare verso una lettura rapida, superficiale, estemporanea.

Però c'è da riflettere anche sulla difficoltà di cui recentemente ha parlato Valerio Magrelli su Repubblica, in La solitudine del lettore, titolo particolarmente eloquente. Solitudine, certo, si capisce in un mondo in cui viene meno la propensione alla lettura. Ma quella di cui parla Magrelli è anche un altro tipo di solitudine, legata alla scomparsa di figure di riferimento che indirizzino alla lettura, che selezionino e consiglino le buone letture.

Vale anche per la musica, dove è finito il tempo dei musicologi e gli ascolti casomai sono influenzati dalle scelte dei dj (ovvero dei disc-jockey, notare la parola jockey, in inglese fantino: ovvero chi cavalca la musica, verso le vette delle classifiche). Allo stesso modo non ci sono più critici letterari, casomai testimonial che, con meccanismi più vicini alla pubblicità che ai discorsi della letteratura, fanno in modo che i best-seller diventino best-seller.

In effetti, sono tra coloro che non rimpiangono molti i critici di un tempo e che hanno trovato e trovano noiose e superflue tante recensioni, quasi fossero presidiate più dal piacere della critica che dall'amore della lettura. Eppure il pericolo segnalato da Magrelli è reale:

Il rischio, insomma, è che, con la scomparsa di librai e critici, abbiano la meglio i fast-book, ossia quei testi che richiedono solo un contatto rapido e sbrigativo. Se ciò si avverasse, il nostro paesaggio intellettuale risulterebbe impoverito come dopo un bombardamento di defolianti.

E certo questa solitudine deve rimpiangere anche altre assenze. Si comincia dagli editori che non sono più editori - e non lo sono se sono a pagamento, ma anche se rinunciano a una loro proposta culturale  - e si arriva per forza alle librerie che non ci sono più o sono solo di catena e magari finiscono per trattare il libro come un capo di abbigliamento. Ce ne sarebbe di che discutere.

sabato 11 gennaio 2014

Leggere non è una questione di tempo


Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.

La lettura non ha niente a che fare con l'organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l'amore, un modo di essere.

La questione non è di sapere se ho o non ho tempo per leggere (tempo che nessuno, d'altronde, mi darà), ma se mi concedo o no la gioia di essere lettore.

(Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli)

sabato 4 gennaio 2014

Jonathan Franzen e i libri che si potrà ancora leggere

A Philadelphia cominciai a fare calcoli inutili, moltiplicando il numero di libri che avevo letto l'anno precedente per il numero di anni che potevo ancora ragionevolmente aspettarmi di vivere, e scorgendo nelle tre cifre del risultato non tanto un preannuncio di mortalità (anche se le notizie da quel fronte non mi tirarono su di morale), quanto una misura dell'incompatibilità  del lento lavoro della lettura con l'ipercinesi della vita moderna.

D'un tratto ebbi l'impressione che i miei amici che un tempo leggevano non si giustificassero neanche più per il fatto di avere smesso.

Una giovane conoscente che si era laureata in Letteratura inglese, quando le chiesi cosa stesse leggendo, rispose: "Vuoi dire lettura 'lineare'? Come quando leggi un libro dall'inizio alla fine?"

(Jonathan Franze, Come stare soli, Einaudi)

mercoledì 23 ottobre 2013

Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito

Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito.

Così Harry Quebert, celebre scrittore americano accusato di un terribile delitto, spiega a Marcus Goldman, suo giovane amico che farà di tutto per discolparlo. Frase che si legge in una delle ultime pagine di La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dickert  (Bompiani) - la cui trama, ovviamente, non vi racconterò. Frase che, fuori dal contesto narrativo, tutto sommato vale anche per questo libro.

Non che l'ultima pagina mi abbia provocato particolari rimpianti, a dire il vero. Anzi, dopo essermi tuffato con grande piacere, dopo aver nuotato a lungo e vigorosamente, verso la fine mi sono ritrovato in debito di ossigeno.

Succede con i cosiddetti casi editoriali. La verità è stato il best-seller dell'estate - mi ricordo che in vacanza a Creta ne ho visto anche due o tre copie intorno ai bordi di una piscina - e questo in genere per me solitamente rappresenta un invito alla prudenza - e all'attesa.

Succede con i casi editoriali, che quasi sempre non sono dei capolavori. E anche questa volta non tutto fila per il verso giusto: qualche ingenuità nella trama, qualche dialogo che proprio non funziona, dei personaggi che non sempre convincono. Come ho letto in un commento: Dickert è come un campione in erba, che ancora deve dimostrare tutte le sue qualità. Vedremo.

Però lo volevo, il giallone, volevo tuffarmi, appunto, e rilassarmi in una lettura che non indugia, non approfondisce, gode nello scoprire cosa succede e nell'andare incontro all'epilogo. E mi è piaciuto, come no.




martedì 5 marzo 2013

Curzio Maltese: più cultura per un paese più giusto

Anche i guai dell'economia, in buona sostanza, dipendono dall'abbassamento della cultura generale.

Non sappiamo pensare in maniera complessa, quindi non sappiamo più produrre in maniera moderna.

Più della metà degli italiani, sostiene un grande studioso come Tullio De Mauro, sono da considerare analfabeti. Per trovare nelle classifiche Ocse un Paese che legge di meno e capisce di meno il poco che legge, occorre scendere al livello di alcune aree dell'America Latina, le più povere.

E' una tragedia antica, sulla quale è calato come una mannaia il ventennio berlusconiano: oggi chi invoca investimenti nella cultura è considerato un parassita o uno snob.

Invece la cultura è l'unica possibile leva per creare un Paese più giusto, per rimettere in moto una società di caste dove la nascita decide al novanta per cento il futuro di un ragazzo.

(Curzio Maltese, dal suo Contromano sull'ultimo Venerdì di Repubblica)

lunedì 26 novembre 2012

I fantasmi delle biblioteche e l'amore per i libri

Vorrei che vi stupiste non solo per le cose che leggete: è anche per il fatto miracoloso di poterle leggere.

Parole da Fuoco pallido di Nabokov, una delle tante citazioni che si spalancano come una finestra in un prezioso libriccino - I fantasmi delle biblioteche di Jacques Bonnet - che è un atto di amore per le biblioteche, per i libri che si affollano sui loro scaffali, per tutte le storie che essi riescono a porgere, per il dono della lettura che poi è possibilità di consolazione e redenzione, speranza e piacere.

Pagine, trame, personaggi che non si dileguano una volta che un libro è stato messo via, rimangono, aleggiano come fantasmi di un incantesimo che è bello non spezzare. Croce e delizia non dei collezionisti di volumi, ma di chi semplicemente ama popolare il suo tempo con i mondi della lettura. Le biblioteche di cui non si parla non sono riservate alle edizioni rare, hanno piena cittadinanza solo i libri che è bello leggere.

Questo libriccino non si racconta. Mi limito a qualche spigolatura, in qua e là.

lunedì 6 agosto 2012

Un buon libro per rapirti dal mondo

E' un libro che non ho letto, di un autore che non mi piace particolarmente, ma davvero non importa. Quella che qualche giorno fa ci ha regalato Gabriele Romagnoli sulle pagine di Repubblica non è una recensione, è un'esperienza di lettura. Il titolo - Quando la voce di un libro ti rapisce dal mondo - tdice già tutto.

Racconta Romagnoli di avere acquistato Il senso di una fine di Julian Barnes non per caso, e nemmeno per scelta, piuttosto solo grazie al caldo suggerimento di un libraio capace di vincere qualche sua  diffidenza. Cosa che, per inciso, mi inviterebbe ai soliti miei discorsi sulle care vecchie librerie, che niente e nessuno potrà decentemente rimpiazzare. Ma questo è un altro discorso.

Racconta Romagnoli che quella sera aveva una cena prenotata, solo che verso le sette si era sdraiato sul divano e aveva attaccato il libro. Più tardi il telefono aveva cominciato a squillare, invano.


Non potevo ascoltare nessuno: avevo trovato una voce.

Quella sera Romagnoli non uscì. Saltò la cena. Era stato davvero rapito dal mondo, anche se presumibilmente il mondo era in quelle pagine.


Era notte quando ho finito di leggere. Il telefono aveva smesso di suonare. La tavola a cui non mi ero seduto era stata sparecchiata. Mi sono alzato e sono andato alla finestra.

E mi piace anche questo movimento, che anch'io ho fatto altre volte, finito un libro. Andare alla finestra, come se in questo modo si dicesse al mondo: ci sono, sono tornato.

Auguro a tutti voi di trovare tante voci così, questa estate. Di sparire al mondo e riaffacciarvi solo dopo un po' alla finestra.




martedì 3 gennaio 2012

E ora ci si sono anche i furbetti della narrativa

Diciamo che va di moda, diciamo che a volte va così, con certe espressioni, diciamo che la novità a volte non sta in ciò di cui si parla, ma nel fatto di parlarne: perchè, in effetti, non credo che le cose siano molto diverse che in passato.

E dunque, oggi va di moda parlare di autori bravi, ma furbetti. Di romanzi riusciti o quasi riusciti, non fosse per un eccesso di furbizia, equivalente, pare di una smodata voglia di compiacere il lettore. E di quindi di un uso e abuso di trucchi vari, quali quelli citati da Alessandro Beretta in I furbetti della narrativa, pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera: e dunque, temi troppo di moda inseriti a forza e vari escamotage stilistici.

Svariati i commenti a proposito, come quello di Goffredo Fofi: I veri furbi sono gli editori. O come quello di Massimo Onofri: Lo scrittore surroga l'ispirazione con il tema o con la moda del momento. Peccato che la cosa non funzioni come per l'evasore fiscale che fa il furbo e ci guadagna: lo scrittore che fa il furbo si depaupera e umilia se stesso.

Tutto vero, penso, eppure non riesco a cogliere bene il senso della cosa: come se fosse un eccesso di furbizia sforzarsi di scrivere cose che possono piacere; come se a fare la differenza, alla resa dei conti, non fosse il gusto del lettore; come se stringi stringi a contare non sia solo questo: furbo che sia, questo romanzo, è bello o brutto?

martedì 26 luglio 2011

Quando Salgari naufragò nell'oceano di carta



Ha spiegato che da giovane i libri non ti bastano mai, invece quando sei avanti con gli anni capisci che quelli che servono per davvero sono pochi. Adesso l'idea che ci siano dei libri che aspettano di essere letti da lui gli mette angoscia. Troppi libri che lo tirano per la giacca. Gli sussurrano che loro se ne staranno lì belli tranquilli anche quando lui sarà morto da un pezzo

(da Ernesto Ferrero, Disegnare il vento. L'ultimo viaggio del capitano Salgari, Einaudi)

Ecco, sono incappato in questa frase, solcando i capitoli di questo splendido libro a metà tra la biografia e il romanzo corale, sorta di Rashomon in salsa piemontese sugli ultimi anni di vita del capitano che navigò solo oceani di carta.

Sono incappato in questa frase e per un pezzo non mi sono più mosso.

Anche per me c'è stato un tempo in cui aspiravo a divorare intere biblioteche. Compilavo liste di libri da leggere e poi le spuntavo. Un garibaldino delle biblioteche. Poi è arrivato il tempo dell'ansia. Poi, ancora, il tempo che non so definire della rassegnazione o della maturità.

Oggi non intendo farmi più tirare per la giacca dai titoli. Oggi scelgo il mio piacere. Oggi è già tempo di rileggere ciò che in altri anni mi è stato importante.

giovedì 17 marzo 2011

Se il nemico di turno non è l'Austria

Pasquale Villari, un conservatore illuminato che sapeva mettere il dito nella piaga, pochi anni dopo l'Unità di Italia (qualcosa devo dire anch'io, in questo giorno in cui si celebrano i 150 anni), diceva che c'era nel seno della nazione un nemico più potente dell'Austria, la nostra ignoranza.

Allora tre italiani su quattro erano analfabeti e bisognerà aspettare gli albori del Novecento per scendere sotto la soglia del 50 per cento (ricavo questi dati da un bell'articolo di Giovanni Solimine su Tuttolibri). Le biblioteche dell'intero Regno erano solo 250, per di più non certo pensati per diffondere la cultura, piuttosto per tenere sotto chiave volumi preziosi.

Se uno sta a questi numeri, le cose oggi sono cambiate, come no. Sulla carta le biblioteche sono circa 16 mila, eppure, eppure, quanto siamo lontani da tanti altri paesi della nostra Europa. Solo l'11 per cento frequenta una biblioteca e del resto solo il 46,8 per cento degli italiani ha letto almeno un libro: e che tristezza, in quell'almeno.

Uno potrebbe dire, almeno ci sono le biblioteche, questi presidi di civiltà, questi avamposti di una società davvero civile. Poi si legge che la Nazionale di Firenze, la più importante istituzione bibliotecaria di Italia, ha un bilancio di soli 2 milioni di euro, contro i 254, per dire, dell'analoga realtà di Parigi.

Credo che il confronto sia ugualmente impietoso, scendendo alle piccole biblioteche di paese o di quartiere.

E oggi? Oggi pare che il 70 per cento degli italiani non sappia comprendere un semplice testo o compilare un modulo (non dico capire una lettera della nostra burocrazia, che si sa, quella è l'antilingua di Italo Calvino).

E ci sarebbe bisogno di nuovi Pasquale Villari, a mettere il dito nella piaga, a proclamare che no, no davvero, il nemico non è l'Austria, né paese equipollente.

lunedì 17 gennaio 2011

Su una panchina, passeggiando da fermi

Poiché amo le panchine, poiché amo perdere, anzi, guadagnare il mio tempo sulle panchine, magari guardando la gente che passa, magari nascondendomi dietro la copertina di un libro (mi piace anche far prendere aria ai miei libri) a lungo mi sono fatto accompagnare da Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne di Beppe Sebaste. Nelle cui pagine ho trovato oltre a uno straordinario catalogo delle panchine usate e amate - chissà se un giorno anch'io non tenti qualcosa del genere - anche una serie di definizione di panchina che mi piace riportare.

Una panchina perfetta è come una 'piega' del mondo, non un luohgo nascosto ma una zona franca, liberato o salvata, dove semplicemente sedersi è già in sé una meditazione


A definire le panchine, tuttavia, non è solo il sedersi, ma un certo tipo di sedersi, un certo uso, non solo e non tanto del proprio corpo quanto del proprio tempo, e della propria mente. Lasciare libera la mente di vagare, divagare. Passeggiare da fermi


La panchina è un luogo di sosta, un'utopia realizzata


Ovunque si trovi, la panchina è per chi si siede il centro dell'universo

sabato 15 gennaio 2011

Sognando con la sognatrice di Ostenda

Non sarà un capolavoro, però racconti come questi ti restituiscono davvero il piacere della lettura.

Di Eric-Emmanuel Schmitt ho preferito altri libri - in particolare La parte dell'altro - però anche ne La sognatrice di Ostenda (che bello, il titolo di questo libro, pubblicato da E/O) ho ritrovato incanto e leggerezza, immaginazione e sentimenti senza effetti speciali.

A colpirmi, più ancora del racconto che dà il titolo alla raccolta, sono state soprattutto le pagine sul professore conquistato per la prima volta alla narrativa (e per di più alla narrativa di genere, quella che si legge divorando le pagine, con la voglia di sapere come andrà a finire, emozioni a briglia sciolta e senza sensi di colpa), eppure in tutti ho ritrovato la visione del mondo - o almeno della scrittura - di Schmitt.

Una visione dove la forza del sogno, dell'immaginare altro rispetto al qui e all'ora, trova molto spazio. E questo mi piace, e molto, come no.

mercoledì 29 dicembre 2010

Non lasciarmi, l'incubo di Kazuo Ishiguro

Come dici tu, perché qualcuno dovrebbe mettere in dubbio che voi abbiate un'anima? Eppure devo dirtelo, mia cara, non era così ovvio quando abbiamo cominciato molti anni fa. E sebbene si siano fatti molti progressi da allora, non è ancora così universalmente riconosciuto, neanche oggi

Avrei voglia di raccontarvela tutta la storia di Non lasciarmi, dirvi che cosa succede, cosa si scopre a un certo punto, dopo che per pagine e pagine Kazuo Ishiguro ci ha preso per mano e ci ha accompagnato a conoscere luoghi e personaggi e situazioni che avevano tutta l'aria di essere normali, quasi normali, normali se non per quello strano alone, per quel qualcosa sospeso su ogni parola come un odore che arriva dalla cucina...

Avrei voglia e la tentazione è forte.... ma come rubarvi l'incredibile emozione di quel punto? Quello in cui vi ritrovate davvero dentro la storia e quanto avete letto fin lì va finalmente al suo posto, a partire dagli anni in quel collegio, da quella verde campagna inglese che smette di diventare un paesaggio da cartolina e si deforma in un incubo?

Non posso farlo. Posso dire solo che questo è un libro tenero e agghiacciante, misurato nello stile - come sempre in Ishiguro - eppure sconvolgente in quanto racconta.

Che poi non è esageratamente lontano dal nostro mondo. Magari questa fosse la fantascienza dello sbarco su Marte...

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...