Ecco, pensò, basta andar via da un luogo ed è come se tutto quello che ci si lascia dietro non fosse mai esistito. E fissò i monti lontani dietro i quali spuntava il sole.
Questo è un libro potente, un libro che non finisce più, che fa girare la testa per tutte le vicende che racconta, i personaggi che mette in gioco, i passaggi da una visione di insieme al dettaglio più minuto e viceversa, un libro che è bello portare a termine, dopo essersi immersi in esso giorno dopo giorno, non senza una certa dose di coraggio.
E' storia, è epica, è destino di un popolo raccontato attraverso le parabole di tanti destini individuali. Migrazioni, così si chiama. Più difficile pronunciare il nome dell'autore, Milos Crnjanski. Quasi scontato l'editore, Adelphi, con la sua storica attenzione alle voci della Mitteleuropa e dei Balcani.
Oltre mille pagine fitte fitte per narrare la storia dei soldati serbi che dopo aver perso la loro terra conquistata dagli ottomani, dopo aver combattuto con l'esercito degli Asburgo, guardarono alla Russia degli zar e dell'ortodossia per ricreare una nuova patria.
Storia, insomma, di
una terra promessa, ricercata, sognata, agognata, inseguita attraverso
la valle del Danubio e i Carpazi, da conquistare con interminabili
stenti e fatiche, da guadagnare malgrado le miserie umane di ogni
genere.
Terra promessa che poi forse non accoglierà a braccia aperte e che forse
sarà fonte di delusione, ma questa è già un'altra storia. Intanto
bisogna partire da quella primavera del 1744, l'alba in cui Vuk Isakovic
partì per la guerra, sentendosi dentro qualcosa di più di una
premonizione:
Gli erano venute a noia quelle continue migrazioni e
quell'inquietudine che né in lui né negli uomini che conduceva mai si
placava.
E per l'appunto, la trama dell'impegno politico di Rossana Rossanda è una matassa di vicende e riferimenti che oggi ci dicono poco o niente, sullo sfondo della grande promessa e del grande fallimento. Però che storia, questa donna...
Dalle prime memorie di bambina, in una famiglia istriana con radici ben piantate nella Mitteleuropa asburgica, attraverso le grandi tragedie del Novecento, perché poi questa è una domanda che continua a risuonare dentro di noi:
Che roba è aver quindici anni nel 1939 e ventuno nel 1945? Per questo sono noiosa. E allarmata
E poi via, lungo gli anni Cinquanta e Sessanta, anni di lavoro faticoso, di incerte speranze, di dedizione alla politica che prevale comunque sullo sconfortante grigiore di certi rituali.
E sapete, alla fine questo libro non è la storia di una donna ostinatamente comunista, è la storia di una donna che vuole essere parte di un paese, che vuole cambiare il suo paese, e prima di tutto disegnare un futuro.
Prima ancora del Sessantotto, con la sua esplosione di colori e illusioni. Quando la politica era una cosa così seria che la faccia la si metteva nelle assemblee, mica nei dibattiti televisivi, e le carriere contavano assai meno dei partiti.
Dice a un certo punto Rossana Rossanda:
Nessuno si capacita, oggi, che i deputati fossero compensati così poco e i consiglieri comunali niente. E' da quando la politcia si disprezza che le cariche elettive sono retribuite con cifre mirabolanti
Allora capisci davvero che questa è una storia - e una donna - del secolo scorso. Solo che lo capisci con il morso del rimpianto.