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giovedì 7 maggio 2020

Il dolore che non mi ricordo di aver scritto

Ho ritrovato questo Diario in due quaderni negli armadi blu... Non ricordo di averlo scritto.

Succede che il passato ci sorprenda così, come un baule in cantina che non è stato più riaperto, come una scoperta archeologica. A volte è qualcosa di scritto, in cui è tanto riconoscere la nostra calligrafia, e solo quella. Non ci si vede proprio nell'atto di scrivere quanto si è scritto. 

Sono stato proprio io? Domanda che in realtà potrebbe valere per tutti, anche per lo scrittore che oggi pubblica il libro che solo ieri ha scritto. Ma da cui talvolta discende assai più di una constatazione. 

Come Marguerite Duras in queste pagine, sconcertata da tanto disordine del pensiero e del sentimento da farle provare una sorta di vergogna della letteratura. Ed è vero, questa non è letteratura, questa è vita. Ma vita restituita in tutta la sua intensità.

Pochi libri come Il dolore (Feltrinelli) raccontano le lacerazioni e le paure della guerra, pochi libri sono così chirurgici nel dissezionare ciò che gli uomini sono e diventano nelle strozzature della storia. 

Parigi, tra il 1944 e il 1945. Marguerite Duras milita nella Resistenza, i tedeschi le hanno strappato il marito. Prigioniero in un campo di concentramento, di lui non si sa più niente. Forse è già morto, forse quel forse non ha più senso, ogni giorno ha meno senso. Cos'è l'attesa di un ritorno? Come è piangere un morto sena tomba? 

Troppo, c'è troppo in queste parole. La sofferenza intima e solitaria nella tragedia collettiva - Accadono più cose nella nostra testa che nelle strade tedesche - e poi il ritorno che non è mai ritorno, il futuro che per alcuni più che per altri è terra straniera, il male che contagia anche chi si schiera dalla parte giusta, il barlume di umanità che a volte si riesce a scorgere persino nel delatore della Gestapo..... Troppo e anche troppo scomodo, persino crudele. 

Eppure è così che la parola si fa memoria, passione, quindi vita. E in quanto tale grande letteratura.


martedì 30 luglio 2013

Parole e silenzi nei luoghi di Marguerite Duras

Potrei parlare per ore di questa casa, del giardino. Conosco tutto, so dove sono le vecchie porte, tutto, i muri dello stagno, tutte le piante, il posto di tutte le piante, conosco anche il posto delle piante selvatiche, tutto.

Buono per quanti almeno una volta si sono imbattuti in una pagina di Marguerite Duras e si sono fatti catturati dalla sua scrittura, dalle sue storie che scavano fino in fondo e danno parola a ciò che di solito di parola è privo. Buono anche per quanti la Duras non l'hanno mai amata - non è un autore che si lascia conquistare facilmente, nonostante i successi editoriali di altri anni - e che tuttavia ora hanno la possibilità di esplorare il mondo segreto di una grande del Novecento.

Non so bene come definire I miei luoghi, ora pubblicato da Clichy. Un libro-intervista certo, con la Duras che, conversando con Michelle Porte, racconta i luoghi della sua vita, dalla giungla del Vietnam alla casa affacciata sulla sabbia e le maree della Normandia. Eppure non è solo questo. O meglio il gioco delle domande e delle risposte si fa molto altro: racconto intimo, parola evocativa, silenzio che sembra impregnare i luoghi stessi della Duras e farsi più eloquente di molti discorsi.

Un libro sul filo della memoria, della nostalgia, del ricordo che si fa strada e chiede cittadinanza al presente. Un libro anche da toccare, sfogliare, vedere, perché parla pure attraverso le sue pagine bianche e le tante fotografie.

mercoledì 17 luglio 2013

Marguerite Duras e quel plurale scappato

Ho scritto una cosa ultimamente, parlavo dell'umidità del parco, del parco grondante d'acqua. E poi ho riletto il testo, e ho visto che avevo messo dei plurali.

Avevo scritto: le umidità del parco.

Mentre avevo pensato l'umidità del parco.

Proprio così, ho lasciato il plurale. Era un inconveniente della mano. 

Ma era così più giusto, nella molteplicità del parco, delle specie di parco, parlare delle umidità, c'era l'umidità della terra, l'umidità degli alberi, dei frutti, dell'acqua, dell'aria, ecc, era un plurale.

(da Marguerite Duras, I miei luoghi, Edizioni Clichy)

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