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mercoledì 18 novembre 2015

Qualcuno con cui correre, nella Gerusalemme che sembra il Bronx

C'è Assaf, un sedicenne timido, impacciato, con una famiglia che pare averlo abbandonato a se stesso. Gira come una trottola per le strade di Gerusalemme, perché è questo che gli è stato chiesto: da qualche parte, forse, ritroverà il proprietario di quel cane abbandonato.

E c'è Tamar, più o meno la stessa età, solitaria come Assaf, ma con un di più di rabbia dentro. Per Gerusalemme gira come artista di strada, con il suo canto che non sembra nemmeno vero da quanto è bello: solo che non gli serve per racimolare qualche soldo, ma per ritrovare il fratello tossicodipendente, per salvarlo.

Sono davvero due "numeri primi", i due ragazzi che David Grossman ci racconta nello splendido Qualcuno con cui correre (Oscar Mondadori), solo che queste due solitudini non sono fini a se stesse, non si bastano. Sono il guscio che contiene un'idea, una possibilità, una riserva di umanità da condividere.

Chissà se ci riusciranno, in questa Gerusalemme raccontata come non avevo letto mai, con le sue bande di bulli e dropout, con la droga che gira e le gang criminali. Come il Bronx, ma con una luce diversa, un vento caldo che può spazzare via tutto, che non ti rinchiude in un vicolo cieco.

Forse ce la faranno, Assaf e Tamar. Forse i loro sguardi riusciranno a incrociarsi e allora tutto sarà diverso. Perché non provare a correre dietro quel cane? Chissà dove ci porterà.

venerdì 21 dicembre 2012

David Grossman: "Io invece voglio affondare con lui"

Nel 2006 è morto mio figlio Uri, soldato. E io ero perso, vuoto, esiliato da tutto e tutti.

La mia vita era deformata, non c'era più nulla di garantito, né più nulla da riparare. Stavo seduto senza trovare le parole.

Poi ho pensato che io vivo nella letteratura, è un dono, è un privilegio: e le parole hanno una loro magia, sanno essere ironiche, fantasticare anche nei momenti peggiori.

Ma tornando a Freud, che anch'io stimo come scrittore, la psicanalisi se vede un uomo annegare corre a salvarlo, io invece voglio affondare con lui. 

Per me scrivere è questo, è affrontare intensamente le emozioni, non sfuggirle, e così mi sono ributtato nel mio mondo.

Le parole non mi riporteranno Uri, ma io ho scelto l'arte di scrivere e devo andare avanti. 

(David Grossman, da Repubblica, Non ci lasceranno senza parole

lunedì 29 ottobre 2012

L'uomo che cammina per cercare suo figlio

C'è l'Uomo che cammina, padre di un giovane soldato morto da tempo, che una sera lascia la casa, la moglie, il brodo caldo sulla tavola, per andare "laggiù" a cercare suo figlio.

Comincia a camminare in una città mitologica e senza tempo e, di lì a poco, dietro a lui si forma una processione dolente di madri e padri che hanno perso i loro figli. Ognuno racconta la sua storia. Un compendio della cultura occidentale: la Bibbia, Erodoto, Antigone, Orfeo e Euridice, Amleto, il pifferaio magico. Dalla tragedia greca a La terra desolata.

Grossman fa l'ordinazione e poi abbassa la voce. Si comincia:

"Mia moglie sostiene che la poesia è più vicina al silenzio. Davanti a una tragedia non ci sono parole, non sappiamo dire altro che: non ho parole. Di solito quando scrivo non pianifico come sarà la forma, perché so che viene dal contenuto, ma stavolta è stato subito chiaro che la poesia è la lingua del mio dolore".

(dall'intervista di Paola Zanuttini a David Grossman, sul Venerdì di Repubblica, in occasione dell'uscita dell'ultimo libro, Caduto fuori dal mondo)

domenica 2 ottobre 2011

Lo scrittore e il figlio ammazzato in guerra

Orah uscì dalla stanza a ritroso, attenta a non voltare le spalle agli oggetti di suo figlio. Si fermò e li osservò dall'esterno, con una nostalgia da esule: una maglia stropicciata del Manchester United, un calzettone militare abbandonato, una lettera che spuntava da una busta, un vecchio giornale, una rivista di calcio, una fotografia di Ofer con Talia vicino a una cascata nel Nord di Israele, piccoli pesi di ferro di tre e cinque chili sul tappeto, un libro capovolto. Qual era l'ultima frase che Ofer aveva letto? Quale l'ultima immagine che avrebbe visto?

Sono convinto che la nostalgia dell'esule sia sentimento ricorrente di ogni genitore che si avventura nella camera del figlio. Ma non c'è solo la nostalgia, in questo libro di David Grossman, che trabocca di emozioni, stati di animo, movimenti interiori. In effetti c'è così tanto di tutto questo da scaricare sul lettore un peso quasi insostenibile.

Forse non è un capolavoro, ma questo è uno di quei libri che una volta terminati (e non sarà facile considerata la mole) difficilmente scorderete.

E sarà con voi, il presentimento di Orah, la madre che avverte la morte del figlio in guerra già al momento della partenza e per questo si ostina a partire per una gita, quasi a non voler sapere. Come se non sapendo le cose finissero per non accadere.

Saranno con voi l'incapacità di vivere una vita normale di Avram, l'amico degli anni di infanzia, così terribilmente ferito nel corpo e nello spirito.

Sarà con voi, la baldanza con cui Ofer, il figlio di Orah, parte volontario per la guerra il giorno stesso in cui in realtà dovrebbe essere congedato, quasi fosse una partita di calcio. Pensare che Ofer significa cerbiatto (e A un cerbiatto somiglia il mio amore è anche una citazione del Cantico dei Cantici)

Poi naturalmente il libro non può vivere solo per se stesso, perché come fai a dimenticare che mentre stava concludendo questo libro Grossman ha davvero perso un figlio in guerra?

Come scrive in una nota in fondo Uri - questo il nome - conosceva la trama del libro e i suoi personaggi. Quando telefonava chiedeva sempre gli sviluppi della storia ("cosa gli hai fatto fare questa settimana?")

A quel tempo io avevo la sensazione - o meglio, covavo il desiderio - che il libro che stavo scrivendo lo proteggesse

Non è stato così, disgraziatamente. E a leggerlo oggi viene in mente che tra tante parole fatte per alleviare realtà altrimenti insopportabili ci sono anche parole che hanno come il dono della profezia, nel farsi realtà.

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