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sabato 11 gennaio 2014

Leggere non è una questione di tempo


Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.

La lettura non ha niente a che fare con l'organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l'amore, un modo di essere.

La questione non è di sapere se ho o non ho tempo per leggere (tempo che nessuno, d'altronde, mi darà), ma se mi concedo o no la gioia di essere lettore.

(Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli)

mercoledì 6 novembre 2013

Cercare una persona tra le righe di un libro

Quando una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla fra le righe, cercare i suoi gusti, i motivi che l'hanno spinta a piazzarci quel libro in mano, i segni di una fraternità.

Poi il testo ci prende e dimentichiamo chi in esso ci ha immersi: tutta la forza di un'opera consiste proprio nel saper spazzare via anche questa contingenza!

Eppure, con il passare degli anni, accade che l'evocazione del testo faccia tornare alla mente il ricordo dell'altro: alcuni titoli sono allora di nuovo dei volti.

(Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli)

lunedì 4 novembre 2013

Pennac: l'uomo scrive libri perché si sa mortale

L'uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo.

La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva del suo destino ma intreccia una fitta rete di connovenze tra la vita e lui.

Piccolissime, segrete connovenze che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono "strane" quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.

I rari adulti che mi hanno dato da leggere hanno sempre ceduto il passo ai libri e si sono ben guardati dal chiedermi cosa avessi "capito".

A loro, naturalmente, parlavo delle loro mie letture. Vivi o morti che siano, a loro dedico queste pagine.

(Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli)

venerdì 25 ottobre 2013

La storia raccontata, che è come una preghiera

Quell'improvviso armistizio dopo il frastuono della giornata, quell'incontro al di là di ogni contingenza, quel momento di silenzio raccolto che precede le prime parole del racconto, la nostra voce finalmente identica a se stessa, la liturgia degli episodi... 

Sì, la storia letta ogni sera assolveva la più bella funzione della preghiera, la più disinteressata, la meno speculativa, e che concerne solamente gli uomini: il perdono delle offese.

Non confessavamo nessun peccato, non cercavamo di conquistarci nessuna fetta di eternità, era un momento di comunione, tra di noi, l'assoluzione del testo, un ritorno all'unico paradiso che valga: l'intimità.

Senza saperlo, scoprivamo una delle funzioni essenziali del racconto e più in generale dell'arte, che è quella di imporre una tregua alla lotta degli uomini.

(Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli)

martedì 26 marzo 2013

Daniel Pennac e i guardiani del tempio

Dall'intervista di Fabio Gambaro a Daniel Pennac pubblicata sulla Repubblica del 23 marzo, titolo L'ultimo della classe.

Chi sono i guardiani del tempio?

Sono coloro che confiscano la cultura per se stessi, difendendo i propri interessi e le proprie confraternite, e soprattutto decretando l'indegnità di certi lettori solo perché leggono determinate tipologie di libri.
I guardiani del tempio sono quelli che dai lettori esigono sempre un commento e un giudizio, preferibilmente in sintonia con il loro. Secondo me, invece la lettura non ha nulla a che fare con la comunicazione. 
Nessuno deve essere costretto a comunicare agli altri la natura del piacere procuratogli dalla lettura. La lettura è innanzitutto qualcosa per se stessi. E' un rapporto d'intimità tra uno scrittore e un lettore.

lunedì 11 luglio 2011

Momò, Madama Rosa e i legami che si scelgono

Mi ha riacceso la sigaretta con l'accendino e mi ha detto che i figli delle puttane sono anche meglio perché ci si può scegliere il padre che si vuole, mica si é costretti

E dunque, è molte cose insieme, questo libro di Romain Gary, che tante persone in questi anni mi hanno consigliato, ma che io finora avevo lasciato a "stagionare" sulla mia pila delle letture che prima o poi, sarà che non volevo sciupare le attese.

Molte cose, come molti sono gli umori e i sentimenti che si mescolano nelle pagine di uno scrittore che a lungo ho colpevolmente trascurato. Però, tra tutte, direi questo: La vita davanti a sé è un libro sulle scelte, meglio ancora sui legami che si scelgono, sugli affetti che sono ancora più importanti perché non sono dovuti, ma tenacemente voluti e ancora più tenacemente alimentati.

Non conta né il nome né la religione, non conta il sangue.

Prendete Momò, il ragazzino arabo che non ha nemmeno la carta di identità, il bambino adulto abbandonato dai suoi genitori. Prendete Madame Rosa, l'ex puttana ebrea, scampata alla Shoah, che ha messo su una sorta di centro di accoglienza (si direbbe oggi) per i figli delle donne che "fanno la vita"...

Prendete queste due vite e piazzatele dentro il quartiere popolare di Bellevue, il quartiere degli immigrati, della gente ai margini di Parigi, il quartiere dove abbondano miseria e dolore, anni prima che un altro scrittore, Daniel Pennac, stenda su questo mondo una vernice di parole che ha molto a che vedere con la magia.

Prendete queste vite che non hanno nulla o quasi nulla in comune. E poi lasciatevi andare a questa storia di amore che forse nemmeno tra una madre naturale e suo figlio. Commuovetevi per questa storia che illumina con la sua tenerezza la vita sordida e marginale di Bellevue.

Eravamo tutto quello che avevamo al mondo e almeno questo l'avevamo salvato

Poi quello stesso riflettore muovetelo ai lati, dietro, davanti, fate emergere dalle righe altre storie, altre persone, come quella del dottor Katz, che era ben noto agli ebrei e agli arabi nei paraggi di rue Bisson per la sua carità cristiana e curava tutti quanti dalla mattina alla sera e anche più tardi.

E adoperate questa luce per commuovervi. Ma soprattutto per fantasticare sulla vita quale potrebbe essere. Se solo.

mercoledì 19 gennaio 2011

Bandiera bianca con Stieg Larsson

E dunque, parto subito male e dico che, a malincuore, proprio con La regina dei castelli di carta di Stieg Larsson mi è toccato applicare a mio esclusivo beneficio il terzo e il quarto diritto che Daniel Pennac riconosce al lettore: prima saltare le pagine e poi non finire il libro, senza troppi rimorsi.

E' così: l'ho attaccato con grosse aspettative, ho perso colpi in una lettura distratta, ho stentato nel primo centinaio di pagine (troppi nomi, intreccio troppo complesso, troppa sensazione di sequel), ho tirato avanti grazie al ricordo assolutamente positivo (ma non entusiasta) dei primi due libri della trilogia, infine mi sono arenato.

Poi, è chiaro, qualche problema me lo pongo. Sarà questione di diffidenza che scivola in pregiudizio per i "clamorosi casi editoriali"? Sarà che Larsson è morto prima della pubblicazione di questo libro e che non avuto il tempo di lavorarci sopra fino in fondo?

O sarà che, semplicemente, con i libri è come con le persone, a volte funziona al primo sguardo e subito scatta qualcosa, altre volte per quanto te ne abbiano parlato bene, per quanto sai che "meriterebbe", non scatta niente?

E magari è un'occasione mancata. Chissà, in un altro tempo, in un altro contesto. Forse sarebbe bastato una sera tutta per me, un teino per accompagnare la lettura e un silenzio accogliente, la volta del primo capitolo.
Chissà.

Chissà se un giorno La regina dei castelli di carta scenderà dallo scaffale dove è finita, il più alto della libreria, per tornare a bussare nella mia vita.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...