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giovedì 13 ottobre 2016

La scienza raccontata ai tempi di Facebook

 A scuola, ricordo, era un supplizio. La materia da scansare, sul serio, magari contando sulla clemenza dell'insegnante di turno. La chimica: incomprensibile e mortalmente noiosa, come quel manuale di cui mi sono liberato alla svelta.

Questa convinzione sulla chimica - e per la proprietà transitiva, anche sui chimici - me la sono portata dietro più o meno fino all'altro giorno. Poco importa che anche uno come Primo Levi sia stato un chimico, senza far niente per nasconderlo. Succede, nella vita.

Poi l'altro giorno sono incappato in questo libretto, dal titolo già singolare: Diario social di un rettore. Sottotitolo ancora più singolare: La chimica nel paese di Facebook. Autore Luigi Dei, rettore dell'università di Firenze: che è  dettaglio non da poco, perché uno sarebbe portato a considerare un rettore - anzi, un magnifico rettore - un personaggio che abita un altro pianeta. Un po' come il chimico: e Luigi Dei, per l'appunto, è chimico e rettore insieme.

Ho messo le mani avanti, ma solo per dirvi che questo libro - un piccolo grande libro - non è un trattato di chimica, ma una raccolta di post pubblicati su social da un docente universitario che su Facebook pare cavarsela non meno di molti suoi studenti. E già questa è una scommessa vinta: pensate, fare divulgazione scientifica sui social....

Ma poi sfogliatelo questo diario: altro che strane formule, parla di bolle di sapone, di fuochi di artificio, di patatine fritte, di collant. Parla di tutto ciò che ci circonda. Parla dei misteri che a volte sono tali solo perché su di essi non coltiviamo la nostra curiosità. Parla della materia di cui tutto è fatto e dell'avventura della mente che su di essa si interroga.

E accanto ogni post - pensate - c'è perfino un QR code per accedere a un brano musicale che a quel post, a quel lampo di luce sulla scienza, si associa. Incredibile, nella nostra testa possiamo combinare elettroni e Mozart, polimeri e Bruce Springsteen.

Che dire? Sapete che la chimica quasi quasi mi piace?


lunedì 28 luglio 2014

Vivere il tempo al tempo dello zapping digitale

Forse sto cambiando anch'io, allo stesso modo di chi, fino a qualche tempo fa, trattavo con una certa sufficienza. Io, la persona che aveva sempre tre o quattro libri in lettura contemporaneamente. Uno per la colazione, uno da portarsi in giro tutto il giorno, un altro paio per la buona notte.

Parole scritte per il tè coi biscotti e parole scritte per i minuti alla fermata del bus. Parole scritte per stare a casa e parole scritte per viaggiare.

Ora sempre più spesso acquisto libri destinati a ingrossare le pile delle letture in attesa, come le chiamo con un pizzico di consapevole ipocrisia. Ospiti garbati, i libri. Sistemati sul ripiano della credenza, accanto al vassoio della frutta, aspettano in silenzio il loro turno. Magari non arriverà mai.

Piuttosto sempre più spesso metto via un libro, accendo il computer, mi collego al mio profilo su Facebook e posto la prima cosa che mi viene in mente. Notizie, curiosità, citazioni, battute, saluti. Oppure plano su Twitter, incantato dal suo ritmo, dalla velocità con cui scorrono le sue righe, altrettante finestre sul mondo.

 È come salire su un tappeto volante e lasciarsi portare via.  Il mio zapping digitale: dopo la tv il mondo incantato del Web 2.0.

Vero, sto cambiando anch'io, non solo il mondo. E solo di tanto in tanto avverto il tarlo del dubbio.

L'altro giorno ci ho riflettuto un po' di più. Non è quello che faccio, mi sono detto. In realtà ciò che conta, ciò che sta davvero cambiando, è  il mio sentimento del tempo.

Ed è questo che mi sembra di aver capito: queste immagini, queste parole che scorrono sugli schermi, che circondano la mia vita, mi illudono di vivere il mio tempo. Ma non è questo, vivere il tempo, così come non è nuotare abbandonarsi alla corrente di un fiume.

Non è una successione di istanti ancorati a un eterno presente, il tempo. Ha bisogno di profondità, ha bisogno di spessore, il tempo.

martedì 29 marzo 2011

Ma perché agli scrittori piace Facebook?

Facebook è la babysitter di noi scrittori persi nella rete, potenzialmente in grado di metterci nei guai

Interessante, davvero interesante, la riflessione che Elena Stancanelli fa sulle pagine di Repubblica (La nuova letteratura dei social network) nel tentativo di spiegare perché tanti scrittori si sono fatti catturare da Facebook, allo stesso tempo raccontando perché lei stessa si è costruita un profilo, l'ha cancellato (perseguitata dalla domanda: ma a che ti serve?) per poi aprirlo di nuovo.

E dunque, perché tanti scrittori dopo aver passato tanti ore a distillare parole per i loro libri poi non trovano niente di meglio che spendere altro tempo per macinare altre parole sul computer. Possibile sia solo per biechi motivi di autopromozione?

Dice la Stancanelli:

Invece ci colleghiamo a Facebook, scambiamo due frasi con qualcuno, sbirciamo le foto di un altro, scriviamo un mini pensiero nello spazio chiamato "cosa stai pensando". E' rilassante, e non incide sulla carta di credito. Ma a cosa serve? A niente

Forse è proprio questo niente una prima risposta. Questa possibilità di parola leggera, scorrevole, non impegnativa, non destinata a rimanere....

Chissà però che da questo niente non possa nascere qualcosa di incredibilmente importante. Non so niente dei romanzi che in America cominciano a essere scritti a forza di cinguettii di Twitter, non so se attraverso Facebook stanno nascendo la lingua e la capacità di racconto del domani, ma sono proprio contento di poter assistere a cosa sta succedendo. E cito ancora, sarà perché Internet è la grande macchina della citazione universale:


D'ora in poi quando i mormoni della letteratura mi chiederanno "sì, ma a che serve?", risponderò che i social network sono i libri del futuro. E potrei anche avere ragione.


giovedì 16 settembre 2010

Chiacchierando con un amico del futuro dei libri

E' da quest'estate che su Facebook ne discuto con un amico che non ha dubbi: lui è l'uomo delle nuove tecnologie, io, è chiaro, il tradizionalista. Entrambi abbiamo cercato di dare fondo alle nostre buone ragioni.

La digitalizzazione dei libri, ha detto lui, rende tutto più facile, comodo e accessibile.
Vuoi mettere con la bellezza dei libri, ho replicato io, con i sensi che vengono messi in movimento, anche l'odorato e il tatto, e poi quelle care vecchie biblioteche, che è un piacere guardarle?

Il supporto è mera tecnologia, ha ripreso lui,  non impatta sul contenuto. E basta con i rimpianti da conservatori...
E io:  guarda, lo dice anche Umberto Eco, il libro, come lo conosciamo, è l'invenzione più duratura della storia dell'umanità, più vecchia della ruota, una ragione ci sarà.

Figurati, è sbottato lui, come se Gutemberg fosse vissuto  nel neolitico.  E poi tutto sarà molto più democratico, ha incalzato. Con gli eBook si abbassano i costi materiali di riproduzione delle opere, tutti possono scaricarli. Prima se stavi in una capanna in Etiopia o anche a in mezzo alla Maremma comprare un libro era un'avventura costosa. Ora basta una connessione, un click e qualche euro.

Sugli ebook in Etiopia qualche perplessità ce l'ho, ho ripreso, ma soprattutto siamo sicuri che tutto questo si traduce in democrazia e pluralismo e trasparenza e tutto il resto? E come si regolerà il diritto di autore? Solita pirateria, tanto chi scrive o traduce vive d'aria? E i profitti a coloro che hanno le tecnologie? E ancora, è proprio quello che vogliamo, rinunciare alle librerie come spazio di socialità e incontro e al libraio come interlocutore?

E così via. Ora stiamo riprendendo fiato, però è chiaro, ci siamo lasciato dietro solo i primi round.

Magari finirà che anch'io comprerò uno di quei lettori (o tavolette o come diavolo si chiamano). Oppure no. Non credo, cioè, ma forse un tempo lo dicevo anche per i cd e invece...

Intanto mi conforta l'idea che sia io che il mio amico i libri li leggiamo. Qualche volta siamo in grado di suggerirci anche un buon titolo.

martedì 4 agosto 2009

Quando Facebook serve ai cari vecchi libri

Poi dicono che la Rete uccida i cari vecchi libri, riducendo al lumicino i tempi e le possibilità di lettura che a essi possiamo dedicare. C'è anche parecchia verità in questo, è ovvio, però come al solito dipende da come si usa. Allo steso modo la televisione doveva ammazzare la radio, il cinema, il teatro, tutte cose che magari non godranno della migliore salute, ma insomma... Nella mia esperienza, in realtà, la Rete può essere un buon modo per far conoscere i libri, per accendere anche solo quella curiosità che ti può accompagnare a un titolo o a un autore che altrimenti non avresti mai conosciuto.
Tutto questo per dire che su Facebook è nato da poco un gruppo che gira intorno a una bella collana di letteratura di viaggio della Vallecchi, storica casa editrice fiorentina. La collana si chiama Off the road e per me è molto bella. Ma il punto è che anche Facebook, da alcuni di noi vituperato, può essere utile ai viaggiare nei libri, a viaggiare con i libri.
Qui sotto vi inserisco l'introduzione del gruppo:

Sebbene rappresenti una delle forme più antiche e diffuse di racconto, da Erodoto a Senofonte, da Marco Polo a Ibn Battuta, la letteratura di viaggio è assurta a genere con caratteristiche autonome solo da alcuni anni.
Favorita dalla accresciuta mobilità, l’attenzione per il viaggio si è dilatata andando forse a sollecitare pulsioni profonde, oltre che nuove curiosità.
La collana «Off the road» pubblicata da Vallecchi, propone al suo pubblico di lettori, insieme a classici dimenticati o mai pubblicati, scritti di autori contemporanei : firme già note, veterani del viaggio ma anche viaggiatori allo loro prima esperienza letteraria capaci con gusto e perizia di renderci partecipi delle loro avventure.
Off the road perché, per stile e soggetto,i testi selezionati sono in grado di portarci fuori dall’ordinario e dal già visto. Una collana pensata soprattutto per chi effettivamente viaggia, tascabile davvero, raffinatamente povera, un po’ fané. Una compagnia, un taccuino che ti segue ovunque, anche in viaggio.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...