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domenica 28 luglio 2019

Marisa e il romanzo che ci riporta sull'Appennino

E dunque, da dove cominciare? Forse dai tre anziani fratelli che nel giro di pochi mesi scompaiono uno dopo l'altro, tanto da destare il mormorio della gente, perché uno va bene, due anche, ma tre non può essere più un caso. Oppure dalla figura di Saverio, giornalista come credo di aver conosciuto in diverse redazioni locali, spezzatino di talento, di amore per la professione e disillusione, se non altro lui prova a esorcizzare la routine di una vita con le complicazioni - e quali complicazioni - dei sentimenti. O forse, ancora, da un intero paese dell'Appennino tosco-emiliano, con le sue storie sedimentate nel tempo, le memorie che non sono mai univoche, gli intrecci di interessi e relazioni, il fluire incessante di pettegolezzi, confidenze, illazioni. 

Non so bene da dove cominciare, per parlarvi de L'ultimo dei Santi di Marisa Salabelle, e credo che questo sia già un buon inizio, vuol dire richiamare la ricchezza del libro, con i suoi molteplici spunti e possibili piani di lettura. Un giallo, sì, certamente: ma un libro, un bel libro, soffre se chiuso dentro una definizione di genere. 

Ne L'ultimo dei Santi ci sono misteri, investigatori, indagini, una trama che si scioglierà in modo imprevedibile. Però non è un caso che sia stato scelto per aprire la collana Appenninica, curata dal sottoscritto e da Marino Magliani per la casa editrice Tarka.

Perché dentro ci sono i colori e gli odori dell'Appennino, perché dell'Appennino c'è la gente, perché persino il paese di Tetti, per chi frequenta i posti, diciamo, tra Pistoia e Porretta Terme, è posto che esiste e si riconosce. Perché Marisa ci racconta cos'è stata questa montagna non troppo tempo fa, ancora nel secondo dopoguerra, e cosa è oggi: sempre più marginale, abbandonata, incerta sul suo futuro. 

Ma chissà, forse sarà anche grazie a libri come questi, buone storie per buone penne, che riusciremo a immaginarci un futuro per la nostra montagna. 

venerdì 16 settembre 2016

Letteratura di evasione? Prendetela come un complimento (da Slb)

Letteratura di evasione? Chiamiamola pure così. E si evade davvero. Nella Londra medioevale, seguendo i passi di Fratello Athelstan, frate domenicano e segretario di Sir John Cranston, il coroner della città. 
I due protagonisti di Mistero alla Torre di Londra, il secondo del ciclo di Paul Harding dedicato ad Athelstan, seguono una lunga scia di delitti, iniziata molti anni prima nel Medio Oriente delle Crociate, e che tinge di sangue le mura già tetre della Torre di Londra. Il romanzo segue tutti i canoni del genere. Una trama ben congegnata, un gruppo di sospetti legati da una varietà di relazioni, indizi disseminati qua e là fra le pagine. Perfino un delitto in una stanza chiusa dall’interno, un classico della letteratura gialla. Difficile chiedere di più agli amanti del genere. E molto difficile staccarsi dalle pagine del libro una volta che ci s’immerge nella narrazione.
Accanto a Fratello Athelstan la vera protagonista del romanzo è la Londra del quattordicesimo secolo, crogiolo di affari, intrighi e violenza quotidiana. Paul Harding, dottorato in storia all'Università di Oxford, restituisce con grazia ed efficacia l’Inghilterra di Giovanni di Gand e Riccardo Plantageneto. Le sue differenze sociali, dalla ricchezza dei mercanti e dei nobili alla fame cronica della plebe. I suoi vicoli sordidi. La vita sul Tamigi. Le taverne con il vino speziato e i pasticci di carne. Gli impiccati ai crocicchi delle strade. Intanto Fratello Athelstan lavora con calma e metodo alla soluzione dei delitti.
Letteratura di evasione? Prendetelo come un complimento e immergetevi nella Londra di Fratello Athelstan.

venerdì 18 marzo 2016

Un mistero che sa di vento, salsedine e vecchia Scozia

Prima di tutto c'è il vento che su queste isole batte incessante. Prima di tutto ci sono le nuvole enormi che ridisegnano senza requie il cielo e ci sono le scogliere che precipitano su un mare profondo, pericoloso, agitato. Prima di tutto c'è un mondo alle estremità del mondo, con la sua gente rude, abbarbicata alle sue tradizioni, alla sua lingua gaelica, a una vita che non è cambiata poi tanto, nonostante i Suv e la tv satellitare. Pesca e pastorizia, pioggia e birra scura al pub: benvenuti nell'isola di Lewis, nell'arcipelago delle Ebridi, lembo di Scozia a ovest di tutta l'Europa.

Prima di tutto c'è questo, ma poi c'è un mistero, che riemerge prepotente dal passato e dalle acque di un laghetto prosciugato, con un piccolo velivolo e dentro la carlinga quello che rimane del corpo di una vecchia conoscenza. E c'è un omicidio che esige ancora verità e ci sono molti conti da regolare. Ci sono ragazzi che non sono più ragazzi, cresciuti con bevute, musica celtica e diverse cose che tra loro non sono state dette. E c'è Fin Macleod, ex poliziotto scozzese, che alla sua isola ha fatto ritorno per ricominciare un'altra vita dopo che la precedente è andata a pezzi.

Che bellezza L'uomo degli scacchi di Peter May (Einaudi), atto conclusivo di una trilogia che comprende anche L'isola dei cacciatori di uccelli e L'uomo di Lewis. Che fosse una trilogia l'ho scoperto solo nel bel mezzo del libro. Quasi quasi vado subito a comprarmi gli altri due. Quasi quasi vado a vedere se c'è un aereo per l'isola di Lewis.

mercoledì 4 marzo 2015

Sorpresa, un giallo che non annoia dalla Danimarca

Pensare che era un pezzo che mi erano venuti a noia i cosiddetti "gialli scandinavi", con tutto il parlare che se n'è fatto. Però un giorno hai bisogno di un bel romanzone da leggere per distrazione, di quelli che ti vedi già sul divano con teino e plaid, a divorare pagine per vedere come va a finire. E che sia anche bello lungo, per concederti il piacere dell'immersione. Senza motivo apparente - non è che la copertina sia di quelle che conquistano - la scelta ricade su questo titolo, di un autore a me sconosciuto, danese di successo: Il messaggio nella bottiglia di
Jussi Adler-Olsen (Marsilio). 

E sorpresa, il libro è scritto bene, mai appiattito su ciò che del genere è più trito e ritrito. Quanto a tensione riesce a reggere perfino verso la conclusione, laddove i più cadono miseramente. E sorpresa, non c'è solo la tensione su come andrà a finire. Perché c'è almeno un bel personaggio, questo ispettore svogliato e perennemente alle prese con una burocrazia che a modo suo infesta anche la Danimarca. E c'è questo colpo di occhio sul mondo sfuggente e inquietante delle sette religiose. Poi certo, c'è anche il solito serial killer... però, che dire, si sopporta anche lui. E non è davvero poco.

domenica 30 marzo 2014

Le tre regole del poliziotto all'ultima indagine

"Sì" disse Jarnebring. "Ma negli ultimi giorni mi sei sembrato del tutto normale, e a volte si direbbe che tu abbia persino acquistato un lato umano".

"Ci sono tre cose che non ho dimenticato" disse Johansson, che sembrava non aver fatto caso all'ultima osservazione del suo migliore amico. "Il giorno in cui le dimenticherò, per me sarà la fine".

"Quali sarebbero?" chiese Jarnebring.

"Tirare fuori il meglio da ogni situazione, non complicare inutilmente le cose, diffidare delle coincidenze".

(Leif GW Persson, L'ultima indagine, Marsilio)

mercoledì 23 ottobre 2013

Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito

Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito.

Così Harry Quebert, celebre scrittore americano accusato di un terribile delitto, spiega a Marcus Goldman, suo giovane amico che farà di tutto per discolparlo. Frase che si legge in una delle ultime pagine di La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dickert  (Bompiani) - la cui trama, ovviamente, non vi racconterò. Frase che, fuori dal contesto narrativo, tutto sommato vale anche per questo libro.

Non che l'ultima pagina mi abbia provocato particolari rimpianti, a dire il vero. Anzi, dopo essermi tuffato con grande piacere, dopo aver nuotato a lungo e vigorosamente, verso la fine mi sono ritrovato in debito di ossigeno.

Succede con i cosiddetti casi editoriali. La verità è stato il best-seller dell'estate - mi ricordo che in vacanza a Creta ne ho visto anche due o tre copie intorno ai bordi di una piscina - e questo in genere per me solitamente rappresenta un invito alla prudenza - e all'attesa.

Succede con i casi editoriali, che quasi sempre non sono dei capolavori. E anche questa volta non tutto fila per il verso giusto: qualche ingenuità nella trama, qualche dialogo che proprio non funziona, dei personaggi che non sempre convincono. Come ho letto in un commento: Dickert è come un campione in erba, che ancora deve dimostrare tutte le sue qualità. Vedremo.

Però lo volevo, il giallone, volevo tuffarmi, appunto, e rilassarmi in una lettura che non indugia, non approfondisce, gode nello scoprire cosa succede e nell'andare incontro all'epilogo. E mi è piaciuto, come no.




martedì 9 luglio 2013

Un giallo nel grande gelo dell'Islanda

E alla fine mi sono letto un giallo islandese, che non è una cosa che proprio mettevo in conto, malgrado tutta la valanga di gialli che ci arrivano dal Nord, è sempre come sentire un concerto di musica celtica di una band polacca.

Non conoscevo Arnaldur Indridason, che pure è già tradotto in Italia, e tanto meno il suo ruvido, taciturno, introverso investigatore, l'agente Erlendur Sveinsonn - nomi, entrambi, che certo non aiutano. Un grande gelo, questo è il titolo, mi è capitato tra le mani quasi per caso, per gli impulsi che precedono la partenza per un viaggio, quando devi scegliere qualche lettura accattivante, ma anche "leggera", per peso e contenuti.

E dunque, mi sono fatto accompagnare da Arnaldur Indridason, e all'inizio non è stato facile, sarà che il gelo del titolo in qualche modo pervade anche il tipo di scrittura. Ma poi, scoperta, non finisce nemmeno lì con il gelo.

Il gelo è quello di una società dove tutto parrebbe o dovrebbe funzionare, ma dove un ragazzino di nove anni, immigrato, muore accoltellato all'uscita della scuola. E allora, davvero, non è tutto oro ciò che luccica. E si scopre che anche in Islanda ci sono problemi di razzismo e di integrazione per gli immigrati, che magari sono proprio i più piccoli, i più indifesi, a pagare caro.

E il gelo arriva fino all'ultima pagina. Che ho chiuso contento di aver letto Arnaldur e forse di aver imparato qualcosa di più anche sul gelo dell'Islanda, che non è solo quello del ghiaccio, sarà che è un gelo che esiste anche a ben altre latitudini.

lunedì 15 aprile 2013

Quando il male e il bene non giocano a scacchi

Quando il passato è più di un fantasma, è un cane che morde e non lascia la presa. Quando il male e il bene non giocano una partita a scacchi, perchè non c'è il bianco e il nero, il bianco è anche il nero e viceversa. Quando non sai se i conti li stai regolando con chi sta disseminando la tua vita di cadaveri o con te stesso.

Potente, complesso, disorientante. Sono arrivato con ritardo alla lettura di Tu sei il male di Roberto Costantini (Marsilio) e con tutta la diffidenza che si meritano le trilogie del giallo e del noir - si sa, l'operazione editoriale ha quasi sempre la meglio sull'urgenza della scrittura, e poi vai a sapere, magari è la risposta italiana a Stieg Larsson, non è detto che la ciambella riesca col buco.

E invece mi sono tuffato e per alcune sere non ne sono più uscito: 667 pagine, tante sono, per capire come sarebbe andata a finire, ma soprattutto per seguire il filo di un'inchiesta che si srotola lungo un bel pezzo di storia recente dell'Italia, dai Mondiali di Spagna del 1982 ai Mondiali di Germania del 2006. Un quarto di secolo grosso modo di trame, segreti, domande senza risposta. E al centro lui Michele Balistreri, uno che nemmeno dovrebbe starmi simpatico.

Pensare che alla fine ti sembra di star seduto con lui: magari a un tavolo, a ordinare un altro aperitivo.
 

sabato 1 dicembre 2012

Ma cosa hai voluto dirmi con Van Dine?

E poi? Poi sono ancora qui, a sciuparmi gli occhi su queste righe e le righe quasi ballano sullo schermo e scappano di qua e di là, mentre i pensieri vanno a zonzo e afferrali se puoi.

Sono ancora qui e mi illudo che girando il senso di una frase magari balzerà fuori una qualche verità, allo stesso modo della vanga del contadino che nei racconti dei nonni rivoltava la terra e riportava il tesoro alla luce.

Il colpevole, sostiene Van Dine, deve aver avuto una parte importante nella storia. Non è un delinquente di professione, altrimenti che gusto c’è. Non può nemmeno essere un servitore, troppo banale.

L’assassino è sempre uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.

E poi, complici, va bene, però il cattivo è uno solo. Niente società segrete, niente associazioni a delinquere.

Dimenticavo, il delitto non accade per un caso. E non è mai, ma proprio mai, un suicidio. Bella scoperta, per Walter.

Sono ancora qui e non ho più voglia di rompermi il capo. Se una soluzione c’è, sempre che ci sia, non ce la faccio a estrarla da questa accozzaglia di frasi che mi suonano come chiacchiere.

Io piuttosto salterei all’ultima pagina dove ogni cruciverba è riprodotto con tutte le sue belle paroline e ogni indovinello ha la sua risposta e ogni rebus la sua chiave. Ci salterei a piè pari con tanti saluti ai miei neuroni e alla loro figuraccia.

Ma insomma, Walter, accidenti a te. Cosa hai voluto dirmi con Van Dine?

Che l’assassino non è il maggiordomo?

Intendevi prendermi un’altra volta per i fondelli?

Regola numero quindici dell’esimio Van Dine:
 
La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito

Ma vai a fare in culo, Van Dine…

Evidente è solo che ce ne ho fin sopra i capelli. Evidente è che tempo cinque secondi abbuierò il computer e spalancherò il freezer per l’unica cena che non reclami il mio daffare, sofficini pomodoro e mozzarella più bastoncini del capitano Findus.

In culo a tutti gli investigatori gran gourmet e alle loro ricette in giallo.

(da Paolo Ciampi, Di diverso parere, Romano editore)

giovedì 4 ottobre 2012

Il commissario e il vento di Concarneau

Per iniziare un'immagine, che entra dentro come la prima inquadratura di un film, uno di quei film in bianco e nero che erano perfetti con Jean Gabin. E' notte, a Concarneau, cittadina della Bretagna che vive dei suoi pescherecci. Sopra i vecchi bastioni l'orologio segna le undici meno cinque. La marea è al suo culmine. Il vento fa cozzare l'una contro l'altra le barche ormeggiate nel porto e solleva alcune cartacce per terra. Le strade sono deserte. E' chiaro che qualcosa succederà, da qui a poco.

E quante cose succedono, in Il cane giallo, una delle otto inchieste del commissario Maigret che Georges Simenon sforna nel 1931, con straordinaria e invidiabilissima facilità di penna.

Ne succedono di cose, ma poi quello che rimane non è il delitto (i delitti), non è la soluzione dell'intrigo. Piuttosto è lo straordinario ritratto dei notabili di provincia, quelli che si ritrovano ogni giorno a un tavolo dell'Hotel de Amiral per bere qualcosa, giocare a carte, tirare le fila di qualche affaruccio. Piuttosto è il volto segnato dalla fatiche e dalle mortificazioni di quella cameriera, sarà un caso che si chiama Emma? Piuttosto è il fare e il non fare di questo commissario indolente e burbero, più a suo agio con un bicchiere di pernod che in una conversazione con il sindaco, investigatore dichiaratamente privo di un metodo di indagine.

E  piuttosto è il vento, il vento di Concarneau, il vento che gonfia le vele e i soprabiti dei buoni borghesi.

sabato 18 agosto 2012

Provate voi a imbattervi in un morto ammazzato

Provate voi a imbattervi nel cadavere di un morto ammazzato. 

Peggio: provate voi a fare quello che deve essere fatto, che dovrebbe essere fatto, una volta che avete constatato un decesso non proprio naturale. Una volta che siete inopinatamente piombati sulla scena del delitto, come alla gente piace chiamare un qualsiasi posto che non è più un qualsiasi posto appena una vittima lo ingombra con la sua presenza.
 

Scena, poi: quasi fosse una rappresentazione teatrale, in questo caso a uso e consumo del sottoscritto.
Della mia esperienza di cronista di nera ora mi rimane solo questo, la consapevolezza che non bisogna toccare nulla.
 

E forse il lavoro di giornalista non c’entra proprio nulla. Perché è la reminiscenza dei mille gialli divorati a lampeggiarmi per un attimo, e solo per un attimo, per fortuna.

(da Paolo Ciampi, Di diverso parere, Romano editore)

lunedì 13 agosto 2012

Sarà che nei gialli alla fine tutto torna

Un tempo faceva il giornalista di nera, ora lavora in un ufficio stampa, al seguito di sindaco e assessori. 

Un tempo si era fatto l'idea che la politica fosse una cosa seria e noiosa, ora si è accorto che l'importante è che se ne parli. 

Un tempo divorava i gialli, ora non li sopporta più, sarà che nei gialli tutto alla fine torna. 

Poi, un sabato mattina, il delitto non si accontenta più della carta, dei libri o dei quotidiani e fa il suo ingresso a Palazzo. E niente più torna davvero, in una storia dove non si sa più cosa conti di più, se il nuovo che avanza con Internet o il caro vecchio mattone. 

(Paolo Ciampi, Di diverso parere, Romano editore, dalla quarta di copertina)

domenica 15 luglio 2012

Se un indagine di polizia non restituisce la verità

Metti una piccola cittadina della Svizzera e uno scrittore di gialli che, all’uscita di una conferenza, accetta il passaggio in macchina di un anziano commissario di polizia… Metti che dopo qualche imbarazzo il silenzio tra i due lasci il posto al racconto di un caso di omicidio che risale a ben 40 anni prima…

Comincia così, La promessa - Un requiem per il romanzo giallo di Friedrich Durrenmatt (che si scrive con la dieresi sulla u, lo so), un libro di sconvolgente per lucidità, asciuttezza, capacità di dissacrazione. Un requiem per il giallo scritto prima del diluvio, all'inizio piuttosto che alla fine di una storia che ancora ci accompagna, interrogandosi magari su chi beneficerà della prossima grande onda, dopo quella degli scandinavi.

No, non è un giallo, perché tutti i gialli esigono un omicida, una soluzione acclarata e condivisa…

E qui se non ci si arrende è solo per una promessa fatta a se stessi, una promessa che è un’esigenza giustizia, e poco importa se per essa ci si perderà in desolati paesaggi morali, se si dovrà stare attenti ad abissi di insensatezza…

Chiudi questo libro e la domanda rimane in aria, come un frullo d'ali: basterà mai un’indagine di polizia a restituirci la verità?

E cos'è la verità? Cosa potremo mai sapere davvero? E quella verità sarà anche giustizia?

mercoledì 20 giugno 2012

Se il giallo non sovverte e non inquieta

Qualche tempo fa Loriano Macchiavelli ha scritto che il romanzo giallo dovrebbe dare fastidio, dovrebbe essere sovvertitore e inquietante. Solo che non gli riesce più. Il giallo non trova più denigratori, ma soprattutto la società si è vaccinata contro il sano virus dell'inquietudine.

Sottoscrivo, però poi mi viene da aggiungere la citazione di un acclamato scrittore spagnolo, Francisco Gonzàles Ledesma, a proposito dell'attualità del noir (ma poi è giusto confondere giallo e noir?):


E' il vero romanzo sociale dei nostri tempi... Uno strumento di conoscenza per addentrarsi nelle trasformazioni delle città, nelle metamorfosi del potere e della psicologia criminale. Con due utensili, la ragione e la pietà.

Vero, la società si sarà anche vaccinata contro il virus dell'inquietudine, che è quel virus che aiuta a porre le domande giuste. Però, vietato rassegnarsi: si può fare molto, purché si adoperi bene quei due utensili, la ragione e la pietà.

venerdì 1 giugno 2012

Non basta il Nobel per un giallo così e così

Insomma, insomma, lo sapete che questi gialli del Grande Nord mi stanno venendo un po' a noia? Non vorrei gufare - e spero proprio di no anche per i bilanci di case editrici nostrane come la Marsilio - però mi sa che la grande onda della Scandinavia si stia ormai ritraendosi.

Prendete Il testamento di Nobel di Liza Marklund, che non è nemmeno male e che non manca certo degli ingredienti giusti. Un incredibile delitto nel giorno del grande ricevimento per il Premio Nobel, cosa che ci permette di dare uno sguardo negli ambienti e nei riti che accompagnano uno dei più grandi riconoscimenti internazionali. Un killer spietato che si muove negli ambienti della ricerca scientifica. Il mondo del giornalismo svedese raccontato con attenzione e competenza. E anche altro....

Però che dire, alla fine di tante pagine mi sembra che rimanga poco. Non può bastare una protagonista come Annika, giornalista alle prese non solo con un delitto, ma anche con i problemi del lavoro e con diverse relazioni complicate (ma anche con la difficoltà di conciliare professione e figli, rompicapo quotidiano che in effetti ci aspetteremmo più in Italia che in Svezia). Non possono bastare nemmeno il racconto della vita di Alfred Nobel, il padre del premio, uomo di affari che avrebbe voluto di più dall'amore e dall'arte.

Stringi stringi alla fine non rimane molto. Se non con qualche rimpianto, per un libro che prometteva di più e per il tempo che ci hai investito. Peccato.

domenica 27 maggio 2012

Tutti noi vorremmo che Nessie esistesse davvero

Nessie è un sogno, un delirio.
Nessie è il bambino che giace latente dentro di noi, il desiderio di non crescere mai, la voglia di giocare e la voglia di vivere.
E' la forza interiore, anche quando la speranza cade, che ci spinge a dire che non è finita.
Nessie è l'innocenza e il mistero assieme: è il mito e forse anche la fede.
Tutti noi, in una piega del nostro cuore, vorremmo che Nessie esistesse davvero.

A modo suo, anche Nessie, così come gli scozzesi hanno affettuosamente ribattezzato il fantomatico mostro di Loch Ness, è uno dei protagonisti dell'ultimo giallo di Andrea Gamannossi, Nessie (morte sul lago), uscito per Mauro Pagliai editore.

E dico giallo, ma la definizione va stretta, perché è vero che omicidi e indagini non mancano, è vero che tutto ruota intorno al volto da dare all'assassino, però Nessie si aggira anche dalle parti del gotico romantico. E aggiungo, anche della favola moderna: capacità di invenzione e  potere evocativo della pagina al servizio di una fondamentale lezione di civiltà sulle differenze che non ci sminuiscono, anzi.

E sarà pure che ogni qual volta mi balena davanti la parola Scozia sento qualcosa sciogliersi dentro: prendetela come un pregiudizio a favore. Però che piacere inseguire pagina dopo pagina questa storia...




giovedì 22 settembre 2011

L'Italia del jukebox di Giorgio Scerbanenco

Mettete un'estate sulle spiagge dell'Adriatico, dalle parti di Lignano. Sabbia bianca, odori di pineta, la risacca del mare, una musica di un locale che a tarda notte si fa largo nell'oscurità. Il rumore di una macchina, le voci italiane che si mescolano a quelle tedesche, perché si sa, i tedeschi da sempre sono innamorati di questi posti, più dei posti che della gente che li abita, in realtà... Un'estate come un'altra, non fosse per quel corpo senza vita, il collo tranciato da una coltellata, la sabbia intrisa di sangue...

E' giallo, giallo con tutti i crismi, La sabbia non ricorda di Giorgio Scerbanenco, un nome che quando fai sembra per forza scomodare una fila di affermazioni che ormai sanno di luogo comune - ma chi dice che gli italiani non sanno scrivere gialli? - E' giallo, ma senza eccessivi sprechi di sangue e di effetti speciali, giallo che forse proprio per questo sa farsi tragedia, riflessione sulla condizione umana, racconto morale.

Perché è tutto questo Giorgio Scernabenco, questo sguardo disilluso e malinconico sull'Italia degli anni Sessanta, quando centomila lire potevano cambiare la vita, i carabinieri si muovevano in corriera, le canzoni si ascoltavono al jukebox e non con l'ipod.

Così diversa, quell'Italia, e forse così uguale a quella dei nostri giorni. E anche questo fa parte del gioco, è il gioco che si fa tragedia.

domenica 30 gennaio 2011

Se la storia ha a che vedere con il "giallo"

  E dunque, l'altro giorno mi è capitato di dover partecipare a un  incontro - nell'ambito del bel Festival del giallo di Pistoia - su un tema a cui avevo la terribile (e fondata) sensazione di essere decisamente impreparato: pensate, il giallo tra cronaca e storia. Tema ostico di per se stesso, mica solo un problema mio.

Ci ho pensato a lungo senza ricavarne molto. Per fortuna che le parole aiutano. Intendo le parole che arrivano da lontano. Le etimologie.

 La parola storia, per esempio:  deriva da una radice indoeuropea che sta per "vedere", "sapere". Nel greco antico ἱστορία indica la conoscenza raggiunta tramite la ricerca, tramite la fatica dell'indagine.  La parola ἵστωρ rimanda all'uomo saggio, al testimone, al giudice.

Storia, insomma, significa non solo ciò che è accaduto, ma anche l'indagine su ciò che è accaduto e il racconto di ciò che è accaduto.

Beh, messa così, tutto mi sembra più familiare. Il giallo sarà anche opera di fantasia, ma ha le sue sintonie con l'operare dello storico. Il crimine - del resto quasi tutta la storia è storia dei suoi crimini - e poi il ristabilimento dell'ordine spezzato dal crimine tramite la ricerca di verità, il racconto di verità.

Selezionare fatti importanti, scartare quelli irrilevanti. Individuare indizi e farli parlare. Dare un senso.

Ecco, ora mi torna un po' di più.


giovedì 9 dicembre 2010

Quando leggere tiene in piedi il mondo



A volte ci sentiamo persino in colpa, quando sottraiamo tempo al nostro tempo (ma che significato ha il nostro tempo?) per consegnarlo alla lettura. Può far bene, allora, leggere queste parole di Beppe Sebaste, scovate in un libriccino bello e singolare (Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne) di cui nei prossimi giorni intendo parlare. Ma intanto questo passo.

L'altro giorno ero nella fase finale della lettura dell'ennesimo mastodontico giallo svedese - libri che da qualche tempo prediligo per la loro lussuosa lentezza. Dopo quelli di Henning Mankell, ora sto dedicandomi a quelli di Stieg Larsson. Dovevo lavorare (cioé scrivere, lavoro reso difficilissimo dalla quasi totale assenza di un capufficio), ma me la godevo troppo a continuare a leggere il giallo svedese, a lasciare scorrere il tempo senza fare nient'altro che quello, continuare a seguire la storia dei personaggi che erano in quel momento la mia famiglia e i miei amici. E improvvisamente mi è venuta per la prima volta l'idea che non era vero che non stavo facendo niente, e non era vero nemmeno che ero da solo mentre leggevo. Ho pensato anzi che leggere sia un benefico e generoso lavoro collettivo, o comunque fatto anche per gli altri, come i riti e le preghiere. Avevo l'idea che il mio leggere facesse andare avanti il mondo, che in qualche modo lo tenesse in piedi, e comunque tenesse in piedi il mondo del libro che stavo leggendo. Senza di me, cioé se avessi smesso di leggere, che ne sarebbe stato della storia e dei suoi personaggi?

martedì 13 luglio 2010

Lo scrittore svizzero e il suo requiem per il giallo

Metti una piccola cittadina della Svizzera e uno scrittore di gialli che, all’uscita di una conferenza, accetta il passaggio in macchina di un anziano commissario di polizia… Metti che dopo qualche imbarazzo il silenzio tra i due lasci il posto al racconto di un caso di omicidio che risale a ben 40 anni prima…

Comincia così, La promessa - Un requiem per il romanzo giallo di Friedrich Durrenmatt (che si scrive con la dieresi sulla u, lo so, solo che non la trovo sulla tastiera), scrittore svizzero che amo con fedeltà che resiste agli anni (sarà che lo frequento con garbo, senza strafare) per un piccolo grande libro, sconvolgente per lucidità, asciuttezza, capacità di dissacrazione.

No, non è un giallo, perché tutti i gialli esigono un omicida, una soluzione acclarata e condivisa… E qui se non ci si arrende è solo per una promessa fatta a se stessi, una promessa che è un’esigenza giustizia, e poco importa se per essa ci si perderà in desolati paesaggi morali, se si dovrà stare attenti ad abissi di insensatezza…

Un libro a cui ritorno, per vaccinarmi contro l'idea che nella letteratura, soprattutto nella letteratura di genere, sia stato già detto tutto. Fa bene ogni tanto leggersi un libro che fa saltare convenzioni e attese. Come fa questo libro, dichiaratamente fin dal sottotitolo, per sovvertire i luoghi comuni del giallo. E sembra che ne seppellisca anche la possibilità: e invece no, invece regala nuova linfa.


E' un libro che ha i suoi anni, ma che fa bene tener ben presente ogni qual volta si grida al nuovo grande autore di gialli, alla novità che scaccia tutto quello che c'è stato prima. Una buona cura contro il legittimo disamoramento.


Ma anche un libro che con le sue domande ci porta al centro delle nostre esistenze. Basterà mai un’indagine di polizia a restituirci la verità? Interrogativi così non implicano solo un investigatore, un delitto, un omicida.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...