"Ho raccolto fiori solo per deporli sulla mia infelicità?" mi domandai, e il mazzolino mi cadde di mano. M'ero alzato per ritornare a casa: era già tardi, e tutto si era fatto buio
Tutto si è fatto buio, eppure sono frasi come queste che illuminano le pagine di Robert Walser, uno dei più grandi scrittori del Novecento europeo, genio e tormento come un altro grande, Dino Campana, a cui lo accomuna lo spirito del vagabondaggio.
Proprio come Dino anche Robert prendeva e partiva, provava a sciogliere nel cammino le sue ansie, Così stemperava l'inquietudine, calmierava in qualche modo il male di vivere. Era comunque più forte il suo sguardo sulle cose e sulle persone, la sua capacità di incuriosirsi e sorprendersi. I passi erano cura, possibilità, tregua.
Tutto questo ritrovo dentro La passeggiata (Adelphi), testo breve che lascia emozioni durature, metafora di un nomade nella scrittura e nella vita, allo stesso tempo esperienza reale di un uomo che incamminandosi non volta le spalle al labirinto dei suoi giorni ma sa riconoscerlo come casa da abitare.
Segretamente - dice Robert - ogni sorta di pensieri e d'idee seguono di soppiatto colui che passeggia.
E anche a me viene di seguirlo di soppiatto, in questa passeggiata nei dintorni di una placida cittadina della Svizzera - tra le mucche e i tetti spioventi - a cercare la sua compagnia mentre si perde e si ritrova, incontra e si incontra.
Amava le montagne, Giovanni Cenacchi, le amava e sapeva tradurle in parole e immagini che arrivavano al cuore di tutti, anche di coloro che già in collina cominciano a sentirsi fuori posto. Se n'è andato via troppo presto, Giovanni Cenacchi, portato via da una malattia che, tra le altre cose, ci ha privato di nuovi libri da tenere cari.
Come I monti orfici di Dino Campana (Polistampa), un libro che mi è capitato tra le mani quasi per caso (non credo nemmeno che sia di facile reperibilità). L'ho cominciato con l'idea di leggiucchiarlo e magari lasciarlo lì. Invece mi ha catturato, spiazzato, inchiodato a diverse riflessioni.
Beh, non capita tutti i giorni di imbattersi in un saggio letterario che è anche una singolare guida per avventurarsi in passeggiate per i monti. O se preferite, in un libro sulle meraviglie dell'Appennino meno conosciuto che è anche una formidabile biografia poetica.
Perché è questo che fa Giovanni Cenacchi, uomo innamorato della montagna che sceglie di camminare a fianco di un altro uomo, Dino Campana, per cui la montagna è stata maledizione (lui montanaro, come sperava di conquistare il mondo della cultura, lontano giù in città?), ma anche rifugio e consolazione.
Con un Dino Campana che conosciamo meno perché ha prevalso il mito del poeta maledetto e pazzo, relegato in manicomio: mito che poi è doppiamente fuorviante, perché il Campana del manicomio non è più il Campana poeta, è già un altro uomo.
Come parlare allora della sua poesia, senza le sue montagne? Forse c'è un altro modo: e si può cominciare lasciandoci dietro le biblioteche e i computer, mettendoci uno zaino in spalla, avventurandosi per gli stessi sentieri che lui stesso un tempo calpestò.
Leggere e camminare, camminare fino a riconoscersi nelle parole di Dino Campana:
E' così dolce sentirsi una goccia d’acqua una sola goccia ma che ha riflesso per un momento i raggi del sole
Camminare e leggere, appunto. Camminare e ascoltare la poesia.