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sabato 26 maggio 2012

Ci sarà Mompracem, tenendomi stretto le parole

Ritorno spesso a Mompracem, quando posso, quando voglio.

Ogni volta che mi dicono che non c’è, che non è mai esistita, mi piacerebbe avere tra le mani qualche vecchia mappa del Mar Cinese. Mompracem c’era, al largo della costa occidentale del Borneo, anche se per qualcuno era  Mon Pracem, o piuttosto Monpiacem. Ancora gli atlanti della prima metà dell’Ottocento la riportavano. Poi scomparve, ma si sa, queste cose succedono.


Per me c’è ancora, c’è almeno da quella notte di tempesta del 20 dicembre 1849, con cui Emilio per la prima volta mi prese per mano e mi portò dentro la storia di Sandokan e di Yanez, di James Brooke e di Marianna.


Quando sento che si avvicina una tempesta di incredulità, quando i venti dell’età troppo adulta cominciano a spazzare la tolda della mia nave, quando ancora il cielo è spezzato dai fulmini del più crudo realismo, Mompracem mi aspetta.


A volte mi capita anche di appellarmi a un’altra isola che non c’è, quella di Peter Pan. E mi sorprendo a canticchiare, stonato come sono, la canzone di Edoardo Bennato: seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, non ti puoi sbagliare perché quella è l’isola che non c’è...  ma questo per dire, perché quella che conta per me è solo Mompracem.


Le cose ora ci sono e ora no. O prima non ci sono e poi sì. Cosa che anche Odoardo sa bene, lui che una volta scavalcò una catena di monti e fu il primo a imbattersi in un fiume più grande del Tevere e del Tamigi, solo che vicino al mare si imbucava per gettarsi in una cascata tra le rocce.


Io so perfino che Mompracem c’è e ci sarà finché mi terrò stretto le parole.

(Da Paolo Ciampi, I due viaggiatori, Mauro Pagliai editore)

mercoledì 21 aprile 2010

Era ora, Sandokan torna in Malesia


E' una buona notizia per tutti coloro che hanno sognato e viaggiato sulle pagine del grande Emilio e magari hanno lasciato il loro cuore a Mompracem (l'ho letta sulla Stampa, ma per la segnalazione sono debitore a Danila Comastri Montanari): finalmente I pirati della Malesia saranno tradotti in malese.

Insomma, Sandokan torna a casa, o perlomeno riprende a scorrazzare per i suoi mari.

La traduzione di Salgari - la prima in malese - sarà pronta proprio per il centenario dello scrittore di Verona e sarà presentata in occasione del Kuala Lampur International Book Fair.

Tutto questo mi riporta in mente quando, diversi anni fa, andai in Borneo sulle orme di Emilio, senza trovare nessuno che ne avesse sentito parlare. Trovai invece un fiorentino, di nome Odoardo Beccari (nella foto), straordinaria figura di scienziato-viaggiatore.

Ne venne fuori un libro, Gli occhi di Salgari. Che buffi, però, quei giorni nel caldo appiccoso di Kuching, la capitale del Sarawak, a contemplare la palazzina di James Brooke, il rajà bianco, e a chiedere a tutti: per caso conoscete un tale Emilio Salgari? Conoscevano Totti e Del Piero, ma Salgari proprio no.

domenica 9 agosto 2009

Tutto solo nella giungla del Borneo

More about Gli occhi di SalgariOggi, tornando dai boschi dell'Appennino al mio appartamento di città, mi è tornato alla mente Odoardo Beccari, un personaggio poco noto in Italia, di più all'estero, come spesso accadde. Si tratta di uno dei più straordinari "scienziati-viaggiatori" della nostra storia ed è nato poco lontano da dove abito io. Solo che di lui ho sentito parlare per la prima volta solo in Borneo. Delle sue imprese, delle sue scoperte, del modo in cui i suoi resoconti hanno finito per ispirare Emilio Salgari magari vi parlerò un'altra volta. Oggi Beccari mi è venuto in mente per il modo con cui riusciva a stare perfettamente a suo agio anche abitando la foresta vergine, poco importa se si trattasse delle terre dei tagliatori di teste. Da un mio libro di alcuni anni fa ("Gli occhi di Salgari", Polistampa) vi riporto un piccolo brano della sua vita nella giungla... credo che possa essere di insegnamento, a tutti noi abitatori della giungla di città.


In questo modo Odoardo incomincia una vita quale forse non si è mai immaginato, ma che è perfettamente consona al suo temperamento. Le giornate scorrono serene e operose. L’Italia sembra ancora più lontana, confinata su un altro pianeta, forse in un’altra epoca. Beccari è cittadino della giungla negli stessi mesi in cui si combatte la guerra contro l’Austria. Di Lissa e di Custoza, delle umiliazioni patite dall’esercito italiano, dell’orgogliosa reazione dei garibaldini non gli arriva nulla. Il suo è davvero un mondo a parte: e non lo scambierebbe per l’altro.
Eccolo, il nostro Beccari stile Robinson Crusoe, non fosse per il cuoco cinese, preziosissimo, e per i ragazzi malesi che lo aiutano nella raccolta e nella preparazione delle collezioni. Veste semplicemente, libero da tutte le affettazioni europee: un paio di pantaloni e una corta giacchetta di rigatino. In testa un cappello cinese di bambù. In genere gira scalzo, abitudine presa a Kuching quando i suoi piedi si sono piagati per le mignatte. Solo per i giri più lunghi usa le scarpe di tela, senza calze.
La mattina presto se ne va per la foresta, rinnovando in continuazione il suo stupore per lo straordinario banchetto di specie animali e vegetali ancora ignote che essa gli propone: il massimo cui possa aspirare uno scienziato che alla vita accademica preferisce sempre l’esperienza diretta.
Il pomeriggio è dedicato a sistemare le raccolte, ai disegni, agli appunti. La capanna è anche un laboratorio, modesto, rudimentale, ma efficiente, al cui interno giorno dopo giorno si accumula un materiale gigantesco, per cui sbaveranno i musei di mezzo mondo.
Occupazione importante della giornata diventa la preparazione dei pasti. Nei pressi il fiorentino si è fatto costruire un pollaio. Per gli altri approvvigionamenti spedisce di tanto in tanto a valle qualcuno dei suoi uomini. In ogni caso il menù è praticamente fisso: pollo lesso con riso. Tra le poche alternative, qualche bucero fatto fuori e cucinato alla diavola, sulle stesse graticole su cui vengono seccate le piante.
È una vita semplice, essenziale, ridotta all’osso. Una vita che, paradossalmente, riempie Odoardo per sottrazione. E intendo sottrazione di pensieri, fastidi, ambizioni, bisogni. Perché risolvere il problema del fuoco, così come dell’acqua, vale più dell’oro.

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