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lunedì 19 maggio 2014

Noi che chiedevamo il meglio alla vita


Come chi veda, mentre fissa uno scenario di bellezza, avvicinarsi le nubbi e debba a malincuore allontanarsi se il temporale irrompe, così noi, che avevamo la vita davanti e i cuori fecondati dalla luce del sole, dovemmo abbandonare sulle colline i libri e i fiori e inabissarci ed essere uccisi.

Non scrivete sulla pietra tristi parole, ma solo di opportuna gioia - perché noi che chiedevamo il meglio alla vita, abbiamo anche saputo come offrirla.

(Frank William Thompson, volontario inglese contro il nazismo, ucciso nel 1944. Citato da Corrado Augias in I misteri di Londra)

giovedì 8 agosto 2013

Se Nero Wolfe è più vero di Rex Stout

Quarantaquattro romanzi, praticamente uno ogni anno. L'ultimo pubblicato nel 1975, pochi mesi prima della morte. Come se Rex Stout, l'autore, avesse voluto farsi accompagnare fino in fondo dal personaggio che aveva inventato e che aveva fatto vivere in tante storie.

Nero Wolfe, quante volte che l'ho cercato. Nei Gialli della Mondadori come nei telefilm della Rai, con il grandissimo Tino Buazzelli a impersonare il pachidermico investigatore privato che non si muoveva mai dalla sua abitazione di Manhattan, burbero e geniale, capace di commuoversi solo per la buona cucina e i fiori. Uomo di eccessi che di sé diceva:

Prendo i criminali in trappola e cerco le prove per inchiodarli. Sono anche un filosofo, un artista e un attore nato.

E scusate la modestia. Che vuol dire per uno scrittore farsi accompagnare da una vita da un personaggio così, ingombrante non solo per la stazza? Cosa vuol dire seguirlo nelle sue storie? Quanto entra, alla fine, nella vita di ogni giorno?

Nero Wolfe e Rex Stout. O Rex Stout e Nero Wolfe. Corrado Augias, ne I segreti di New York prova perfino a individuare la casa che fu di Nero Wolfe, nel quartiere di Chelsea, disegna una pianta degli interni, descrive gli arredi e le abitudini quotidiane.

E Nero Wolfe mi sembra più vero di Rex Stout, nemmeno fosse quest'ultimo il personaggio, condannato a un'esistenza effimera. Com'è stato, in effetti: perché poi a rimanere sono le parole.

domenica 30 giugno 2013

E se Modigliani fosse diventato ragionevole?

Pensando ai soli trentasei anni (e nemmeno compiuti) che Modigliani riuscì a strappare al destino, alla sua vita breve e ribelle, ci si può chiedere che cosa sarebbe potuto diventare se fosse vissuto più a lungo: un uomo più ragionevole? Un artista migliore?

Si sarebbe rassegnato, come tanti suoi amici giovanili, a una tranquilla routine di pittore?

E se davvero fosse tornato in Italia, che effetto avrebbe avuto sulla sua pittura, oltre che sul suo carattere, l'ambiente della penisola, così chiuso e lento rispetto alla folgorante vivacità parigina?

Quel suo modo così particolare di dipingere sarebbe lentamente illanguidito, diventando maniera?

Domande irragionevoli, ovviamente, dettate dal rimpianto e dall'affetto, domande che si possono porre soltanto in via ipotetica, così come viene da fare per Mozart, morto quasi esattamente alla stessa età. Avrebbe continuato a evolvere la scrittura musicale del giovane Wolfang Amadeus? Probabilmente sì, stando alle ultime complesse sinfonie.

E Modigliani?

(da Corrado Augias, Modigliani. L'ultimo romantico, Mondadori)

venerdì 7 giugno 2013

Vita da marinaio, prima di Moby Dick

Insofferenza? Spirito d'avventura? Inquietudine? Insomma, cosa spinse Herman Melville ad abbandonare le strade di New York per il ponte di una nave spazzato dalle raffiche di vento? Perché decise di abbandonare gli agi di una vita borghese per l'inferno a bordo di una baleniera?

Non è una domanda oziosa, in fondo. Significa interrogarsi sul modo in cui un capolavoro può emergere dalla trama dei giorni. Perché è chiaro, non ci sarebbe Moby Dick senza quella vita vissuta, senza i calli alle mani, l'odore della salsedine, le onde da fare paura, la fatica alleviata solo da un bicchiere di rum o da una prostituta.

Dice Corrado Augias, che questa domanda se la pone nel suo I misteri di New York:

Non è semplice cercare di capire che cosa abbia spinto un ragazzo della buona borghesia, anche se momentaneamente decaduta, ad affrontare la durezza della vita per mare e la condizione di semplice marinaio

Non è semplice, e la scelta di quel ragazzo rimane avvolta nella stessa nebbia che può chiudere l'orizzonte a una nave:

In definitiva sappiamo solo che un giorno decise di andare, spinto da un bisogno o da una sofferenza più forti di lui

Questo sappiamo, insieme a ciò che da questa scelta venne fuori. Disse di sè Melville:

Una nave baleniera fu la mia Yale e la mia Harvard

Solo che nemmeno ad Harvard si impara a scrivere un capolavoro.

lunedì 16 gennaio 2012

Se Nero Wolfe è più vero di Rex Stout

Quarantaquattro romanzi, praticamente uno ogni anno. L'ultimo pubblicato nel 1975, pochi mesi prima della morte. Come se Rex Stout, l'autore, avesse voluto farsi accompagnare fino in fondo dal personaggio che aveva inventato e che aveva fatto vivere in tante storie.

Nero Wolfe, quante volte che l'ho cercato. Nei Gialli della Mondadori come nei telefilm della Rai, con il grandissimo Tino Buazzelli a impersonare il pachidermico investigatore privato che non si muoveva mai dalla sua abitazione di Manhattan, burbero e geniale, capace di commuoversi solo per la buona cucina e i fiori. Uomo di eccessi che di sé diceva:

Prendo i criminali in trappola e cerco le prove per inchiodarli. Sono anche un filosofo, un artista e un attore nato

E scusate la modestia. Che vuol dire per uno scrittore farsi accompagnare da una vita da un personaggio così, ingombrante non solo per la stazza? Cosa vuol dire seguirlo nelle sue storie? Quanto entra, alla fine, nella vita di ogni giorno?

Nero Wolfe e Rex Stout. O Rex Stout e Nero Wolfe. Corrado Augias, ne I segreti di New York prova perfino a individuare la casa che fu di Nero Wolfe, nel quartiere di Chelsea, disegna una pianta degli interni, descrive gli arredi e le abitudini quotidiane.

E Nero Wolfe mi sembra più vero di Rex Stout, nemmeno fosse quest'ultimo il personaggio, condannato a un'esistenza effimera. Com'è stato, in effetti: perché poi a rimanere sono le parole.

domenica 15 gennaio 2012

A chi dare ragione?

Forse a Henry James, il più europeo dei grandi scrittori americani, che diceva:

New York è spaventosa, fantasticamente priva di eleganza, confusamente orrenda

O forse, sulle ali di quel fantasticamente che nemmeno Henry James nega, a Le Corbusier, il grande architetto:


Cento volte ho pensato che New York è una catastrofe e cinquanta volte che è una bellissima catastrofe

Ed è così, esattamente così: perché è tutto e allo stesso tempo il contrario di tutto, ma in un modo che solo a New York. E non importa esserci stati, perché New York è i libri che abbiamo letto, i film che abbiamo visto, nessuna città è stata così raccontata e così tradotta in immagini.

New York è la nostra vita moderna, è ciò che vogliamo essere e anche ciò che non vogliamo essere. E' il nostro presente, meno il nostro futuro, sicuramente non il nostro passato. E' lo specchio a cui bisogna guardarci, di tanto in tanto.

Non ci sono mai stato, ma in questi giorni mi sono immerso in essa, grazie a I segreti di New York di Corrado Augias. Libro che avevo lasciato lì da non so quanto tempo, temendo la guida più o meno intelligente, i consigli per il viaggio.

E invece no, questo è un libro di storie, di parole che ti inventano la città e te la portano a casa. Scorrono i nomi, i personaggi, veri o immaginari, i libri: Herman Melville e Nero Wolfe, gli anarchici  e i gangster, gli artisti degli anni Ottanta, genio e droga, e i gangster italiani, irlandesi, ebrei. Dorothy Parker e Marilyn Monroe. Edgar Allan Poe e Andy Warhol.

Che libro per viaggiare, per avvertire il brivido che fu di Francis Scott Fitzgerald:

New York osservata dal ponte di Queensboro rimarrà in eterno la città vista per la prima volta, con la sua iniziale selvaggia promessa di tutto il mistero e di tutta la bellezza del mondo

E davanti la metropoli, cuore vivo, pulsante, complicato, la metropoli capace di farsi bella anche con le sue brutture.  





venerdì 12 novembre 2010

Il teologo e il suo compagno di viaggio

Lo diceva Norberto Bobbio, grande filosofo laico del nostro Novecento e amava ripeterlo un religioso della statura del cardinale Carlo Maria Martini:

La vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa

Un libro come Disputa su Dio e dintorni si rivolge a tutti coloro che vogliono pensare. A quanti sanno che pensando e ragionando insieme sui nostri pensieri non si può che migliorare noi stessi e il mondo che stiamo abitando. Senza verità da imporre, senza appartenenze da rivendicare. Con la consapevolezza che solo la libertà fa bene alla verità.
E quanti ponti uniscono il teologo Vito Mancuso all'intellettuale - che mi piacerebbe definire illuminista - Corrado Augias. Nel caso, il teologo parla a nome di entrambi:  

Forse mi sbaglio, ma comincio a intuire che in questa nostra disputa su Dio noi ci divideremo soprattutto sull’uomo, perché in fondo la questione dell’esistenza e della natura di Dio si traduce nella questione della natura e del destino dell’uomo 

Dividersi per ritrovarsi, sempre. Per riconoscersi. Ed è proprio vero, non abbiamo bisogno di verità da imporre. Non ne abbiamo bisogno, per dare un senso al nostro cammino. 

Piuttosto abbiamo bisogno di compagni di viaggio. Abbiamo bisogno di parole che scavino. Come queste.


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