Visualizzazione post con etichetta Caraibi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Caraibi. Mostra tutti i post

giovedì 23 febbraio 2017

Se l'ignoto è ancora davanti a noi

Il libro che state per iniziare parla di esplorazione e di ignoto. E di quanto il mondo a forza di farsi sempre più piccolo e conosciuto abbia visto sparire quei sogni e quelle aspirazioni che per secoli sono andati assieme ai viaggi e alle scoperte.

Credete in me, i libri di Alessandro Vanoli sono tappeti volanti di parole, in grado di portarvi molto lontano. Ci entrate dentro in punta di piedi, convinti delle vostre coordinate geografiche e del vostro fuso orario, per trovarvi di schianto sbalzati in un altro continente e in un'altra epoca. E il bello è che non ci sono effetti speciali, semmai la competenza e la passione dello storico, insieme a quelle doti narrative che nello storico spesso scarseggiano.

L'avevo già sperimentato con Quando guidavano le stelle, racconto di un Mediterraneo più volte attraversato in un grande viaggio sentimentale. E lo ritrovo ancora di più in questo nuovo libro, L'ignoto davanti a noi (Il Mulino), con tanto di sottotitolo che è di per sé indicazione di rotta: sognare terre lontane.

Perché poi è vero, ogni viaggio, ogni autentico viaggio, è attesa, desiderio, emozione che non si lascia catalogare e ovviamente sogno. Vale in qualche misura ancora oggi, figurarsi ai tempi in cui le mappe erano approssimative, gli oceani erano popolati di mostri, le chiacchiere nelle taverne dei porti mescolavano ambizioni e superstizioni, interi continenti non c'erano o erano solo un contorno con la terra incognita dentro.

Erano tempi difficili, ma anche tempi meravigliosi di avventura e scoperta. Prima dei Gps, prima dell'altrove che ormai è un ovunque. Vanoli ci prende per mano e ci accompagna tra navigatori del mondo antico e pirati dei Caraibi, tra monaci buddisti in cammino e naufraghi tra isole che poi sono diventate letteratura.

E quanti nomi che ritornano dai romanzi e dalle fantasticherie di quando ero un ragazzo: Cristoforo Colombo e Ibn Battuta, Marco Polo e Henry Morgan.

Ciò che soprattutto mi interessa - spiega Vanoli quasi a mettere le mani avanti - è la storia del lento scomparire dello spazio esplorabile.

Sarà vero? Certo che no, per uno studioso che sospetto sia rimasto eterno ragazzo. Ci scommetto, perché con lui -  scopro - condivido libri che non ti mollano più, che lasciano il segno: Emilio Salgari, Robert Louis Stevenson, Italo Calvino e incredibile, incredibile, persino Peter Kolosimo (allora non ero il solo...).

E' evidente che non potrà che pensarla così:

Dell'ignoto abbiamo ancora bisogno e, soprattutto, a ben guardare di ignoto e di stupore è ancora pieno il mondo.

Così dice  Vanoli. E io insieme a lui. 
 

sabato 16 marzo 2013

Se la prossima volta sarà nei Caraibi

Vorrei assistere davvero alla loro partenza. Vedere una nave che stacca gli ormeggi e abbandona quella nostalgia di pietra che è il molo, come diceva il grande Fernando Pessoa. Vorrei osservarli bene mentre dal ponte osservano tutti noi farsi più piccoli, interrogandosi su quanto si stanno lasciando indietro: forse altre persone che misteriosamente erano anche loro stessi, prima.
 

E già che ci sono vorrei che con loro ci fossero anche altri amici che mi hanno tenuto compagnia.
 

Magari Tex che in qualche modo ho sempre considerato l’altro fratellino di Sandokan, benché porti la stella dei rangers, non la lama del pirata. E perché no, anche Corto Maltese, il marinaio, l’avventuriero irrequieto di quell’altro sognatore praticante che è stato Hugo Pratt.
 

Per tutti loro mi rifarei di nuovo ragazzino orgoglioso di cantare a squarciagola la sigla di uno sceneggiato. 
Scorre il sangue... nelle vene
Forte vento... nella notte calda si alzerà!
Sandokan! Sandokan!
Giallo il sole la forza mi dà
Sandokan! Sandokan!
dammi forza ogni giorno ogni notte il coraggio verrà...

 

E sarei davvero più forte, sarei più coraggioso. Riacciufferei quanto ho perso nel cammino.

Anche Emilio, ora. Emilio che scorgo mentre si gira verso Odoardo e gli sorride, una buona volta. E che si permette anche una frase lieve, che sa di amicizia. 


La prossima volta nei Caraibi? C’è un certo corsaro nero che merita di conoscere…
 

Li saluterò per l’ultima volta, libero da ogni rimpianto. Poi forse, girandomi per tornare a casa, mi tornerà in mente una di quelle vecchie illustrazioni, con Sandokan sul ponte della nave abbracciato a una giovane principessa malese.
 

E l’ aurora ci trovò sul ponte del praho, pallidi e commossi, recitava la didascalia.
 

A guardare per bene quel Sandokan superbo era proprio lui.
 

Era Emilio. Era Odoardo. Ero io. 

(da Paolo Ciampi, I due viaggiatori, Mauro Pagliai editore)

venerdì 4 maggio 2012

I Caraibi con i versi di Omero e Dante

E' uno dei più grandi poeti viventi, premio Nobel per la letteratura 1992, viene da una periferia del mondo, anche se una periferia di mari cristallini e spiagge bianche, dove i nuovi villaggi turistici congiurano a far dimenticare le baracche di sempre.

E' di St. Lucia, isola dei Caraibi, il grande Derek Walcott, e nel suo sangue circola il sangue degli schiavi. La sua lingua - la lingua della sua poesia - è l'inglese: parole dei vecchi coloni bianchi per versi che hanno la forza del riscatto.

E' questo il mondo di Derek Walcott: i Caraibi, con le loro bellezze mozzafiato e le sconvolgenti sofferenze. Però provate a interrogarlo sui debiti della poesia del suo mondo, come ha fatto recentemente Paolo Bertinetti, per Tuttolibri:


Anche se siamo caraibici, per quanto riguarda la poesia Omero e Dante sono i nostri antenati, i nostri veri antenati.

Non so se noi europei riusciremmo mai a dire qualcosa del genere, e forse non importa. E non credo che sia cosa solo di Derek Walcott,cioé di chi, con Omeros, ci ha regalato una rivisitazione dei poemi omerici filtrata attraverso le luci e i suoni dei Tropici (scrivendola per di più nelle terzine che furono di Dante).

Vero, Walcott e Walcott. Però è bello pensare a una radice comune, a un tesoro di bellezza che è di tutti, che importano le lingue e le latitudini.

lunedì 18 luglio 2011

Se il Corsaro Nero è la possibilità di ricominciare

Corsaro Nero o Sandokan? Personalmente non ho mai avuto dubbi, tra i due grandi personaggi di Emilio Salgari:  il Corsaro Nero. Lui e il mare dei Caraibi, con  i galeoni e i filibustieri. L'isola della Tortuga per ripararsi e una Maracaibo da espugnare sempre nella testa. Ma soprattutto lui, il Corsaro Nero, il nobile diventato corsaro, l'eroe pallido e malinconico, l'uomo perseguitato dai suoi fantasmi, dilaniato tra l'onore e l'amore, divorato da una febbre di vendetta che ha per bersaglio più se stesso che il nemico dichiarato.

La sua dannazione: innamorarsi della figlia dell'uomo che si vuole morto. Abbandonare quella donna, annegare nel senso di colpa, infine ritrovarla.

Devo a Felice Pozzo (Il Corsaro Nero, Franco Angeli, coautori Pino Boero e Walter Fochesato), grande studioso del grande Emilio, la possibilità di ritornare allo straordinario epilogo di tutta questa storia, che non è solo di cappa e spada.

Una notte dei tropici, la luna che proietta raggi azzurri, l'aria tiepida e profumata.

Lui la prende per mano dicendo  'Bisogna che veda il mare'  poi le cinge la vita e si incamminano.

Pensare che per il Corsaro Nero il mare finora è stata la tomba dei fratelli per cui ha giurato vendetta. Luccica quel mare, come se riflettesse le anime dei morti ammazzati.

Il giorno dopo i compagni del Corsaro troveranno sulla sabbia la spada del Corsaro. A riva manca una scialuppa.

Se ne sono andati, in silenzio. Il mare non è più vendetta, è libertà. Possibilità di ricominciare.

giovedì 14 luglio 2011

Era Emilio. Ero Odoardo. Ero io


(Da I due viaggiatori, Mauro Pagliai editore)

Vorrei assistere davvero alla loro partenza. Vedere una nave che stacca gli ormeggi e abbandona quella nostalgia di pietra che è il molo, come diceva il grande Fernando Pessoa. Vorrei osservarli bene mentre dal ponte osservano tutti noi farsi più piccoli, interrogandosi su quanto si stanno lasciando indietro: forse altre persone che misteriosamente erano anche loro stessi, prima.
 

E già che ci sono vorrei che con loro ci fossero anche altri amici che mi hanno tenuto compagnia.
 

Magari Tex che in qualche modo ho sempre considerato l’altro fratellino di Sandokan, benché porti la stella dei rangers, non la lama del pirata. E perché no, anche Corto Maltese, il marinaio, l’avventuriero irrequieto di quell’altro sognatore praticante che è stato Hugo Pratt.
 

Per tutti loro mi rifarei di nuovo ragazzino orgoglioso di cantare a squarciagola la sigla di uno sceneggiato.
Scorre il sangue... nelle vene
Forte vento... nella notte calda si alzerà!
Sandokan! Sandokan!
Giallo il sole la forza mi dà
Sandokan! Sandokan!
dammi forza ogni giorno ogni notte il coraggio verrà...

E sarei davvero più forte, sarei più coraggioso. Riacciufferei quanto ho perso nel cammino.

Anche Emilio, ora. Emilio che scorgo mentre si gira verso Odoardo e gli sorride, una buona volta. E che si permette anche una frase lieve, che sa di amicizia. 


La prossima volta nei Caraibi? C’è un certo corsaro nero che merita di conoscere…
 

Li saluterò per l’ultima volta, libero da ogni rimpianto. Poi forse, girandomi per tornare a casa, mi tornerà in mente una di quelle vecchie illustrazioni, con Sandokan sul ponte della nave abbracciato a una giovane principessa malese.
 

E l’ aurora ci trovò sul ponte del praho, pallidi e commossi, recitava la didascalia.
 

A guardare per bene quel Sandokan superbo era proprio lui.
 

Era Emilio. Era Odoardo. Ero io.

venerdì 10 settembre 2010

Una cosa divertente che non farò mai più

E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell'aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull'aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato.
Ho visto spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo. Ho visto in completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l'olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato "Mister" in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l'Electric Slide.


Comincia così Una cosa divertente che non farò mai più (Minimun Fax) di David Foster Wallace, osannato e rimpianto talento della letteratura americana, che il New York Times ha chiamato un Emile Zola post-millennio e qualcun'altro ha salutato come la mente migliore della sua generazione, aggiungendo paragoni scomodi e tutto sommato non necessari con autori come Thomas Pynchon, Vladimir Nabokov, Jorge Luis Borges.

E allora metto le mani avanti: non sono un grandissimo conoscitore di David Foster Wallace e in genere della più recente letteratura americana, quindi il mio può essere anche l'entusiasmo del neofita. Mi dicono anche che questo libro appartiene al Wallace "minore" (ma cosa vuol dire?) rispetto ad altre sue opere.

Sarà, e sarà anche che per quanto mi riguarda trovo congeniale il reportage narrativo piuttosto che la fiction pura. In ogni caso questo libro me lo tengo stretto come un gioiello.

Sette giorni e sette notti di crociera di lusso nei Caraibi raccontati da un grandissimo. Crociera tutto compreso, ma anche tutto sviscerato, anatomizzato, inchiodato e tagliuzzato da parole affilate come bisturi, da parole sulfuree, irriverenti, grottesche, divertenti, sconsolate, parole che ci aiutano a capire come la nostra civiltà sta proprio affondando - anche in una crociera di lusso.

Parole che allo stesso tempo ci sono preziose come ciambelle per aggrapparsi in mare aperto.

Lettura per riflettere, fosse solo per sviscerare i misteri del Sorriso Professionale. Lettura obbligatoria, e preventiva, per chi accarezza il sogno di una crociera che tutto promette come uno spot lungo una settimana.

domenica 5 settembre 2010

La vita tranquilla di Salgari, capitano mancato

No, io non ero nato né per imitare il mestiere di mio padre, né per condurre una vita tranquilla, troppo tranquilla

Ancora una volta sono tornato a leggere le lettere e le note autobiografiche di Emilio Salgari, uno scrittore, ormai lo dovreste sapere, che per me è stato assai più di uno scrittore, perchè a lui devo i miei sogni di ragazzino, i primi e più emozionanti viaggi della mia vita di esploratore di carta.

E come ti si stringe il cuore, ad andare oltre i romanzi per cogliere la storia della sua vita. Non che la sua sia stata una vita tranquilla. Però non è stata comunque la vita sognata, quella in cui avrebbe dovuto essere un capitano di lungo corso, un esploratore, un avventuriero.

Lui che scriveva:

Fin dalla più tenere età io avevo una passione bizzarra incomprensibile, cioé quella di farmi marinaio, di avere un giorno una nave da comandare, un equipaggio sotto di me, di scorrere gli ampii mari in cerca di avevnture, di burrasche, di vere emozioni

Le uniche emozioni invece furono quelle vissute sulla carta. Però ci credeva: questo era il suo dono e la sua condanna.

E lo so che ha ragione Silvino Gonzato, autore di una delle più belle biografie dedicate a Emilio:


Era uno di quei predestinati all’errare randagio nell’universo senza limiti della fantasia, che per lui cominciava là dove l’Adige, sboccando nel mare, incontrava i pantani coperti di crema vegetale della Malesia, le tempestose acque dello Stretto di Bering, le placide lagune dei Caraibi, e le navi condotte da capitani coraggiosi che continuavano a battere gli oceani con l’unica preoccupazione di fermarsi una volta l’anno per raccontare le loro avventure

Ha ragione, perché se nella vita di Emilio non risultano scorribande a cavallo, assalti lancia in resta, glorie di ussari e cavalieri, questo è solo quello che si dice noi: bene o male è come se ci siano state.

martedì 27 luglio 2010

Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?

Ti ricordi di me?
Mi vedi?
Ero la cosa peggiore che ci si possa immaginare. Ero normale.
Ero quasi invisibile, vero?
E forse ero la persona più felice che tu potresti aver incontrato



Mattias è fatto così, è una persona che si è sempre tenuto lontano dalla luce dei riflettori. Gli piace essere invisibile, comunque non arrivare mai primo. Ci sono persone così al mondo. Sono strane, in un mondo dove l'importante è vincere, non partecipare, ma ci sono. Sono strane perchè pretendono di essere normali e lo sono.

Mattias da ragazzino era uno di quelli che non si siedono al primo banco, non alzano la mano per primi, non trovano mai le parole giuste per attaccar discorso con la compagna di classe che gli piace. Quando ha scoperto di avere una straordinaria predisposizione per il canto non ha cominciato a sgomitare per guadagnarsi un posto al sole.

Da sempre fantastica sulle avventure spaziali, ma il suo eroe non è Neil Armstrong, il "primo" uomo sulla luna, è Buzz Aldrin, il "secondo" uomo sulla luna, quello di cui nessuno si ricorda, e che, per inciso, era il più esperto e capace tra i due. Mattias guarda la luna ma sa farsi bastare un pò di terra per il suo lavoro di giardiniere.

Non è un libro sulla luna, Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? (Iperborea) di Johan Harstad, giovane autore norvegese. O forse lo è, anche se tiene i piedi ben piantati sulle terre dei mari del grande Nord. Lo è perchè bisogna sempre andare lontano per ritrovare se stessi, e questo è il viaggio che racconta Harstad, il viaggio più difficile.

Norvegia e poi le Faroe, isole distanti da tutto, sferzate dal vento e dal mare. Perdersi e poi ritrovarsi. La difficile battaglia della solitudine per investire in autenticità e poi riscoprire i legami.

Non tutti hanno bisogno del mondo intero.
Io volevo solo stare in pace


E un nuovo inizio che forse avrà il colore di altri mari, il calore dei Caraibi. Prima inseguiti leggendo e rileggendo una guida fino a consumarla, poi possibilità, vita che svolta, capitolo che comincia. Imbarcazione che lascia il suo molo:


Le Faroe erano ridotte a una parentesi nell'oceano e noi eravamo scomparsi

E fai fatica a scioglierti da questo viaggio di 450 pagine e accettare la separazione. E magari vorresti gettarti in acqua e raggiungere Mattias e i suoi amici, nemmeno ti sentissi già in colpa per non essere partito con loro.

Ps: Consiglio su consiglio, questo è un libro che metto idealmente accanto a un altro di qualche anno fa, altra scoperta, libro per me davvero necessario. La scoperta della lentezza di Sten Nadolny. Altra storia di anomala normalità o di normale anomalia, di saggezza che procede per la tangente, di vittorie che rovesciano il buon senso e le attese.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...