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domenica 26 agosto 2018

Vale la pena, quel nome in copertina?

In effetti, se sei qui devo dedurre che non avrò mai successo come scrittore.

Domanda, fatta col senno di poi: è questo che desideravi? O meglio ancora, con l'ineffabile crudeltà di chi gode a rigirare il coltello nella piaga: ne valeva davvero la pena?

Quante altre domande, altrettanto impietose, ci sarebbero. Però mi fermo qui. Tanto è solo per dire che è un gioco maledettamente serio quello che ci propone Marco Visinoni con Il caso letterario dell'anno, prima notevole uscita della collana Senza rotta che Marino Magliani cura per la casa editrice Arkadia. Maledettamente serio, malgrado l'inventiva della trama e l'immaginario pop, l'overdose di ironia e le volte che non sai se indugiare per goderti la scena o se proseguire per vedere come andrà a finire. 

Maledettamente serio: e forse proprio per tutto questo.

Da una parte ecco lo scrittore - o l'ex scrittore - da giovane (o da quasi giovane),  che trascina le sue giornate più o meno come un universitario fuori sede e fuori corso, storie di bar e di letto, una casa che è un disastro e i conti che non tornano più. Qualcosa cova sotto la cenere, ma non c'è più fiamma, tanto vale mantenersi vendendo buone idee per libri di altri.

Dall'altra parte ecco il suo io futuro che un giorno bussa alla porta e dal futuro porta qualcosa che potrà cambiare il suo presente: e quindi anche lo stesso futuro. I biglietti per vincere alla lotteria, per esempio, ma con essi anche la possibilità di mettere il proprio nome e cognome sul caso letterario dell'anno. 

Tante saranno le cose che succederanno e non sarò certo io a raccontarvele. Però è da quando ho terminato questo libro che mi gira per la testa l'idea della macchina del tempo, messa in movimento non per scoprire altre epoche e altri mondi ma per ritrovare la nostra vita e cambiarla. Ci penso e penso al mio io futuro che bussa alla porta e mi cambia le carte in tavola: ipotesi inquietante, persino se le nuove carte fossero migliori.

Un best-seller per esempio, il tappeto rosso della fama letteraria, con un bel conto in banca per di più. Assai più di uno specchietto per le allodole. Però poi quella macchina del tempo mi sembra come un'astronave capace di cogliere con un solo colpo d'occhio la vita intera, tutta la vita che ci è data.

E allora sì che c'è quella domanda - e le altre che ne discendono. Mica solo perché siamo in tempi in cui si legge poco ma tutti smaniano di essere pubblicati. Non è solo questione di vanity press, come la chiamano gli inglesi. Piuttosto, conta davvero quel nome e cognome in copertina?

ps: di questo ottimo libro dovrei dire molte altre cose, per esempio che dentro c'è un viaggio in Islanda. Dimostrazione, tra l'altro, che Visinoni non viaggia solo nel tempo, viaggia anche nel nostro mondo: e che dentro il nostro mondo sa raccontare altri mondi. 

venerdì 17 marzo 2017

Il viaggio come arte di perdere tempo

Per me, viaggiare è fermarsi. Fare una pausa oziosa tra la tappa appena raggiunta e quella successiva.

Ma che regalo, è concedersi tempo, tanto tempo, per godersi l'ultimo libro che ci propone Ediciclo con la sua collana Piccola filosofia di viaggio. Ho ancora nel cuore l'emozione di altri titoli - per dire, La voce delle case abbandonate di Mario Ferraguti oppure La vocazione di perdersi di Franco Michieli - ma ora ho fatto in modo che a lungo mi tenesse compagnia L'arte di perdere tempo di Patrick Manoukian.

E' un libro che parla di viaggio senza parlare di mete e itinerari, ma di pause e di imprevisti. E io l'ho letto come Manoukian viaggia: perdendo tempo, che in realtà spesso è un modo di guadagnarlo; fermandomi e lasciando vagare il pensiero; incontrando altri pensieri che non avevo messo in conto.

Dev'essere un tipo particolare, Manoukian, viaggiatore a oltranza, giornalista free lance, autore di romanzi polizieschi e libri per ragazzi, figlio della generazione che negli anni Sessanta faceva l'autostop e fuggiva da molte cose.
A 20 anni, mentre lavorava come lavapiatti in un ristorante di Long Island, sentì parlare di un concerto che doveva tenersi in una certa Woodstock. Per raggiungerla fece 4 mila chilometri fino a San Francisco, solo per capire che Woodstock non era sulla West Coast, ma piuttosto vicino ai luoghi da cui era partito. Un chirurgo lo fece salire in macchina, gli diede ospitalità per la notte, poi insieme alla famiglia partì a sua volta e per qualche giorno gli lasciò casa e auto.

Quelli erano i tempi e Manoukian iniziò a capire che nei viaggi, davvero, non conta dove arrivi, ma come ci arrivi. Conta cosa c'è in mezzo.

Il viaggio è movimento, ma il viaggio vive dei momenti in cui ci si ferma. Sembra un paradosso, ma non vale così anche per la musica? Ci vogliono i silenzi, perché le note si facciano musica.

Il fatto è che siamo sempre portati a considerare il viaggio come qualcosa che succede nello spazio. Invece è in primo luogo qualcosa fatto di tempo: del resto non siamo anche noi soprattutto tempo?

Allora provate a sostituire il tempo allo spazio. Vedrete quante cose cambiano: il viaggio diventa ritmo, diventa dondolio di altalena tra la voglia di partire e quella di fermarsi, diventa sofà su cui è bello abbandonarsi per guardare il mondo.

Forse sotto sotto anch'io già la pensavo così. Avevo bisogno delle parole giuste - quelle di Manoukian - per crederci davvero.







sabato 11 giugno 2016

Annie Ernaux, per salvare il tempo in cui non saremo mai più

Salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più.

Questo è il tempo, questo fa il tempo. Col tempo svaniranno le nostre immagini, le foto che custodiamo gelosamente nei nostri album, le foto con cui siamo finiti negli album degli altri, svaniranno come stanno svanendo, come sono svanite, le foto dei nostri genitori, dei nostri nonni.

Questo è il tempo, questo fa il tempo. Col tempo si annienteranno le parole con cui abbiamo nominato le cose, le persone, le azioni e i sentimenti, le parole con cui cui abbiamo provato a dare un senso, se non un ordine, al mondo.

Questo è il tempo, questo fa il tempo. Però poi ci sono altre parole, che il tempo lo riescono a raccontare. Certo non lo fermano il tempo, però sono come acqua nel grande fiume. Fanno in modo che anche noi si sia acqua che discende e va verso il mare. Senza sofferenza, senza nemmeno eccessi di nostalgia.

Parole come queste. Parole di un libro che considero un capolavoro: Gli anni di Annie Ernaux (L'Orma editore).  Parole, pagine in cui mi son tuffato. Poi la corrente mi ha portato via dolcemente per consegnarmi all'ultima riga. Questa, appunto:

Salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più.

Libro che non so nemmeno definire, come succede con i libri più grandi. Libro che non è né autobiografia né saggio né cronaca collettiva, ma qualcosa di tutto questo e altro ancora. Certo straordinariamente capace di amalgamare in un'unica narrazione i fatti della vita privata e i fatti della storia. Di alternare la terza persona singolare alla prima persona plurale (mai la prima persona singolare): e anche questo qualcosa vorrà dire.

Libro che è semplicemente la vita. La mia stessa vita, anche se non sono una donna, non sono francese e ho qualche anno in meno. La mia vita, quale vorrei raccontare. Sicuro dello stesso epilogo:

Sarà il silenzio, e nessuna parola per dirlo, Dalla bocca aperta non uscirà nulla. Né io né me. La lingua continuerà a mettere il mondo in parole.

Sicuro di questo epilogo, ma senza rimpianto.




domenica 27 settembre 2015

Quella strana nostalgia per il tempo della tragedia

E' questo stesso assurdo struggimento che ci coglie - confessiamolo - quando pensiamo alla Resistenza. Noi, nati e cresciuti decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel periodo più pacifico e prospero che l'Europa occidentale abbia conosciuto, noi figli del pezzetto d'umanità più protetto, agiato e longevo che abbia mai calcato la faccia della Terra, proprio noi arriviamo a provare nostalgia per quella stagione tragica, per quella lotta formidabile ma terribile che non abbiamo vissuto.

E' indubbiamente un pensiero frivolo, forse addirittura una mancanza di rispetto verso il dolore altrui ma è il pensiero di chi ha vissuto esistenze oziose, è l'abbaglio che ci rappresenta, in cui si specchia il nostro perfido benessere, e con questo dobbiamo fare i conti....

Noi che non abbiamo nessuna vittima da rimpiangere e nessuna esperienza della guerra, noi concepiamo lo sproposito che quello - quello delle persecuzioni, delle ribellioni, dei milioni di morti e della lotta contro un nemico mortale - quello avrebbe potuto essere il tempo migliore della nostra vita. 

(Antonio Scurati, Il tempo migliore della nostra vita, Bompiani)

venerdì 12 giugno 2015

Un sentiero non si realizza da soli


Il patto tra scrittura e cammino, afferma Robert MacFarlane, è tanto antico quanto la letteratura stessa: una passeggiata può facilmente diventare una storia e non c'è sentiero che non abbia qualcosa da raccontare.

E che non sia solo una affermazione in linea teorica è lui stesso a dimostrarcelo, in uno dei libri più affascinanti che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi. Le antiche vie, questo è il titolo (Einaudi), è un incredibile concentrato di storia e di poesia, un racconto che allarga il cuore e ti spinge al cammino per le strade che nei secoli gli uomini hanno percorso. Ognuno lasciando le sue impronte, come fanno tutti gli animali. Impronte che proprio grazie a questo libro si può provare  a scorgere.

Non ci avevo mai pensato: sono quelle impronte che poi fanno un sentiero, non il contrario. Il sentiero è consuetudine, è creazione consensuale, è il passo dopo passo di molti. Un sentiero non si realizza da soli.

Il sentiero è tempo ed è questo tempo che, tra le altre cose, questo magnifico libro ci aiuta a vedere nel nostro cammino.

I sentieri e i loro segni mi attirano da sempre: catturano il mio sguardo e lo tengono avvinto.

Così afferma Robert MacFarlane, spiegando che il cammino seduce l'occhio ma anche la fantasia. Che forse è l'occhio del cuore: quello che ci aiuta a ripopolare le antiche vie di storie e di anime. 

lunedì 28 luglio 2014

Vivere il tempo al tempo dello zapping digitale

Forse sto cambiando anch'io, allo stesso modo di chi, fino a qualche tempo fa, trattavo con una certa sufficienza. Io, la persona che aveva sempre tre o quattro libri in lettura contemporaneamente. Uno per la colazione, uno da portarsi in giro tutto il giorno, un altro paio per la buona notte.

Parole scritte per il tè coi biscotti e parole scritte per i minuti alla fermata del bus. Parole scritte per stare a casa e parole scritte per viaggiare.

Ora sempre più spesso acquisto libri destinati a ingrossare le pile delle letture in attesa, come le chiamo con un pizzico di consapevole ipocrisia. Ospiti garbati, i libri. Sistemati sul ripiano della credenza, accanto al vassoio della frutta, aspettano in silenzio il loro turno. Magari non arriverà mai.

Piuttosto sempre più spesso metto via un libro, accendo il computer, mi collego al mio profilo su Facebook e posto la prima cosa che mi viene in mente. Notizie, curiosità, citazioni, battute, saluti. Oppure plano su Twitter, incantato dal suo ritmo, dalla velocità con cui scorrono le sue righe, altrettante finestre sul mondo.

 È come salire su un tappeto volante e lasciarsi portare via.  Il mio zapping digitale: dopo la tv il mondo incantato del Web 2.0.

Vero, sto cambiando anch'io, non solo il mondo. E solo di tanto in tanto avverto il tarlo del dubbio.

L'altro giorno ci ho riflettuto un po' di più. Non è quello che faccio, mi sono detto. In realtà ciò che conta, ciò che sta davvero cambiando, è  il mio sentimento del tempo.

Ed è questo che mi sembra di aver capito: queste immagini, queste parole che scorrono sugli schermi, che circondano la mia vita, mi illudono di vivere il mio tempo. Ma non è questo, vivere il tempo, così come non è nuotare abbandonarsi alla corrente di un fiume.

Non è una successione di istanti ancorati a un eterno presente, il tempo. Ha bisogno di profondità, ha bisogno di spessore, il tempo.

lunedì 21 luglio 2014

I libri non sono lunghi, sono larghi

Quando tutto quanto fa spettacolo, noi siamo gli spettatori. Sempre più passivi e annoiati, sempre più affamati di emozioni nei confronti delle quali siamo sempre più impermeabili. Lo stesso meccanismo delle dipendenze – tabacco o scommesse non fa la differenza. Lo stesso vuoto dei ragazzi del muretto.

A volte quando ci penso, lascio risuonare dentro di me le parole che furono di un grande poeta, Paul Valéry:

Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta.

Ancora il presente, insomma, con i suoi problemi nei confronti del passato e del futuro. Ancora il tempo.
Solo che dove fin qui ho scritto tempo, ora vorrei cancellare e tracciare la  parola cultura.

È come il tempo, la cultura. Non è un flusso di messaggi che arrivano e scivolano via, allo stesso modo degli aggiornamenti su Internet. Anzi, è tempo, la cultura.

Quando ci penso mi viene da guardare con affetto i miei ospiti silenziosi e pazienti, le letture in attesa. E con gratitudine, oltre che con affetto, accarezzo anche gli altri ospiti, i libri che un giorno mi hanno fatto compagnia. Anche loro se ne stanno pazienti – e anche un po' rassegnati - sugli scaffali.

Pensare che per qualcuno appartengono a un'altra epoca, come i vecchi giradischi e le cabine del telefono. Roba da collezionisti, o poco più. Che tristezza.

 Per fortuna a soccorrermi c'è sempre qualche citazione. Queste parole di Umberto Eco, per esempio:

Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta che li hai inventati non puoi fare di meglio.

O più bella ancora, questa di Giorgio Manganelli:
 
Nessun libro finisce; i libri non sono lunghi, sono larghi.

Ed è vero, mi piace pensarli così, queste invenzioni così singolari. Tanto strette da lasciarsi sistemare una accanto all'altro in libreria. Tanto larghe da abbracciare il presente, il futuro. Il tempo. La vita.

venerdì 23 maggio 2014

Seneca e il giusto valore al tempo

Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e sul tempo che fino a oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto: raccoglilo e fanne tesoro.

Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certo momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento.

Ma la cosa più vergognosa è perdere tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell'agire diversamente dal dovuto.

Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno?

(Seneca, Lettere a Lucilio)

sabato 11 gennaio 2014

Leggere non è una questione di tempo


Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.

La lettura non ha niente a che fare con l'organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l'amore, un modo di essere.

La questione non è di sapere se ho o non ho tempo per leggere (tempo che nessuno, d'altronde, mi darà), ma se mi concedo o no la gioia di essere lettore.

(Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli)

sabato 16 novembre 2013

Auden: che cosa spera il canto?



Che cosa spera il canto? E le mani mosse
poco lontane dagli uccelli, i timidi, i gioiosi?
              Di essere attonito e felice,
              o, più di tutto, conoscere la vita?


Ma i belli si accontantano delle acute note dell'aria;
basta il calore; Oh, se l'inverno davvero
             s'ostina, s eil fievole fiocco di neve,
             che mai farà l'augurio, che cosa la danza? 

(W. H. Auden, Orfeo, da Un altro tempo, edizioni Adelphi)

mercoledì 18 settembre 2013

Il dolce far nulla di Raymond Carver


Un attimo fa ho dato un'occhiata nella stanza
ed ecco quel che ho visto:
la mia sedia al suo posto, accanto alla finestra,
il libro appoggiato faccia in giù sul tavolo.
E sul davanzale, la sigaretta
lasciata accesa nel posacenere.
Lavativo!, mi urlava sempre dietro mio zio,
tanto tempo fa. Aveva proprio ragione.
Anche oggi, come ogni giorno,
ho messo da parte un po' di tempo
per fare un bel niente.

(Raymond Carver, Dolce far nulla)

lunedì 12 agosto 2013

In letteratura il tempo è perdere tempo

Nella vita pratica il tempo è una ricchezza di cui siamo avari; in letteratura, il tempo è una ricchezza di cui disporre con agio e distacco: non si tratta di arrivare prima a un traguardo stabilito; al contrario l'economia di tempo è una buona cosa perché più tempo risparmiamo, più tempo potremo perdere.

La rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s'accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all'altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte.

(da Italo Calvino, Lezioni americane, Oscar Mondadori)

venerdì 24 maggio 2013

Kafavis e quell'anziano al tavolino del caffè


Interno di caffè. Frastuono. A un tavolino
siede appartato un vecchio. È tutto chino,
con un giornale avanti a sé, nessuna compagnia.
E pensa, nella triste vecchiezza avvilita,
a quanto poco egli godé la vita
quando aveva bellezza, facondia, e vigoria.
Sa ch’è invecchiato molto: lo sente, lo vede.
Ma il tempo ch’era giovane lo crede
quasi ieri. Che spazio breve, che spazio breve.
Riflette. A come la Saggezza l’ha beffato.
Se n’era in tutto (che pazzia!) fidato:
«Domani. Hai tanto tempo » – la bugiarda diceva.
Gioie sacrificate… ogni slancio represso…
Ricorda. Ogni occasione persa, adesso
suona come uno scherno al suo senno demente.
Fra tante riflessioni, in quella pioggia
di memorie, è stordito il vecchio. Appoggia
il capo al tavolino del caffè… e s’addormenta.

(Costantinos Kafavis, Un vecchio)

lunedì 20 maggio 2013

Noi non siamo mancati al tempo


Il tempo ci è mancato
ma
noi non siamo mancati al tempo.

Il tempo si torce, si stende, si stira,
s'acciambella e chiude gli occhi.

Sazio, ci digerisce
e ci trascina nella sua notte.

(Pierre Maubé, pubblicato su Internazionale, traduzione di Francesca Spinelli)

domenica 21 aprile 2013

Perché i poeti lavorano di notte

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,         
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
(Alda Merini, I poeti lavorano di notte, dalla raccolta Destinati a morire)

sabato 13 aprile 2013

Il dolce far nulla di Raymond Carver


Un attimo fa ho dato un'occhiata nella stanza 
ed ecco quel che ho visto:
la mia sedia al suo posto, accanto alla finestra,
il libro appoggiato faccia in giù sul tavolo.
E sul davanzale, la sigaretta
lasciata accesa nel posacenere.
Lavativo!, mi urlava sempre dietro mio zio,
tanto tempo fa. Aveva proprio ragione. 
Anche oggi, come ogni giorno, ho messo da parte un po' di tempo 
per fare un bel niente.  

(Raymond Carver, Il dolce far nulla)

martedì 12 marzo 2013

Quando dico che vorrei risalire il corso del tempo

Questo intendo quando dico che vorrei risalire il corso del tempo: vorrei cancellare le conseguenze di certi avvenimenti e restaurare una condizione iniziale.

Ma ogni momento della mia vita porta con sé un'accumulazione di fatti nuovi e ognuno di questi fatti nuovi porta con sé le sue conseguenze, cosicché più cerco di tornare al momento zero da cui sono partito più me ne allontano.

Pur essendo tutti i miei atti intesi a cancellare conseguenze d'atti precedenti e riuscendo anche a ottenere risultati apprezzabili in questa cancellazione, devo però tener conto che ogni mia mossa per cancellare avvenimenti precedenti provoca una pioggia di nuovi avvenimenti che complicano la situazione peggio di prima e che dovrò cercare di cancellare a loro volta.

(da Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Einaudi)

mercoledì 12 dicembre 2012

Se uno dei più grandi smette di scrivere

Afferma Philip Roth, che è indubbiamente uno dei più grandi scrittori viventi al mondo:

Scrivere è avere torto tutto il tempo. Le nostre bozze raccontano la storia dei nostri fallimenti. Non ho più l'energia della frustrazione, non ho più la forza di affrontarla. Scrivere è frustrante: si passa il tempo a buttar giù parole sbagliate, frasi sbagliate, storie sbagliate.

Afferma Philip Roth, che da tre anni non sforna più un nuovo romanzo:

Ho dedicato la vita ai romanzi: li ho studiati, insegnati, ho scritto, letto. Escluso tutto il resto. E' molto! Non provo più quel fanatico attaccamento alla scrittura provato tutta la vita.

Afferma Philip Roth, che forse sa come investire meglio il suo tempo:

A 74 anni mi sono reso conto di non avere molto più tempo, allora ho deciso di rileggere i romanzi che ho amato a 20 e 30 anni, perché sono proprio quelli che non si rileggono mai.

Direi che non sono parole buone solo per uno dei più grandi. Direi che valgono per tutti noi, almeno per tutti coloro che in un momento della loro vita si sono fatti catturare dal piacere - e dalla vanità - della scrittura. Direi che sono parole che aiutano a riordinare le priorità della vita, del tempo. Che ci aiutano ad amare ancora di più i libri.


martedì 11 dicembre 2012

Il maestro di Delft che riuscì a fermare il tempo

Da un lato, ammiriamo il senso di autocontrollo e di padronanza di sé che le opere di Vermeer ci trasmettono, dall'altro, però, ci chiediamo se il maestro avesse qualcosa che teneva represso dentro di sé e che contribuì a scatenare la frenesia che 'lo portò, in poco più di un giorno, dalla salute alla morte'. 

Per alcuni aspetti, egli è come l'uomo mancante di alcuni dei suoi quadri, quello che è appena uscito dalla stanza o che è in procinto di arrivare. E' impaziente di essere trovato, di essere visto, ma nell'attesa dipinge la quiete.
 

Mentre torno alla Piazza del Mercato attraversando l'Oudemansteeg, il rintocco delle campane della Chiesa Nuova scandisce il tempo, riempiendo l'aria notturna. 

Il tempo passa, ruota  su se stesso e poi riprende a muoversi. Nessuno riuscirà a fermarlo, anche se talvolta sogniamo di poterlo fare.

 E Vermeer ci è riuscito come nessun altro.

(Anthony Bailey, Il maestro di Delft, Bur)

sabato 25 agosto 2012

Ma quanti discorsi sul tempo, in questo viaggio

Ma quanti discorsi sul tempo, in questo viaggio…

Sul mio tempo, sul tempo di Ernesto. Quanto ci penso. Temo di aver irrimediabilmente smarrito nel labirinto della memoria Ernesto a due anni, Ernesto a tre anni, Ernesto a quattro anni...

Come quando gli si sono spalancate le porte della prima elementare, un passaggio che presumo doloroso come un rito di iniziazione in una tribù dell’Amazzonia. Da allora in diversi si sono messi di buzzo buono per fare di quel frugoletto gioioso e caparbiamente indisciplinato un piccolo adulto, con quale scempio di fantasie e sogni, non so.

Il tempo corre, maledizione, un battito di ciglia e la nostra presunzione di eternità si dissolve.

Vorrei essere uno di quei giapponesi mezzo monaci e mezzo poeti per spiegarmi meglio.

Però il tempo non è solo tempo, è anche qualità del tempo. Capacità di assegnare priorità al tempo.

Rifletterci sopra mentre Ernesto è tutto assorbito dal suo diario è naturale come bere un bicchiere d’acqua. Naturale proprio ora che la luce filtra ancora dalla finestra senza persiane, come usa da queste parti, perché la luce non è da tenere fuori e sprecare.

Da sempre sono alle prese con la sensazione che il tempo sia agli sgoccioli, che il rubinetto possa chiudersi. Però stasera mi abbandono al verso del grande poeta libanese Khalil Gibran:

Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani.
 

E meraviglia, ora c’è anche Ernesto che si volta verso di me, nemmeno mi avesse letto nel pensiero. Che si volta e mi dice:

Sai babbo, ho scritto che oggi è stata una bella giornata.

(da Paolo Ciampi, Le nuvole del Baltico, Mauro Pagliai editore)

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...