E dunque, questo è un libro che sembra fatto apposta per coglierti di sorpresa. Fin dall'inizio, allorché si parla di una giovane donna che si rivolge in una clinica per abortire, mentre dall'esterno si sente il richiamo alla preghiera di una moschea. Ma come? Forse non si può fare di ogni erba un fascio, forse anche nell'Islam c'è paese e paese. Ma del resto siamo a Istanbul, paese sospeso tra l'Europa e l'Asia, tra la modernità in versione american way of life e una tradizione che affonda nelle storie e nei popoli del Mediterraneo. E per l'appunto questa è una storia che rimbalza tra il Bosforo e la California e che è opera di una scrittrice turca, che però come lingua ha scelto l'inglese... tanto per confondere le idee.
E per confonderle ancora di più: La bastarda di Istanbul di Elif Shafak - questo è il libro di cui vi parlo - sa trasportarci in una Turchia che non è quella di altri grandi scrittori come Orhan Pamuk (di cui mi manca però l'ultimo libro), la Turchia dei giannizzeri e dei pascià. Affonda nelle storie terribili del passato - in particolare nelle terribili vicende degli armeni - eppure lo fa con una leggerezza da romanzo ambientato nella Manhattan di Woody Allen. E questo senza rimuovere, senza nascondersi. Semplicemente sprigionando un'idea di futuro, attraverso la capacità delle persone di ritrovarsi e andare oltre i muri.
Ecco, è questa la storia che racconta Elif Shafak. La storia di due giovani donne, Armanoush, americana in cerca delle proprie radici armene, e Asya, ragazza turca. Due persone che tutto ha congiurato per dividere. E che invece riescono a diventare amiche e a scoprire il segreto che lega le loro famiglie.
Non dico più. Ma questo romanzo sa di buona medicina, in questi tempi di muri e di sangue.
E per confonderle ancora di più: La bastarda di Istanbul di Elif Shafak - questo è il libro di cui vi parlo - sa trasportarci in una Turchia che non è quella di altri grandi scrittori come Orhan Pamuk (di cui mi manca però l'ultimo libro), la Turchia dei giannizzeri e dei pascià. Affonda nelle storie terribili del passato - in particolare nelle terribili vicende degli armeni - eppure lo fa con una leggerezza da romanzo ambientato nella Manhattan di Woody Allen. E questo senza rimuovere, senza nascondersi. Semplicemente sprigionando un'idea di futuro, attraverso la capacità delle persone di ritrovarsi e andare oltre i muri.
Ecco, è questa la storia che racconta Elif Shafak. La storia di due giovani donne, Armanoush, americana in cerca delle proprie radici armene, e Asya, ragazza turca. Due persone che tutto ha congiurato per dividere. E che invece riescono a diventare amiche e a scoprire il segreto che lega le loro famiglie.
Non dico più. Ma questo romanzo sa di buona medicina, in questi tempi di muri e di sangue.
C'è il mondo prima che il mondo cambiasse, in questo libro. C'è tutta la vita che era così perchè arrivava da lontano passo dopo passo, senza che si potesse immaginare che tutto sarebbe stato cancellato come un segno sulla lavagna.
Via Nowolipie di Jòsef Hen, un titolo davvero scoperto per caso, se ben ricordo navigando senza meta sull'infinito mare di Internet. Ordinato senza nessuna aspettativa, e sì che la Giuntina è una di quelle case editrici da cui è sempre lecito aspettarsi belle sorprese.
Via Nowolipie, cioé gli ebrei dell'Europa orientale prima di Hitler e dello sterminio, prima dello tsunami che avrebbe spazzato via una storia di secoli e secoli. Un libro di vita vera, un mondo popolato di voci e mestieri. Storie, feste e funerali, piatti serviti a tavola, giorni segnati sul calendario.
Solo che non è l'ennesimo libro dedicato allo shetl, al piccolo villaggio ebraico piantato nelle grandi distese rurali dell'Europa che bussa alle porte dell'Asia. Qui siamo a Varsavia, nella grande città, nella capitale di una Polonia ancora non dilaniata dagli appetiti di russi e tedeschi.
Ed è un mondo raccontato con gli occhi di un bambino. Una via, un quartiere, la scuola. Ricordi in prima persona, in un impasto di emozioni a mezza strada, più o meno, tra I ragazzi della Via Pal e Il Giardino dei Finzi Contini - fosse solo per quelle ultime partite a tennis prima della guerra e di ogni altra cosa.