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martedì 22 dicembre 2015

Due giovani donne nell'Istanbul sospesa tra due mondi

E dunque, questo è un libro che sembra fatto apposta per coglierti di sorpresa. Fin dall'inizio, allorché si parla di una giovane donna che si rivolge in una clinica per abortire, mentre dall'esterno si sente il richiamo alla preghiera di una moschea. Ma come? Forse non si può fare di ogni erba un fascio, forse anche nell'Islam c'è paese e paese. Ma del resto siamo a Istanbul, paese sospeso tra l'Europa e l'Asia, tra la modernità in versione american way of life e una tradizione che affonda nelle storie e nei popoli del Mediterraneo. E per l'appunto questa è una storia che rimbalza tra il Bosforo e la California e che è opera di una scrittrice turca, che però come lingua ha scelto l'inglese... tanto per confondere le idee.

E per confonderle ancora di più: La bastarda di Istanbul di Elif Shafak - questo è il libro di cui vi parlo - sa trasportarci in una Turchia che non è quella di altri grandi scrittori come Orhan Pamuk (di cui mi manca però l'ultimo libro), la Turchia dei giannizzeri e dei pascià. Affonda nelle storie terribili del passato - in particolare nelle terribili vicende degli armeni - eppure lo fa con una leggerezza da romanzo ambientato nella Manhattan di Woody Allen. E questo senza rimuovere, senza nascondersi. Semplicemente sprigionando un'idea di futuro, attraverso la capacità delle persone di ritrovarsi e andare oltre i muri.

Ecco, è questa la storia che racconta Elif Shafak. La storia di due giovani donne, Armanoush, americana in cerca delle proprie radici armene, e Asya, ragazza turca. Due persone che tutto ha congiurato per dividere. E che invece riescono a diventare amiche e a scoprire il segreto che lega le loro famiglie.

Non dico più. Ma questo  romanzo sa di buona medicina, in questi tempi di muri e di sangue. 

martedì 8 settembre 2015

In cammino sulla Montagna Sacra

Che cosa ne sa di me questo luogo che neanch'io posso sapere di me stesso?

Forse è proprio questa domanda, tratta dalle pagine de Le antiche vie di Robert Macfarlane, quella che più delle altre dovrebbe girare per la testa quando si decide di varcare questo confine: un muretto di pietre come per delimitare un pascolo, ma che invece segna il passaggio tra sacro e profano. Di là l'Europa, i tempi moderni, la storia che è andata avanti con tutte le sue lacerazioni e le sue inquietudini. Di qua la Repubblica che nelle mappe del continente nemmeno si vede, il dito più orientale dela penisola Calcidica, una striscia di rocce dove la vita scorre più o meno come mille anni fa.

Benvenuti tra i monasteri ortodossi del monte Athos, questo mondo a parte governato dai monaci, dove pare che ancora Bisanzio non sia caduta e dove anche il tempo si misura diversamente che in Grecia, pochi chilometri più in là. Dove solo poche centinaia di pellegrini possono entrare ogni giorno e tra essi solo dieci che non siano ortodossi. Dove le donne non possono provare nemmeno ad avvicinarsi. Dove non ci sono alberghi e ristoranti, ma solo celle e refettori.

E' questo mondo a parte, di silenzio, preghiera, natura strepitosa, che Fabrizio Ardito ci racconta in Sul Monte Athos (Ediciclo), viaggio che ci porta lontano, più lontano che con un volo intercontinentale. Di monastero in monastero, in cammino fino alla cima di Aghion Oros, la Montagna sacra. Mulattiere a picco sul mare, monasteri dove niente è cambiato, liturgie incomprensibili e tramonti da togliere il fiato. Fino a quella vista, lassù, sopra quella piramide di pietra che sembra il tetto del mondo, la vetta che affonda nel blu dell'Egeo e che ci allarga lo sguardo fino all'Asia. All'Oriente e all'origine della nostra civiltà: ma forse ancora di più, forse fino a quel mistero per il quale non abbiamo risposta. 

lunedì 17 agosto 2015

Limonov, poeta e teppista nella Russia di Putin

E' stato poeta e teppista, maggiordomo e delinquente. E' passato dalle peggiori periferie dell'Unione Sovietica alla scena underground di New York, dai salotti francesi alle prigioni russe. Negli anni ha goduto di effimere fortune che ha fatto di tutto per rovinare. Nelle guerre dei Balcani si è schierato con il peggio, con quale consapevolezza non si sa. In Russia ha provato in ogni modo a sovvertire il nuovo che avanzava, inventandosi un partito nazionalbolscevico da far rabbrividire.

Ma si può raccontare davvero un uomo così? Risposta affermativa: sì, se sei Emmanuel Carrère, scrittore che sa cibarsi della verità della vita per tradurla in romanzi che non riesci a mollare.

E si può addirittura innamorarci, di un uomo così? Domanda più complessa, ma risposta ancora affermativa: sì, si può, e non solo grazie alla penna di Emmanuel Carrère, capace di donarci un personaggio da romanzo di altri tempi. Il fatto è che Limonov - questo il suo nome e allo stesso tempo il titolo del romanzo - è così vero che sembra fatto apposta per un romanzo. O al contrario così romanzesco che fa bene scoprire che abbia fatto irruzione nella vita vera e ci sia rimasto. 

 Limonov, concentrato di pensieri sbagliati, azioni deprecabili, eccessi di ogni tipo. Ma anche uomo che si è messo in gioco, con coraggio, pagando sulla sua pelle. Uomo di passioni e, bene o male, di visioni. E' caduto, si è alzato, è caduto di nuovo: grande soprattutto nelle sconfitte. Concentrato di vita, anzi, di vitalità. E anche di possibilità, quasi sempre sprecate.

Ha incrociato la storia, ha provato a non farsi trascinare. Nostalgico di un'Unione Sovietica a cui è sopravvissuto contro ogni pronostico: senza l'aura del dissidente, ma piuttosto con i segni del deliquentello di provincia. Hooligan ai tempi di Breznev, scrittore da scandalo in altri tempi - un suo titolo: Il poeta russo preferisce i grandi negri. Punk - o qualcosa del genere - nella Russia di Vladimir Putin - non a caso ha eletto a suo eroe uno come Johnny Rotten. Mistico - o qualcosa del genere - nelle steppe dell'Asia centrale o negli spazi angusti di una prigione.

Anna Politovskaja di lui aveva capito più degli altri. In fondo se lo era trovato a fianco, prima di essere fatta fuori, nelle battaglie dei pochi per dare diritto di pensiero e di opinione a tutti in una Russia ubriaca di facili ricchezze.

E noi, noi possiamo immergerci nella singolare grandezza di Limonov. Perdonargli ciò che possiamo perdonargli, come faremmo con un poeta di avangua
rdia o con un cantante punk che troppe volte ha camminato rasente alla morte.

Forse farselo addirittura amico.





martedì 23 luglio 2013

I pensieri che svaniscono appena in Asia

E' strano come i tetri pensieri svaniscono appena si mette piede in Asia.

Solo ieri eravamo ancora sballottati nel mare del pensiero europeo, con le sue ansie politiche, le sue miserie sociali e le sue irrequiete aspirazioni, eredità dell'instabile razza di Giapeto, mentre ora ci sembra di scivolare sull'acqua immobile dove possiamo riposarci e dimenticare e rendere grazie.

L'incanto dell'Est è l'assenza di riflessione intellettuale, è la libertà che la mente si prende dall'ansia di guardare avanti e dal dolore di guardare indietro.

Nessuno qui pensa al passato o al futuro, ma solo al presente, e fino al giorno della morte, credo che sia solo il presente a durare. 

(da Anne Blunt, A Pilgrimage to Nejd, 1881)

giovedì 11 luglio 2013

Sempre vi furono e sempre vi saranno le migrazioni

Gli anni passano, oggi come ieri, passa l'estate e le foglie cadono, e presto tutto verrà ricoperto dalla neve. Ma in primavera il Dnepr convoglierà di nuovo allegramente le sue acque, attraverso questa terra di morti, fino al mare, fra i canti e le danze dei vivi.

Gli anni si succederanno. Chi potrà contare gli uccelli migratori o i raggi del sole che si spostano da est a ovest, da nord a sud? Chi potrà pronosticare quali popoli migreranno, e dove, nei prossimi cento anni, così come ha migrato la nazione serba? Chi potrà contare i semi di frumento che germineranno nella prossima primavera in Europa, in Asia, in America, in Africa?

Tutte cose impossibili per la mente umana.

Là dove gli Isakovic e il Soldatenvolk serbo arrivavano portandosi dietro, come le chiocciole, la loro casa sulle spalle, non c'è più traccia di loro, tranne due o tre nomi di località.

Sempre vi furono e sempre vi saranno le migrazioni, così come vi saranno sempre le nascite a continuare la vita.

Le migrazioni esistono.

La morte non esiste!

(Milos Crnjanski, Migrazioni, Adelphi)

mercoledì 29 maggio 2013

I tetri pensieri che spariscono in Asia

E' strano come i tetri pensieri svaniscono appena si mette piede in Asia.

Solo ieri eravamo ancora sballottati nel mare del pensiero europeo, con le sue ansie politiche, le sue miserie sociali e le sue irrequiete aspirazioni, eredità dell'instabile razza di Giapeto, mentre ora ci sembra di scivolare sull'acqua immobile dove possiamo riposarci e dimenticare e renderne grazie.

L'incanto dell'Est è l'assenza di riflessione intellettuale, è la libertà che la mente si prende dall'ansia di guardare avanti e dal dolore di guardare indietro.

Nessuno qui pensa al passato o al futuro, ma solo al presente, e fino al giorno della morte, credo che sia solo il presente a durare.

(Lady Blunt, Un pellegrinaggio a Nejd, 1878)

mercoledì 25 luglio 2012

Davanti all'Atlantico con Marguerite Yourcenar

E quello che succedeva in Asia, quelle spaventose carneficine... non me ne sono accorta che molto più tardi. Ma non c'è un mattino, da tanti anni a questa parte, in cui, alzandomi, io non pensi prima di tutto allo stato del mondo per partecipare, condividere per un istante la sofferenza universale. Pure, a volte, nonostante questo, si riesce a essere felici, ma è un'altra specie di felicità

Diffido, in genere, dai libri intervista agli scrittori. E pensare che questo è anche piuttosto corposo, altro che pochi capitoletti giusto per fissare un cammino intellettuale, una visione del mondo o una giratina più o meno frettolosa nel laboratorio di scrittura di un autore.

Ma Ad occhi aperti -  volume, edito da Bompiani, che raccoglie le conversazioni di Matthieu Galey con Marguerite Yourcenar - è molto di più e ci restituisce pienamente il fascino, la complessità, la singolarità di questa scrittrice.

Conversazioni appunto. E sembra quasi di vederli, i due, nella veranda di Petite-Pleasance, la casa dell'isola dell'Atlantico, davanti alla costa del Maine, che la Yourcenar aveva scelto di abitare. Casa di silenzi, di gesti antichi come fare il pane in casa, di parole distillate dalle letture.

mercoledì 7 dicembre 2011

Tiziano Terzani e il poeta con i sandali

Ogni volta che ripenso a Tiziano Terzani e in particolare a Un indovino mi disse mi ritornano in mente alcune parole di Basho, un poeta giapponese che vagabondò senza requie, camminando con i suoi sottili sandali di paglia:

A mia volta sono stato tentato dal vento che sposta le nubi, colmo com’ero da tanto tempo dello stesso desiderio di errare anch’io

Ecco, in questo libro c'è tutta l'esperienza e il bisogno del viaggio, ben oltre le circostanze che hanno prodotto il viaggio di cui ci racconta Terzani (la profezia dell'indovino).

Il viaggio che non è mai turismo, che non è quasi mai fuga, che qualche volta può anche non coincidere con uno spostamento fisico, da un luogo all’altro.

Il viaggio che è vero viaggio solo se è anche maturazione, cambiamento, disseppellimento di quanto si cela nel nostro cuore e nella nostra testa.

C'è tutto questo - e naturalmente c'è tutto l'Oriente, c'è tutta l'Asia nel suo incanto e nei suoi drammatici cambiamenti - in questo libro che mi ha regalato emozioni rare e ancora me le regalo ogni volta che lo scorgo sullo scaffale della mia libreria.

giovedì 17 novembre 2011

E quello che succedeva in Asia, quelle spaventose carneficine... non me ne sono accorta che molto più tardi. Ma non c'è un mattino, da tanti anni a questa parte, in cui, alzandomi, io non pensi prima di tutto allo stato del mondo per partecipare, condividere per un istante la sofferenza universale. Pure, a volte, nonostante questo, si riesce a essere felici, ma è un'altra specie di felicità

Diffido, in genere, dai libri intervista agli scrittori. E pensare che questo è anche piuttosto corposo, altro che pochi capitoletti giusto per fissare un cammino intellettuale, una visione del mondo o una giratina più o meno frettolosa nel laboratorio di scrittura di un autore.

Ma Ad occhi aperti -  volume, edito da Bompiani, che raccoglie le conversazioni di Matthieu Galey con Marguerite Yourcenar - è molto di più e ci restituisce pienamente il fascino, la complessità, la singolarità di questa scrittrice.

Conversazioni appunto. E sembra quasi di vederli, i due, nella veranda di Petite-Pleasance, la casa dell'isola dell'Atlantico, davanti alla costa del Maine, che la Yourcenar aveva scelto di abitare. Casa di silenzi, di gesti antichi come fare il pane in casa, di parole distillate dalle letture.

Diceva la grande Marguerite:

Molti si raccontano meno di quanto non si ripetano

Certamente non è il suo caso. 

sabato 30 aprile 2011

Quel bambino che giocava a tennis a Varsavia


Ero un bambino di città fino alla punta dei capelli e in città, in mezzo a una foresta di palazzi, ritrovavo i luoghi di magici, quei posti segreti che fanno battere più forte il cuore, così come un bambino di campagna li trova nel buio di un bosco

C'è il mondo prima che il mondo cambiasse, in questo libro. C'è tutta la vita che era così perchè arrivava da lontano passo dopo passo, senza che si potesse immaginare che tutto sarebbe stato cancellato come un segno sulla lavagna.

Via Nowolipie di Jòsef Hen, un titolo davvero scoperto per caso, se ben ricordo navigando senza meta sull'infinito mare di Internet. Ordinato senza nessuna aspettativa, e sì che la Giuntina è una di quelle case editrici da cui è sempre lecito aspettarsi belle sorprese.

Via Nowolipie, cioé gli ebrei dell'Europa orientale prima di Hitler e dello sterminio, prima dello tsunami che avrebbe spazzato via una storia di secoli e secoli. Un libro di vita vera, un mondo popolato di voci e mestieri. Storie, feste e funerali, piatti serviti a tavola, giorni segnati sul calendario.

Solo che non è l'ennesimo libro dedicato allo shetl, al piccolo villaggio ebraico piantato nelle grandi distese rurali dell'Europa che bussa alle porte dell'Asia. Qui siamo a Varsavia, nella grande città, nella capitale di una Polonia ancora non dilaniata dagli appetiti di russi e tedeschi.

Ed è un mondo raccontato con gli occhi di un bambino. Una via, un quartiere, la scuola. Ricordi in prima persona, in un impasto di emozioni a mezza strada, più o meno, tra I ragazzi della Via Pal e Il Giardino dei Finzi Contini - fosse solo per quelle ultime partite a tennis prima della guerra e di ogni altra cosa.

venerdì 23 luglio 2010

Omero, il poeta cieco che è in noi

Lo diceva Victor Hugo:
Il mondo nasce, Omero canta. È l’uccello di questa aurora

Omero, dunque. O meglio, l’uomo che abbiamo imparato a chiamare Omero. L’antico greco che ci ha regalato i poemi con cui inizia la storia della nostra letteratura e forse della nostra bellezza. Il poeta cieco, che non aveva occhi per guardare, ma che proprio per questo sapeva guardare più lontano di chiunque altro e staccare dal suo silenzio parole che risuonavano a lungo nel cuore degli uomini.

Tutto questo è Omero: la grandezza dei versi dell’Iliade e dell’Odissea e, nel ricordo di molti di noi, il busto di un anziano dall’espressione saggia e solenne, e poi magari le traduzioni e gli studi dei tempi di scuola.

Penso spesso a lui, credo che si sia in diversi a farlo. Eppure, cosa si sa davvero di Omero?

Già nell’antichità si erano moltiplicate le biografie, le vite immaginarie, le leggende. E già allora non si contavano le città che si contendevano il vanto di avergli dato i natali, da Atene a Rodi, da Argo a Chio e Smirne. Città, per inciso, quasi tutte dell’Asia Minore, tanto per destarci il sospetto che la nostra poesia in effetti sia arrivata da lontano, dall’Oriente.

Qualcuno assicurava che Omero era nato pochi anni dopo la guerra di Troia, altri che era nato parecchio dopo. Anche sul significato del suo nome ci si accapigliava: discendeva da una parola con cui i greci si riferivano ai non vedenti o dalla parola che indicava, più misteriosamente, un ostaggio?

Ce n’è voluta per iniziare a convincersi che forse Omero non è mai esistito. Anzi, che non è mai esistito perché in realtà di Omero ce ne sono stati centinaia, migliaia.

Infiniti Omero prima di Omero che hanno raccontato di Achille e di Ettore, del re Agamennone e dell’astuto Ulisse. Infiniti poeti che hanno cantato nelle feste e nei banchetti, hanno improvvisato versi che poi sono passati di bocca in bocca, hanno tramandato la memoria delle gesta, delle imprese e delle miserie dei loro eroi.

Così la più grande poesia della nostra letteratura è nata dalla parola leggera, imprendibile, evanescente di tanti poeti senza volto e senza nome.

Ed è bello pensare a tutto questo e poi pensare ai nostri nonni e ai nostri bisnonni, alla nostra Toscana contadina dove si passava le sera a veglia alzandosi in piedi per una rima, per un’ottava improvvisata da chi non sapeva né leggere né scrivere. Credo che sia per questo che qualche tempo fa mi è venuto di scrivere Beatrice: un modo per provare a saldare qualche debito di gratitudine.

È bello pensare a tutto questo, perché permette a ognuno di noi di ritrovare il dono della parola. Perché aiuta ognuno di noi a sentirsi un po’ Omero.

Pensate, ognuno di noi come il grande poeta cieco.

giovedì 18 marzo 2010

Tiziano Terzani e la voglia di viaggio in Italia


Tiziano è morto nel 2004 e l'anno prima diceva ancora: “Se avessi tempo ora farei un viaggio per l'Italia”. Voleva prendere uno zainetto e andare a naso per l'Italia. In fondo quello che voleva era capire il proprio paese

Solo uno spunto tra i tanti che Angela Staude, moglie di Terzani, grande viaggiatrice e grande scrittrice lei stessa (cosa di cui spesso ci si dimentica), ieri sera ci ha regalato a Campi Bisenzio, ospite della bellissima rassegna Un mercoledì da scrittori. Solo uno spunto tra i tanti, appunto, e certo nemmeno il più importante, in due ore fitte fitte di domande e risposte che hanno toccato tanti e tanti temi, dallo spirito del viaggio al destino dell'Asia, dal significato del giornalismo oggi alle atrocità che l'uomo è sempre straordinariamente capace di commettere.

Però sono proprio queste le parole che mi hanno colpito di più e che mi hanno fatto riflettere tornando a casa. Proprio lui: Tiziano Terzani, l'uomo che con le sue parole ci ha scaraventato addosso l'orrore del genocidio di Pol Pot e l'irresistibile bellezza dei templi di Angkor (dimenticavo, Angela ieri era chiamata a presentare Fantasmi, il libro che raccoglie i reportage di Tiziano dalla Cambogia). Il reporter, l'inviato di guerra, l'uomo che viveva di distanze e cercava altri mondi: lui voleva raccontare il suo paese, l'Italia che non conosceva.

Sarebbe stato un grandissimo viaggio anche questo, ne sono convinto. Un viaggio animato dallo stesso spirito con cui Angela e Tiziano un giorno decisero di abbandonare l'Italia e di partire per l'Asia, sospinti dalla curiosità, da una bella domanda (“Possibile che ci sia un solo mondo?”), dalla voglia di vedere, trovare alternative, condividerle. Partire per un continente che i giornali occidentali sostanzialmente ignoravano, con due figli piccolissimi e senza un vero contratto in tasca. Partire in anni che ancora non conoscevano cellulari ed email, ma senza esitare, come fosse la più naturale delle decisioni.

Questi sono tempi che stimolano a visioni piuttosto deprimenti del mondo, ma ieri Angela ci ha procurato alcune iniezioni di fiducia.

Prima notizia: Ai tempi non era più facile prendere e partire, ancora oggi chi vuole può andare. Magari ci vuole un po' di fortuna, ma c'è sempre un mondo da esplorare

Seconda notizia: Ovunque troverete gli stessi alberghi, ma in genere è solo uno strato superficiale che è cambiato, nel profondo i paesi antichi cambiano molto più lentamente

Terza notizia, che dico a modo mio: per tutto questo non c'è bisogno di un volo intercontinentale, a volte bastano anche un treno regionale e uno sguardo diverso.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...