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lunedì 13 agosto 2018

Una casa a Damasco, luogo dell'anima malgrado tutto

Come aveva potuto un sogno trascinarmi nel mezzo di una guerra civile?

Diana Darke è un'esperta di cultura islamica a cui un giorno una casa editrice commissiona una guida sulla Siria. Evidentemente appartiene anche a quella categoria di inglesi che dopo aver completato i loro studi, per esempio a Oxford o a Cambridge, si sentono stretti nel loro paese e cedono al richiamo dell'altrove: e la cosa davvero interessante sarebbe capire perché a un certo punto diventi necessario un luogo piuttosto che un altro nel mondo intero.

Che cos'è che fa scegliere Diana Darke la Siria? Forse è quella strana sensazione di sentirsi davvero a casa che ha notato dal primo momento. Forse è la gentilezza  della gente, malgrado una tremenda dittatura. O forse il fascino dei magnifici palazzi ottomani, dimenticati dal tempo.

Fatto sta che che un giorno si lascia tentare da una porta socchiusa, varca la soglia, si lascia sorprendere dalla quiete di un cortile ornato di aranci, viti, buganvillea, indugia ad ascoltare l'acqua di una fontana di marmo: bahra, ovvero in arabo piccolo mare. E in quel momento non c'è solo una curiosità che si appaga, c'è anche un destino che chiama. A Damasco si sente a casa, ma farà in modo anche di possedere una casa.

Non sarà facile, tutto è così diverso e complicato rispetto all'Inghilterra. Però sarà la sua casa, la casa che sarà anche una dimensione interiore, un porto dell'anima. Un luogo di pace, proprio mentre la Siria sta precipitando nel terribile tunnel della guerra civile.

Anche questo è La mia casa a Damasco, pubblicato da Neri Pozza: un libro che raccontando la storia di una casa racconta un intero paese, meglio di un reportage giornalistico.

Non può essere un'oasi, una casa di Damasco, non può lasciare fuori i rumori delle bombe, le grida dei corpi straziati. E vai a sapere che ne è stato, dopo che questo libro è stato pubblicato. Ma che sia o no in piedi attraverso queste pagine, mi sembra, rimane comunque come una testimonianza di civiltà, una possibilità di futuro.

sabato 3 novembre 2012

Quella volta in un posto come l'Happy Bar

Accanto all'Happy Bar, giusto dietro l'angolo, qualche giorno fa una sala scommesse ha preso il posto di un barbiere d'altri tempi, che era lì almeno da quando in centro arrivavo a cavalluccio sulle spalle di mio padre. 

Già, non solo banche e immobiliari: anche le sale scommesse proliferano in questa città, sarà che rimane solo il gioco a cui aggrapparsi, dopo che le banche e le immobiliari, appunto, ti hanno spolpato.

Alle banche e alle immobiliari preferisco senz'altro le sale scommesse. Mi dispiace per quella bottega, con i suoi sedili in similpelle, l'odore di borotalco e di lozione, i calendari con le donnine accanto agli specchi, però questo posto non è male per la libera uscita del pomeriggio.

Ne approfitto ora, col seguente programma: due passi, caffeino, ancora due passi per sgranchirmi le gambe, quindi schedina scelta a caso tra i tanti concorsi che lo Stato-lotteria propone nella sua immensa benevolenza.

domenica 16 settembre 2012

Scommesse e tipini fini accanto all'Happy Bar

(da Paolo Ciampi, Di diverso parere, Romano editore.... che presenterò per la prima volta giovedì 20 settembre, ore 21, alla Nardini Bookstore di Firenze)


Accanto all'Happy Bar, giusto dietro l'angolo, qualche giorno fa una sala scommesse ha preso il posto di un barbiere d'altri tempi, che era lì almeno da quando in centro arrivavo a cavalluccio sulle spalle di mio padre.

Già, non solo banche e immobiliari: anche le sale scommesse proliferano in questa città, sarà che rimane solo il gioco a cui aggrapparsi, dopo che le banche e le immobiliari, appunto, ti hanno spolpato.

Alle banche e alle immobiliari preferisco senz'altro le sale scommesse. Mi dispiace per quella bottega, con i suoi sedili in similpelle, l'odore di borotalco e di lozione, i calendari con le donnine accanto agli specchi, però questo posto non è male per la libera uscita del pomeriggio.

Ne approfitto ora, col seguente programma: due passi, caffeino, ancora due passi per sgranchirmi le gambe, quindi schedina scelta a caso tra i tanti concorsi che lo Stato-lotteria propone nella sua immensa benevolenza.

Tento con cinque estrazioni del Win for Life. Già che ci sono azzardo anche con un Gratta e Vinci da tre euro. Mi piacevano più quelli di prima, più semplici, più popolari, mica come ora che sono così arzigogolati che c'è da preoccuparsi per un'imperdonabile distrazione, orrore, orrore, gettato via il tagliando milionario, orrore, come una perla ai porci, orrore, pensare che capita una sola volta nella vita, se capita...

Mi piacevano di più, ma fa lo stesso, lo prendo, mi cerco un angolino tutto per me, gratto e qualcosa in effetti vinco: venti euro, mica poco di questi tempi.

Bello bello passo all'incasso. Non so se si vede, ma sono senz'altro soddisfatto, più di quanto giustifichi l'entità della vincita. È una soddisfazione che non ha niente a che spartire con i numeri. Riguarda la qualità, la sensazione più unica che rara di stare per una volta dalla parte del vincitore.

Non capita mai, per cui questa volta ben volentieri allungo la mano sul banco.

Uno dei due proprietari dietro, giovincello tracagnotto che presumo non abbia studiato alla Bocconi, ghermisce il tagliando e non mi degna di un'occhiata. È tutto preso dalla sua discussione con un tipo al mio fianco, altro figurino da Oxford, o piuttosto da Cambridge, a scelta: «Ho mandato via ora tre cinesi, non mi garbavano, chiamo la polizia, gli ho detto, finite dentro in cinque minuti, gli ho detto»

E il figurino da Oxford, o piuttosto da Cambridge, a scelta: «Perché non bruciarli? Con quanti ce ne sono ci si riscalda una vita»

E ride, come la battuta più irresistibile da un pezzo a questa parte. Ride sganasciandosi il proprietario tracagnotto. Ridono sgangherati due vecchietti, finora tutti presi a compilare un sistema del Superenalotto.

Non ride solo il peruviano alla slot-machine, che la testa nemmeno la solleva, anzi, se possibile la spalma ancora di più alla macchinetta ingoia soldi, mentre infila altre monete.

Io me ne rimango fermo e zitto, rintanato nel silenzio dei conigli. Per non deprimermi provo a spacciarla per paralisi da sdegno, giuro a me stesso che qui dentro non rimetterò più piede, cascasse il mondo.

 Allungo il tagliando sul banco, incasso il ventino, giro i tacchi, esco.

Il lavoro mi aspetta, un lavoro di cui farei volentieri a meno.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...