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martedì 26 aprile 2011

Pessoa, il grande sedentario che sapeva viaggiare


La vigilia di non partire mai
almeno non ci sono valigie da fare


Non c'è solo Emilio Salgari, nel pantheon dei viaggiatori immaginari. Tra gli scrittori che ci hanno schiuso orizzonti rimanendo abbarbicati nello stesso luogo, quale fosse una condizione dell'anima, c'è anche lui, Fernando Pessoa, il portoghese dalla parola capace di dare forma all'inquietudine, al desiderio, al silenzio.

Viaggiatore dell'infinito. Grande sedentario. Poeta che seppe nascondersi dietro diversi altri nomi, poiché anche questo è un modo di essere altrove.

Ne parla Antonio Tabucchi, nel suo ultimo libro, Racconti con figure (Sellerio). Ricordando, per esempio, che l'unico vero viaggio della sua vita fu quello che lo riportò da Durban, in Sudafrica, a Lisbona, città da cui non si sarebbe più allontanato.

Scrive Tabucchi:


Altri sarebbero stati i suoi viaggi: eroici, visionari, furibondi viaggi di avventure e di scoperte, ma tutti immaginari

So di cosa sono fatti questi viaggi: impalpabili e autentici, come lo sono i moti dello spirito.

martedì 29 giugno 2010

Pessoa e quella nave che lascia il molo


Viaggiare? Per viaggiare basta esistere, diceva il grande Fernando Pessoa, uno che ha viaggiato più con la fantasia che con il suo corpo - pur trascorrendo un bel pezzo di vita in Sudafrica - ma che comunque conosceva bene i sentimenti che si associano al viaggio, dall'inquietudine alla sorpresa, dalla nostalgia alla possibilità di inventarsi sotto un altro nome, un'altra storia.

Il viaggio è anche distacco, concetto che richiama un movimento della mente e del cuore, ma che può essere anche tremendamente concreto. Il distacco di un aereo dalla pista, il distacco di una nave dal molo a cui era attraccata.

Un momento che non è propriamente quello dell'attraversamento della frontiera di cui ho parlato l'altro giorno. Un momento che può vivere proprio con alcune parole di Fernando Pessoa. Eccole.

Ah, ogni molo è una nostalgia di pietra!
E quando la nave salpa
e subito ci accorgiamo che s'è aperto uno spazio
tra il molo e la nave,
non so perché, mi coglie un'angoscia mai provata,
una nebbia di sentimenti di tristezza
che brilla al sole delle mie angosce rifiorite
come la prima finestra sulla quale riverbera l'alba,
e mi avvolge come il ricordo di un'altra persona
che fosse misteriosamente mia


(da Ode marittima)

sabato 5 giugno 2010

Azzurro tenebra, per l'Italia di ieri e di oggi



Prima o poi tu scriverai la nostra storia. Siamo gli ultimi romantici, anche se in brache corte. Se non la scrivi tu, addio

Così vaticinò (e in un certo senso implorò) il Vecio - leggi Enzo Bearzot - ad Arp - cioé a Giovanni Arpino. E la storia, come no, lui la raccontò. Con un libro come Azzurro tenebra,ristampato in queste settimane, un libro che è un gran bel libro, e che raccomando a tutti, perché non è necessario sapere qualcosa di nazionale italiana e persino di calcio, non è necessario nemmeno provare qualcosa di simile a un senso di partecipazione.

Giugno 1974, Mondiali in Germania. A sorpresa la nazionale azzurra dei campioni – solo per dare un'idea, l'Italia di Zoff, Facchetti, Mazzola, Rivera, Riva - viene eliminata al primo turno.

Un inviato speciale – in cui si può scorgere lo stesso Arpino, grande giornalista sportivo – segue i giorni della disfatta e li racconta. Racconta una sconfitta che la presunta dominatrice si portava dentro, a prescindere da quello che le avrebbe combinato una sorprendente squadra che arrivava dalla Polonia con i suoi nomi impronunciabili. Racconta di giocatori ombre di se stessi: Il solito pugno di uomini indecisi a tutto. Racconta di dirigenti pronti a spese faraoniche e preoccupati solo di sgomitare per un predellino al sole. Racconta di giornalisti equamente divisi tra Jene perennemente in tensione per lanciare lo scandalo, sfruttare l'episodietto maligno, lo spiraglio equivoco e Belle Gioie, ovvero giornalisti fiduciosi, patriottici, pronti a dar colpa agli avversari, all'arbitro, al cattivo tempo, alla malasorte, al demonio.

Da leggere, chi vuole anche per scaramanzia, alla vigilia dei Mondiali del Sudafrica. Ma da leggere soprattutto perchè è un grandissimo libro. Il vero unico grande romanzo sul calcio, sosteneva Gian Paolo Ormezzano.

E da leggere anche a dispetto di quanti ai tempi archiviarono quelle partite con un'alzata di spalle. Nient'altro che calcio? Nelle pagine di Arpino il fallimento calcistico è già la cartina tornasole di una crisi etica e politica.

E la parola finale va a un grande dello sport e a un saggio della vita come Dino Zoff, nella sua postfazione:

Un libro che parla di calcio ma non solo e non tanto di calcio. Per me è come una riflessione, attualissima, sulla vita morale delle persone, che siano giocatori o meno, E' un romanzo ambientato nel 1974 ma, per certi aspetti, sembra rispecchiare l'Italia di oggi. E qui devo aggiungere: purtroppo.

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