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venerdì 16 settembre 2016

Letteratura di evasione? Prendetela come un complimento (da Slb)

Letteratura di evasione? Chiamiamola pure così. E si evade davvero. Nella Londra medioevale, seguendo i passi di Fratello Athelstan, frate domenicano e segretario di Sir John Cranston, il coroner della città. 
I due protagonisti di Mistero alla Torre di Londra, il secondo del ciclo di Paul Harding dedicato ad Athelstan, seguono una lunga scia di delitti, iniziata molti anni prima nel Medio Oriente delle Crociate, e che tinge di sangue le mura già tetre della Torre di Londra. Il romanzo segue tutti i canoni del genere. Una trama ben congegnata, un gruppo di sospetti legati da una varietà di relazioni, indizi disseminati qua e là fra le pagine. Perfino un delitto in una stanza chiusa dall’interno, un classico della letteratura gialla. Difficile chiedere di più agli amanti del genere. E molto difficile staccarsi dalle pagine del libro una volta che ci s’immerge nella narrazione.
Accanto a Fratello Athelstan la vera protagonista del romanzo è la Londra del quattordicesimo secolo, crogiolo di affari, intrighi e violenza quotidiana. Paul Harding, dottorato in storia all'Università di Oxford, restituisce con grazia ed efficacia l’Inghilterra di Giovanni di Gand e Riccardo Plantageneto. Le sue differenze sociali, dalla ricchezza dei mercanti e dei nobili alla fame cronica della plebe. I suoi vicoli sordidi. La vita sul Tamigi. Le taverne con il vino speziato e i pasticci di carne. Gli impiccati ai crocicchi delle strade. Intanto Fratello Athelstan lavora con calma e metodo alla soluzione dei delitti.
Letteratura di evasione? Prendetelo come un complimento e immergetevi nella Londra di Fratello Athelstan.

sabato 10 ottobre 2015

Qui, al bordo di quello che sappiamo



La nostra conoscenza del mondo continua a crescere.

Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. 

Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del bordo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato. 

(Carlo Rovelli,  Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi) 

lunedì 11 aprile 2011

L'africano che al mistero diede del tu



E Agostino, il grande Agostino, il filosofo, il teologo, il maestro dello spirito, il vescovo di Ippona.


Agostino era africano. E già questo qualcosa lo dice. Comincia così il suo ritratto di Agostino la storica e scrittrice Silvia Ronchey, nel suo straordinario Il guscio della tartaruga (Nottetempo), galleria di vite più che vere ricostruite attraverso la trama delle loro citazioni.

Bello, davvero bello: uno sguardo sbilenco e curioso, la capacità di cogliere il corpo vivo, pulsante, sotto il guscio della tartaruga, appunto.

E Agostino, allora. Agostino che ebbe un'anima turbata e una prosa incantata. Che da ragazzo si imbestialì in amori diversi e tenebrosi. Che divenne un grande enigma a se stesso e prese a domandare alla sua anima perché fosse così triste.

Agostino che capì che la tristezza si consuma perché perde ciò che desidera nel momento in cui lo possiede. E che il piacere, dunque, non potrà mai scindersi dal suo contrario, il dispiacere, come due lati della stessa medaglia.

E forse fu proprio per questo che Agostino divenne Agostino, colui che oggi conosciamo o diciamo di conoscere.

Al mistero Agostino diede del tu

Lo cita Silvia Ronchey, che io cito, nello stesso libro in cui ci racconta di Charles Baudelaire.

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  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...