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giovedì 24 gennaio 2013

Se l'editoria-fai-da-te rischia di essere un vicolo cieco

Diciamo che può funzionare per qualcuno, ma che è meglio non farsi illusioni, per la stragrande maggioranza sarà più un vicolo cieco che una scorciatoia.

E' decisamente interessante il paginone centrale che, a firma di Stefania Parmeggiani, Repubblica ha dedicato all'editoria fai-da-te, o come sembra più nobile dire, al self-publishing. Fenomeno in crescita anche in Italia, col suo ampio esercito di autori di thriller, gialli, fantasy, romanzi erotici e quant'altro, ma dove certo non è tutto oro quello che luccica: tanto che mi pare di scorgere qualche sarcasmo nel titolo dell'articolo centrale, Best seller fatto in casa.

E dunque diciamo pure che l'Italia non è gli Stati Uniti, dove un'Amanda Hocking con il self-publishing ha guadagnato la bellezza di due milioni di dollari e  alcuni grandi autori hanno già abbandonato i loro editori, allettati da royalty del 70 per cento; e non è nemmeno la Spagna, dove pare che l'editore tradizionale abbia cominciato a pescare tra gli autori fai-da-te.

 Però se c'è chi ce la fa, anche negli altri paesi, la realtà complessiva è un'altra, come scrive Stefania Parmeggiani:

In America l'84 per cento degli autori si divide il 28 per cento dei download, il che significa che se un esordiente scendesse in strada cercando di vendere il libro fotocopiato ai passanti (più o meno quello che Moccia sostiene di avere fatto ai suoi esordi) guadagnerebbe di più.

O forse ciò che si chiede all'autore non è di essere un bravo autore, ma di fare ben altro, anche le cose che dovrebbe fare l'editore di cui, per scelta o per necessità, è privo: per esempio far conoscere il libro.

Perché è facile andare in rete, assai più difficile fare in modo che qualcuno se ne accorga. Forse più che a scrivere bisognerebbe essere bravi ad autopromuoversi sui social netowork e sui blog. Non so se mi piace.


lunedì 8 ottobre 2012

Se Roberto Saviano consacra l'autore sconosciuto

Che cosa può fare qualche parola di Roberto Saviano, perfino per rianimare il più che depresso mercato del libro....

Legge in tv qualche verso di Wislawa Szymborska, la poetessa polacca, e un nome impronunciabile diventa un best-seller. E si dirà, sempre di un premio Nobel comunque si tratta.

Però succede anche che nella sua rubrica su L'Espresso parla - e parla assai bene - di uno semisconosciuto autore romagnolo, Eugenio Baroncelli, a cui finora l'attenzione dei lettori non aveva fatto seguito agli indubbi meriti. Ed ecco che in pochi giorni i suoi titoli scalano le classifiche.

E dunque, sono contento per Baroncelli, di cui avevo già parlato. Lo stesso Espresso, con Maria Simonetti, nell'ultimo numero riflette su quanto è successo - titolo quasi obbligato, Mi manda Saviano - e così parla di Baroncelli:

L'hanno definito un eccentrico, uno sfacciatamente bravo, un raffinatissimo letterato, un maestro di erudizione appassionato di tassonomia, l'arte dell'erudizione. Certo non scrive per le masse, con quelle citazioni astruse, collegamenti, doppi sensi e giochi di parole che più colti non si può. Però è un ricercatore indefesso e le sue storie sono affascinanti.

Mi piace tutto e darò anch'io una mano alle classifiche di Baroncelli. Però, che ci sia voluto Roberto Saviano...

giovedì 27 settembre 2012

Se sono gli scarafaggi a scrivere il best seller

Era secco e allampanato. Indossava gilet coi bottoni di legno a pomello, sciarpe pasionarie di lana rossa e completi di velluto marrone, color foglia autunnale che rotola sul selciato. Non so perché non scrivesse poesia. Aveva tutti i difetti necessari per diventare un grandissimo poeta.

Grandissimo poeta non è, il nostro Briac, e anche come romanziere lascia a desiderare. In realtà, nonostante tutte le pose e umori da scrittore maledetto e da esistenzialista da rive gauche, non c'è niente da fare, di libri nel cassetto non ce ne sono e il foglio resta desolatamente bianco. Ma che succede se la crisi creativa lascia solo le ragnatele in tasca, con prospettiva di sfratto imminente?

Cosa succede ce lo racconta, a modo suo, Luca Ricci, in un libriccino spiazzante, esilarante, grottesco. Gli scarafaggi della casa - squinternata banda che ha scelto di chiamarsi Beatles (come gli "altri" scarafaggi) - sanno di non potersi permettere un nuovo inquilino, magari più attento all'ordine e alla pulizia della casa, ahi loro. Così saranno loro a inventarsi il libro - anzi il potenziale best-seller - che permetterà a Bric di rimanere a casa.

Tra Kafka e Kraus, solo per dire i primi nomi con la kappa che mi sono venuti in mente, certamente surreale e sulfureo, Come scrivere un best seller in 57 giorni (Contromano di Laterza) è proprio un bel modo di mettere il dito nella piaga, liberandosi di tante sterili discussioni, di tante manie e mode che magari fanno tanto intellettuale, ma non ci lasciano niente di più di un pugno di mosche.

Non si vive di solo pane, è vero. Ma anche la cultura non è cultura, non è lavoro, se è solo rimirarsi l'ombelico.

venerdì 10 febbraio 2012

Divertirsi e commuoversi con le ceneri di Angela

Che dire de Le ceneri di Angela di Franck McCourt (Adelphi) che non sia ancora stato detto?

Pensare che per un bel pezzo questo libro se n'è stato desolatamente in fondo alla mia pila di libri in attesa di lettura.... guardato con un misto di sufficienza e di diffidenza, sarà per il film (che mi dicono non sia un granchè), sarà perché viene facile diffidare per principio di ogni best seller, anche se, a pensarci bene, trattasi di atteggiamento decisamente spocchioso e anche un pizzico autolesionista.

Di questo sono convinto: un libro è davvero grande non quando si "limita" a destarti una grande emozione (e magari ci fossero tanti libri che si "limitano" a tanto), ma quando ti provoca un vero e proprio turbine di emozioni, che non sai veramente classificare, nè inchiodare una volta per tutte.

E con Le ceneri di Angela ti commuovi all'estremo e allo stesso tempo ti diverti come è raro che accada sulla pagina di un libro...

Da leggere, da leggere assolutamente. 

mercoledì 19 gennaio 2011

Bandiera bianca con Stieg Larsson

E dunque, parto subito male e dico che, a malincuore, proprio con La regina dei castelli di carta di Stieg Larsson mi è toccato applicare a mio esclusivo beneficio il terzo e il quarto diritto che Daniel Pennac riconosce al lettore: prima saltare le pagine e poi non finire il libro, senza troppi rimorsi.

E' così: l'ho attaccato con grosse aspettative, ho perso colpi in una lettura distratta, ho stentato nel primo centinaio di pagine (troppi nomi, intreccio troppo complesso, troppa sensazione di sequel), ho tirato avanti grazie al ricordo assolutamente positivo (ma non entusiasta) dei primi due libri della trilogia, infine mi sono arenato.

Poi, è chiaro, qualche problema me lo pongo. Sarà questione di diffidenza che scivola in pregiudizio per i "clamorosi casi editoriali"? Sarà che Larsson è morto prima della pubblicazione di questo libro e che non avuto il tempo di lavorarci sopra fino in fondo?

O sarà che, semplicemente, con i libri è come con le persone, a volte funziona al primo sguardo e subito scatta qualcosa, altre volte per quanto te ne abbiano parlato bene, per quanto sai che "meriterebbe", non scatta niente?

E magari è un'occasione mancata. Chissà, in un altro tempo, in un altro contesto. Forse sarebbe bastato una sera tutta per me, un teino per accompagnare la lettura e un silenzio accogliente, la volta del primo capitolo.
Chissà.

Chissà se un giorno La regina dei castelli di carta scenderà dallo scaffale dove è finita, il più alto della libreria, per tornare a bussare nella mia vita.

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...