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lunedì 25 settembre 2017

Zweig e Roth, in fuga nell'estate dell'amicizia

Adesso sono persone in fuga attorniate da un mondo in vacanza.

Ostenda, Belgio, estate del 1936. In questa località balneare del Mare del Nord - e so che può destare qualche perplessità la definizione di località balneare - ci sono persone che non sono in villeggiatura. Non lasciatevi ingannare dalla risacca del mare e dalle cabine colorate. Malgrado le chiacchiere al bistrot e le passeggiate sul lungomare questa non è una vacanza, ma un esilio. Il punto di arrivo - o la tappa intermedia - di una fuga dalla Germania nazista.

Quanti personaggi, in questa folla in cui sè facile intrecciare amori e bevute. Ma oltre lo champagne e i capricci della varia umanità ci sono loro, Stefan Zweig e Joseph Roth, scrittori tra i più grandi della prima metà del Novecento. Ebrei entrambi ed entrambi in fuga, ma quanto diversi.

Zweig, ovvero il successo letterario e la capacità di stare al mondo, anzi di stare nel bel mondo. Bestseller, conti in banca, leggerezza delle relazioni, senso della possibilità: la Vienna che balla il valzer sul ciglio del precipizio. 

Roth, un successo che ancora non gli arride, il denaro preso in prestito e scialacquato, l'alcol ingurgitato a farsi male, il cuore che è un magazzino di rimpianti e di rancori: Leopoli e quella terra dell'yddish e dei villaggi ebrei che è già nostalgia, prima che gli assassini di Hitler lo spazzino via.

Persone diverse, parabole diverse, ma ora accomunate dal bando nazista e dalla condizione di esuli: a Ostenda rinnovano la loro amicizia, che per le singolari traiettorie della vita si protrae ormai da una decina di anni.

Eccoli. Stefan che guarda il mare e non trova più le parole per le sue pagine. E Joseph, con la tristezza negli occhi e nessuna voglia di rinfacciare a Stefan che sulla Germania aveva avuto ragione lui, già a suo tempo:  La Germania è morta. È stata solo un sogno, apra gli occhi, la prego. Stefan, che di lì a qualche anno scapperà in Brasile e lì si ammazzerà insieme alla seconda moglie. Joseph, che morirà alcolizzato a Parigi  prima dell'arrivo dei nazisti, santo bevitore che solo l'arte riscatterà.

Cos'è Ostenda? Un respiro, una sbronza, un bivio. L'attimo prima del pronti, attenti, via. L'illusione di un altro copione. E' le pagine di questo libro  - L'estate dell'amicizia di Volker Weidermann (Neri Pozza) - che sono storia, sono letteratura, sono vita e sono la scia che ne rimane.


giovedì 7 luglio 2016

Congo, questa è la nostra storia

Me l'avevano caldamente consigliato, solo che non ci credevo. Come si fa a leggere un libro sul Congo di quasi settecento pagine? Cosa ci sarà mai da raccontare sul Congo? E soprattutto, cosa c'entro io col Congo?

Ecco, domande così, giusto per mettere le mani avanti. Giusto per staccare un attimo, prendere fiato e azzardarmi in questo giudizio: signori, era vero, Congo di David Van Reybrouck è un capolavoro. Un libro da leggere e da regalare, a dispetto di tutto. Un libro che ci insegna come si può raccontare la storia di un paese, con tutte le storie che ci sono dentro. Mica solo quelle di un dittatore sanguinario, di qualche guerra incomprensibile e di un pugile che non era solo un pugile - si chiamava Muhammad Alì - che a Kinshasa entrò nella leggenda. 

Prima di tutto è una questione di sguardo. E' questione di sguardo sul nostro sguardo. Dici Congo e pensi a un esploratore che si chiamava Stanley, al celeberrimo "Dottor Livingston, suppongo?", galateo britannico in mezzo alla giungla, pensi a quell'incontro e al fatto che tutto sembra cominciato in quel modo. 

Bizzarro, però, cominciare la storia del Congo con un europeo, quando è qui cominciata la storia  dell'uomo.... E che bravo Van Reybrouck ad azzardare un colpo di occhio su ciò che c'è stato prima, per quanto se ne possa sapere, nel silenzio di ogni parola... "Allora non sapevamo che nel mondo esistessero persone con un colore della pelle diverso dal nostro... "

Questione di sguardo sul nostro sguardo, appunto. Il Congo, così remoto, così a parte, una sua storia, certo, ma una storia che non ci riguarda. E invece, ecco qui: la colonia personale del re del Belgio, il suo caucciù e il suo uranio che cambiano l'economia del mondo. Il crack di Wall Street del 1929 che arriva sin qui, le due guerre mondiali che anche il Congo combatte - perfino nelle trincee europee - e un vittoria sull'esercito fascista che fu uno dei peggiori - e più dimenticati - disastri del colonialismo italiano....

Solo per dire qualcosa, solo per dire che Congo è un grande mare in cui ci si può immergere e trovare l'insospettabile: fili che legano gli anni e che ci riportano a noi. 

Poi arrivate in fondo e capite finalmente che perfino la parola globalizzazione ha trovato un altro senso, che per capirla non importa andare a lezione dai grandi dell'economia. 

lunedì 29 febbraio 2016

Un libro sul Congo che è un miracolo (di Massimiliano Scudeletti)

 l'Africa in maniera non convenzionale.
Congo, il libro  di David van Reybrouck vincitore del premio Terzani 2015, uscito per Feltrinelli nel 2014, è un maledetto miracolo.

Settecento pagine di storia, (di questo si tratta anche se nell'edizione italiana manca il sottotitolo Una storia) dalla nascita dello stato coloniale africano ai giorni nostri,  raccontate con lo stile del reportage mescolando le voci di circa 500 intervistati. Un affresco corale che fuoriesce con la stessa potenza del fiume Congo che dal suo estuario intorbidisce le acque dell'oceano per chilometri e chilometri. Ma si sbaglierebbe a considerarla un opera di nicchia o riservata agli amanti dei reportage di viaggio: mezzo milione di copie vendute sono lì a testimoniare un successo di pubblico, vasto e trasversale. 

Anche la critica, solitamente ingenerosa con i successi commerciali, è rimasta muta: perché il libro è inappuntabile sul piano della scrittura, delle fonti, dell'apparato bibliografico e si legge bene, maledettamente bene. Le recensioni entusiastiche oramai si sovrappongono, ed è comunissimo trovarne citazioni in articoli e reportage che abbiano per oggetto, fateci caso, non solo l'Africa centrale, ma l'intero continente. D'altronde, perché spremersi a dire qualcosa d'intelligente quando altri l'hanno già fatto?

Quando partiamo per leggere Congo, ci aspettiamo di risalire verso il cuore di tenebra dell'Africa con tutti i protagonisti che abbiamo conosciuto o immaginato. Non ne manca nessuno, allineati lungo il fiume della narrazione di  Reybrouck. Ecco Stanley, sì proprio quello de "il dottor Livingstone suppongo", e Leopoldo II del Belgio che ebbe il Congo come sua proprietà privata. I funzionari belgi e la loro polizia, i contadini vessati e torturati dalla sete infinita dell'occidente per il caucciù, per l'oro, i diamanti e tutto il resto. E poi Mobuto e Lumunba, prima amici e poi l'uno il carnefice dell'altro, descritti in un'incredibile corsa in motorino che vale l'intero libro. E la guerra fredda,  il post colonialismo e il saccheggio continuato di un paese troppo ricco per essere felice sia che si chiami Zaire o Congo. E ancora i conflitti razziali giunti a noi, l'altro mondo, con il suono dei machete dato che hutu e tutsi proprio in Congo ebbero le loro basi per colpire in Ruanda. Gli stessi hutu e tutsi che portarono sui loro scudi il nuovo padrone del paese: Kabila. E poi, l'oggi con le sue incertezze, tra il gigante cinese che fornisce a caro prezzo strade e infrastrutture, mentre la guerra per bande delle multinazionali usa i signori della guerra e i loro eserciti di soldati bambini per garantirsi l'approvvigionamento di tutte quelle materie preziose che da sempre l'occidente pretende.

C'è tutto il Congo e quindi gran parte dell'Africa centrale accompagnate da musica - una su tutti Indipendence Cha Cha Cha -, sapori e centinaia di storie tragiche, insanguinate, ironiche, allegre. Ma c'è di più ed è un vero miracolo in un epoca in cui l'originalità è merce rara, più del coltan.

Reybrouck ha un 'idea chiara, non convenzionale, del colonialismo e non la nasconde: L'occidente ha delle colpe terribili, ma la storia africana, a cinquant'anni dall'indipendenza, non è solo una reazione all'azione dei bianchi. Ci sono nobili cose ed enormi errori tutti africani: Lumunba, per esempio, osannato padre della nazione scelse, secondo l'autore, una via troppo rapida all'indipendenza, quando il paese non aveva ancora una struttura politica, economica e militare autonoma. Provocatorio denigrare un martire, padre della patria? Certo, ma non si ferma lì e ci descrive Mobuto non solo come il più longevo e sanguinario tra i dittatori, com' è stato in effetti, ma anche come lo statista che ha dato un'identità ad  una nazione grande come un continente(1). Sarebbe sbagliato leggervi in controluce una critica di un conterraneo di valloni e fiamminghi, ai vani sforzi della Comunità Europea di creare un sentimento di comune appartenenza in tutti questi anni?

Ma dove Congo lascia il segno è nello smontare la dialettica arcaico/moderno, africano/europeo tramite la strada più difficile, quella che passa per i conflitti interetnici. Proprio  quelli in cui anche l'occidente più liberale ha sempre visto una traccia selvaggia, tutta africana, direttamente collegata ad un oscuro tribalismo. 

Quando Reybrouck ce li descrive, nelle loro terribili manifestazioni, ma con le loro cause squisitamente economiche, scioglie l'inganno che vede quei conflitti come arcaici,- dettati quasi da una differente umanità - e quelli europei "le contrapposizioni identitarie", come moderni (è sufficiente parlare di Balcani, di Ucraina o dell'egoismo odierno dei paesi europei?).
E questa è forse la descrizione più tenebrosa che Reybrouck ci lascia cadere nel piatto, un mondo "uguale" dove gli stessi fattori (stati in grave difficoltà economica, corruzione, leadership immature o miopi, circolazione delle armi e ricerca del profitto ad ogni costo), portano allo stesso risultato, né antico né moderno, solo spietato.

(1) molto chiara in questo senso l'intervista di Guido Caliron all'autore per il Manifesto del 2/10/2014

Massimiliano Scudeletti

lunedì 24 agosto 2015

Roth e Zweig, due grandi nell'estate dell'amicizia (da SLB)

Estate del 1936. Stefan Zweig attende Joseph Roth sul marciapiede della stazione di Ostenda. Zweig ebreo viennese assimilato, scrittore di successo, ricco e acclamato. Roth, l’ebreo dai confini orientali dell’Imperial-Regia Monarchia. In miseria, alcolista allo stadio avanzato. Da anni coltivano una magnifica amicizia umana e letteraria. Nel 1931 erano assieme ad Antibes in Costa Azzurra e la sera rileggevano a vicenda quello che avevano scritto durante il giorno.

I due scrittori sono adesso parte della piccola comunità di tedeschi e austriaci in fuga dal nazismo che si ritrova in quella località balneare del Belgio. Una compagnia di “dileggiatori, combattenti, cinici, amanti, sportivi, bevitori, oratori e spettatori taciturni”. Gli esuli politici dividono il lungomare e i bistrot di Ostenda con i fuoriusciti ebrei e gli scrittori messi all’indice. Il nostalgico e monarchico Roth trascorre le giornate con una falange di comunisti, gettati assieme su quella spiaggia dal rullo compressore del destino.

Un jet-set internazionalista e prodigo di sogni velleitari, ma dove tutti vivono con la consapevolezza che le porte del possibile ritorno si chiudono ogni giorno di più. La grande Storia s’intreccia con le vicende quotidiane di questa Isola dei Famosi ante litteram, dove l’eco della Guerra di Spagna e dell'Anschluss accompagna le passioni e le invidie, le gelosie e le affinità dei protagonisti. E in mezzo a questo turbine di eventi Roth e Zweig vivono entrambi un’ultima e intensa stagione di amore.

Il libro di Volker Weidermann, editor della pagina culturale della prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung non è un romanzo stricto sensu, piuttosto il racconto di un’epoca e di un mondo visti attraverso l’amicizia fra Zweig e Roth e i personaggi che li circondano. Una narrazione storica, ricca anche di citazioni, che ricrea con mano leggera e il necessario distacco un’Europa ancora apparentemente spensierata ma che sta per essere inghiottita dalla catastrofe e dal sangue.

Un libro piccolo e prezioso. Da leggere.

SLB

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Volker Weidermann
“L'estate dell'amicizia”
Neri Pozza (collana: I Narratori delle Tavole)

Pagine 176, Euro 15,00

martedì 11 novembre 2014

Ricordando ciò che è successo a Ypres


Eppure è giusto che in un luogo della terra si conservino i segni atrocemente visibili del grande crimine.

E' giusto che centomila persone vengano qui scoppiettanti nella loro spensieratezza, poiché, volenti o nolenti, queste innumerevoli tombe, queste foreste avvelenate, questa piazza a pezzi sono fonti di ricordo.

E ogni ricordo è formatore, perfino per la natura più primitiva e più inerte. Ogni ricordo, quale che sia la forma o la sua intenzione, riporta la memoria a quegli anni spaventosi che non debbono mai essere dimenticati. 

Mi sembra giusto e formativo che ogni anno, il 4 agosto, alle nove del mattino, nell'ora precisa in cui i tedeschi sono entrati nel paese nel 1914, tutte le campane del Belgio si mettano a suonare, le sirene delle fabbriche a fischiare e si sospenda il lavoro per qualche minuto....

(Stefan Zweig, Ypres, da Il mondo senza sonno, Skira)

martedì 29 settembre 2009

Il Belgio a Pisa, libri tutti da scoprire...


Dai, sforziamoci, facciamo qualche nome di scrittore belga. La Yourcenar, senz'altro. Hugo Claus, già più difficile. E ovviamente, uno rischia di scordarselo perché ci pare così poco "belga", anche Simenon.

E poi? Poi poco: e sarà perchè come per Simenon da quelle parti le scritture finiscono per confondersi in un vortice di lingue e confini poco chiari, sarà perché semplicemente siamo troppo distratti e troppo propensi a classificazioni più semplici, ma fuorvianti: francesi da una parte, fiamminghi dall'altra.

Però questo fa anche pensare: non sarà che in un'epoca di confusione, di identità incerte, magari proprio dal Belgio più che da altrove potranno arrivare le nuovi voci?

Per scoprirlo l'occasione ci è offerta dalla nuova edizione del PisaBookFestival (9-11 ottobre), la rassegna dell'editoria indipendente che quest'anno ha come paese ospite proprio il Belgio.

Ci saranno libri dal Belgio, libri sul Belgio, libri made in Belgio.

E tra gli autori presenti tanti che non ho mai sentito nominare, ma che a occhio merita davvero conoscere. Citati a caso: Nicolas Ancion, Xavier Löwenthal, Sophie Buyse, Olivier Dombret,Kenan Görgün...
 

Il programma intero, con i luoghi, gli incontri, gli autori, su www.pisabookfestival.it

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...